Con e senza Francesco Totti

I 40 anni di Totti per riflettere sul momento in cui smetterà: come è cambiato lui, ma soprattutto come siamo cambiati noi.

Viviamo in un mondo incasinato e cerchiamo continuamente di trovargli un ordine catalogando le cose, suddividendo il tempo, etichettandolo, e quindi ogni generazione ha un nome, ogni cosa vecchia ha un suo ritorno inesorabile e ogni cosa nuova è una svolta, un’ondata, un cambio di paradigma: l’inizio di un’era, la fine di un’era e poi ricominciare. Spesso va a finire che esageriamo, per venderci meglio a noi stessi o agli altri, e definiamo eccezionali cose che non lo sono: il più delle volte l’ondata non è un’ondata, la svolta non è la svolta, l’era che finisce non finisce o non è mai iniziata. Spesso però non vuol dire sempre: ogni tanto un’era finisce davvero. Nello sport, inteso nel senso più globale possibile, è quello che succederà quando Francesco Totti giocherà la sua ultima stagione da calciatore.

ROME, ITALY - JANUARY 03: Roma player Francesco Totti (c) in action during an Italian Serie A match between AS Roma and Piacenza on January 3, 1999 in Rome, Italy. (Photo by Allsport/Getty Images)
Nel 1999, all’Olimpico contro il Piacenza. Era la Roma di Zeman, arrivata poi al quinto posto (Allsport/Getty Images)

Uno dei problemi col racconto di Totti e della sua ultima stagione – ammesso che sia questa – è che il ricorso all’epica è inutile, non funziona, perché nel suo caso è cominciato subito: Totti è diventato immediatamente re di Roma, leader supremo, divinità pagana e uno di quelli come non ce ne sono altri, aiutato dalla fascia di capitano a 22 anni, dallo Scudetto a 25 e da una città che con lui e solo con lui si è limitata a compiere soltanto la prima parte del ciclo di esaltazione e distruzione a cui sottopone tutto quello con cui viene a contatto. Non c’è niente che non sia già stato scritto, non c’è opinione che non sia diventata luogo comune; e anche per questo la storia migliore sull’ultima stagione di Francesco Totti, quella che davvero varrà la pena di raccontare, non riguarderà lui ma quelli che gli stanno intorno.

In un episodio di una popolare serie tv del decennio scorso, un viaggiatore nel tempo sfiancato e disorientato dai continui spostamenti capisce che per sopravvivere ha bisogno di una costante: un punto di riferimento, qualcosa di caro e riconoscibile a cui aggrapparsi quando non si riconosce più, quando le cose cambiano troppo in fretta e si cerca qualche conforto. Francesco Totti ha esordito in Serie A nel 1993, giocherà la sua ultima partita ventisei anni dopo: per almeno un’intera generazione di tifosi è stato la costante, l’unica. I trentenni e i quarantenni di oggi hanno visto giocare Totti per la prima volta mentre andavano alle scuole elementari o alle medie. Hanno continuato a vederlo e seguirlo e fare il tifo mentre prendevano un diploma e magari una laurea, mentre cambiavano case e città e lavori, mentre perdevano persone care e si facevano nuovi amici, mentre giravano il mondo, si innamoravano della persona sbagliata o avevano dei bambini con quella giusta: mentre tutto attorno a loro cambiava, ma davvero tutto, Francesco Totti era la costante.

FILIPPO MONTEFORTE/AFP/Getty Images)
Ciao, Francesco. Alla 600a partita in A, maggio 2016 (Filippo Monteforte/Afp/Getty Images)

Per questo l’ultima stagione di Totti riguarderà più noi che lui. La Roma continuerà a esistere anche senza Totti, e così la sua tifoseria bollente e autolesionista; la Serie A continuerà a essere disputata ogni anno; continueranno a nascere numeri 10 e calciatori davanti a cui stropicciarsi gli occhi. Probabilmente si continuerà persino a discutere del vero ruolo di Totti, del fatto che Roma alla fine gli abbia fatto più bene o più male o di come sarebbe andata se quell’estate fosse davvero andato al Real Madrid. Sarà sparita la costante, però, e in giro non ce ne sono altre: Francesco Totti è anche l’ultimo calciatore di una generazione più ampia – da Javier Zanetti a Paolo Maldini, da Gianluigi Buffon ad Alessandro Del Piero – che non ha avuto successori lontanamente paragonabili per carisma e appartenenza. Ecco, basta distrarsi un attimo per tornare sui luoghi comuni: la fine delle bandiere e la nostalgia di un calcio pane e salame che non è mai esistito. Invece non è questa la cosa importante. A un certo punto nei prossimi mesi Francesco Totti potrebbe passare nella vostra città per giocare a pallone: di qualsiasi squadra siate, che lo abbiate odiato o amato, andate a fargli un applauso e dirgli ciao, perché non succederà più. Sta per finire una di quelle cose che sembrava essere diventata parte del paesaggio, e il paesaggio siamo noi.

 

Tratto in anteprima dal numero 12 di Undici. Nell’immagine in evidenza, Francesco Totti nel gennaio 2015, contro la Lazio (Getty Images)