La nuova frontiera dei terzini

Il ruolo del terzino è quello che è cambiato più di tutti nel calcio moderno: ne è nato il prototipo ideale del calciatore a tutto campo.

Nel 2006, la Bbc pubblica sul suo sito una sorta di piccolo manuale dei ruoli calcistici. È ancora consultabile, il template web è rimasto immutato. È un bel viaggio nel tempo e nel tempo di internet, è un suggestivo tuffo nel passato. Anche perché, navigando tra le varie pagine, ci sono le foto di Robben e Wright-Philips con la maglia del Chelsea, di Ashley Cole con la splendida red ribes shirt dell’ultimo anno a Highbury dell’Arsenal. Sulla destra c’è il menu con tutte le voci che è possibile consultare: dopo Goalkeeper ci sono Full-back Wing-back. Aprire queste due pagine e confrontarle vuol dire trovare una sola differenza nella rappresentazione grafica: i full-back sono i terzini di una difesa a quattro, i wing-back sono i laterali di una linea di centrocampo a cinque. È l’unica suddivisione in sub-ruoli di tutto il piccolo progetto di nozioni e definizioni. Il testo che spiega e definisce i Wing-back si apra con questa frase: «In the modern age of football there are many different roles and jobs a defender can have». La sensazione, dopo aver visitato queste pagine e letto questi concetti, è quella dell’effettività, dell’adesione: affermare che quello dell’esterno difensivo sia il ruolo opinion maker e opinion leader del gioco moderno è aderente con la realtà. Influenza la narrazione, i giudizi, gli stili di gioco, le svolte tattiche. Lo sapevamo, evidentemente ce ne eravamo resi conto, già nel 2006.

C’è una vera e propria letteratura, in rete, sull’evoluzione del laterale di difesa. Un pezzo pubblicato su Sounder at Heart, intitolato “Fullbacks Vs Wingbacks: What They Mean for the Attack” ripercorre il percorso di questa conversione tattica e lessicale, e conclude spiegando come i terzini, pur mantenendo il loro nome originale, «siano diventati, allo stesso tempo, anche dei centrocampisti esterni». Jonathan Wilson, in un articolo pubblicato sul Guardian nel 2009, si chiede – ed è ovviamente una domanda retorica – «perché il ruolo di terzino è diventato il più importante in campo». Anche questa è una lettura interessante, soprattutto dal punto di vista della ricostruzione storica: il viaggio parte dalla prima idea di fluidificante e passa per la «coppia bilanciata», Burgnich-Facchetti o Gentile-Cabrini, ovvero un calciatore prettamente difensivo a destra e uno più offensivo a sinistra. Il tempo che è cambiato già da parecchio nel 2009, soprattutto dal punto di vista della star quality e della percezione degli interpreti del ruolo, è tutto in un link all’interno del pezzo, che rimanda a un altro articolo del Guardian. Il titolo è autoevidente: «Dani Alves: the best player in the world (well, after Leo Messi)».

Compilation di Dani Alves, in hd.

Volendo forzare la chiave narrativa, si può risalire al momento esatto in cui il ruolo del terzino è cambiato per sempre. Lo descrive Edoardo Galeano nel suo Splendori e miserie del gioco del calcio: «All’inizio del secondo tempo di Brasile-Austria, Mondiali del 1958, avanzò dalla sua metà campo Nilton Santos, l’uomo chiave della difesa brasiliana, soprannominato A Enciclopedia. Abbandonò la retroguardia, passò la linea centrale, eluse un paio di rivali e continuò diritto. Il tecnico brasiliano, Vicente Feola, correva anche lui a bordo campo, ma oltre la linea laterale. Grondando sudore, gridava: “Torna indietro, torna indietro!”. E Nilton, imperturbabile, continuava la sua corsa verso l’area rivale, non passò il pallone a nessun attaccante: fece tutta la giocata lui da solo, e la completò con uno straordinario gol».

Ovviamente, la singola e specifica giocata di Nilton Santos fu il risultato di un’evoluzione tattica graduale, cominciata anni prima, e che trovò libero sfogo e terreno fertile nei due terzini della nazionale di Vicente Feola, nella classe assoluta e nell’assoluta modernità di A Enciclopedia e dell’altro terzino Djalma Santos. Pure la narrazione di quest’ultimo corrispondeva a quella di un interprete moderno del ruolo: «Djalma Santos era un attaccante aggiunto, capace di sovrapporsi sulla fascia e dotato del tocco di palla proprio di un raffinato centrocampista» (Ivan Ponting, The Independent). Raccontare il background di questa mutazione vuol dire rivivere un paradosso assoluto: i brasiliani si inventano questa variante per adattarsi in chiave difensiva a un precedente cambiamento tattico. Avviene all’inizio degli anni Cinquanta, lo spiega e lo descrive Carlo F. Chiesa in un passo della sua “Storia delle tattiche” pubblicata tra il 1999 e il 2000 sul mensile Calcio2000: «La nascita della punta de lanza, un attaccante che parte da una posizione arretrata, aveva imposto una contromisura ad hoc: l’adozione di un secondo difensore centrale, in mezzo ai terzini. Martim Francisco, allenatore del Vilanova, schiera questo nuovo elemento in linea con l’altro stopper, con il compito di coprire la zona, e a mo’ di bilanciamento fa arretrare una mezzala dalla linea attaccante. Era nato il 4-2-4. […] Il Ct brasiliano Feola adottò questo modulo senza cedimenti, perché sposava al meglio le caratteristiche dei suoi giocatori e la loro tendenza a bailar futebol, cioè a giocare un calcio dalle cadenze felpate. Davanti al portiere Gilmar, i difensori Djalma Santos e Nilton Santos, due straordinari terzini giocolieri, nemmeno parenti se non nella confidenza con la sfera di cuoio».

 Hype e terzini, volume 1: Elseid Hysaj

Una ricerca mirata su Youtube, la chiave è “Total Voetbal”, permette di imbattersi in alcuni video relativi alle partite dell’Olanda ai Mondiali del 1974. La sensazione, nel vederli, è quella di un confronto tra una squadra amatoriale e una di professionisti, soprattutto per quanto riguarda intensità di gioco, condizione fisica, occupazione e attacco degli spazi in campo. In uno di questi – la sintesi del match contro l’Uruguay, vinto per 2-0 dagli olandesi – è possibile osservare nei particolari, perché è una dinamica che caratterizza numerose situazioni di gioco, la seconda parte della rivoluzione dell’esterno difensivo. Quella definitiva, che trascina il calcio direttamente ai giorni nostri. Il laterale basso si trasforma in una risorsa offensiva vera e propria. È un riferimento fisso, non un estemporaneo uomo in più nella costruzione della manovra. Suurbier e Krol, i due “terzini” di quell’Olanda, sono in realtà «ali disponibili costantemente all’avanzata così come a scambiarsi le corsie o accentrarsi» (Carlo F. Chiesa). Da lì in poi, la progressiva introduzione della zona e l’abbandono della marcatura a uomo cambiano le disposizioni delle squadre, riducono gli spazi e portano i terzini a diventare «gli unici calciatori in campo che agiscono regolarmente in porzioni di campo aperte. Questa condizione diventa una regola, una consuetudine, soprattutto dopo che il calcio moderno si è orientato verso schemi a una punta e ha in questo modo favorito il graduale ritorno a una difesa a quattro» (Jonathan Wilson).

Il key concept, in questo contesto tattico, diventa la cosiddetta doppia fase: «Gli esterni difensivi del calcio moderno, oltre che contrastare e marcare i giocatori esterni della squadra avversaria e coprire le fasce laterali e centrali attraverso la diagonale, dovranno iniziare la manovra, cercare l’aggiramento e inserirsi negli spazi lasciati liberi dai compagni sulle fasce laterali per crossare o concludere a rete». Questa quote è tratta da una tesi finale di un aspirante allenatore per il corso master 1999/2000, a Coverciano. L’aspirante allenatore è Mauro Tassotti. Nella sua carriera da calciatore, ha ricoperto il ruolo di terzino destro nel Milan di Sacchi e poi di Capello.

Hype e terzini, volume 2: Pol Lirola

La dimensione di assoluta necessità e importanza della figura del terzino – esterno basso secondo la nuova nomenclatura – all’interno del gioco non è inficiata dalla scelta del modulo. Il campionato italiano, con la sua spiccata varietà tattica, è la dimostrazione pratica di questo concetto: la Juventus, schierata per la maggior parte delle sue partite secondo lo schema 3-5-2, basa la costruzione della manovra sul grande lavoro dei due esterni, sul loro supporto in fase offensiva; allo stesso modo, anche squadre che utilizzano sistemi diversi (il Napoli di Sarri col 4-3-3, Roma e Inter col 4-2-3-1) sfruttano molto le sovrapposizioni dei terzini, le famose “catene laterali”. Ovviamente, cambia qualcosa a livello di caratteristiche fisiche e tecniche dei calciatori perché cambiano tempi e spazi in campo: i tecnici che impostano la propria squadra schierando tre difensori centrali più due uomini di fascia, i “wing-back” nel 3-5-2 secondo la Bbc, hanno la necessità di utilizzare calciatori «dalle grandi doti fisiche, perché devono coprire una zona più lunga di campo, sia per la fase di contenimento che nella fase di attacco. In pratica, devono saper difendere e attaccare, dando equilibrio a tutti i reparti. Inoltre, i due esterni devono avere una raffinata tecnica individuale, una buona difesa della palla, ma, soprattutto, trovandosi spesso uno contro uno, devono essere bravi nel dribbling per andare sul fondo a crossare» (dalla tesi per abilitazione ad allenatore master di Fausto Salsano).

Nei moduli che prevedono la difesa a quattro, la situazione varia in base allo schieramento degli altri reparti: in un 4-3-3 «pur dando preferenza ai terzini che spingono, è consigliabile optare per calciatori che possano essere efficaci anche in fase di non possesso. Affinché questo possa avvenire, i giocatori devono avere una buona capacità aerobica e buona velocità, in modo che possano rientrare velocemente in posizione. Non è decisiva la loro struttura fisica,  ma è importante che siano “muscolari” per poter reggere i duelli individuali» (dalla tesi per abilitazione ad allenatore master di Paolo Mandelli). L’attitudine difensiva, anche in squadre intense e votate a un gioco d’attacco, è fondamentale perché lo spazio che separa l’esterno basso da quello alto è più ampio rispetto a moduli come il 4-2-3-1 o il 4-4-2, in cui l’uomo di fascia offensivo occupa una porzione di campo più vicina a quella del terzino. In schemi come questi ultimi due, «il terzino ha solitamente una struttura fisica prestante, ma questa non è una condizione necessaria. È più importante che sappia marcare d’anticipo l’avversario, porsi in maniera opportuna, stringendo gli spazi verso il centro del campo, in seguito a un attacco dal fronte opposto, per poter intervenire anche nella “zona cieca ” su un eventuale cambio veloce di gioco. Inoltre deve saper temporeggiare in caso di contropiede e saper attaccare l’avversario in possesso palla, nel momento più opportuno, facendo pressing. In fase offensiva, deve saper supportare il centrocampo e l’attacco soprattutto con azioni di sostegno e di appoggio. Deve inoltre essere in grado di attaccare gli spazi vuoti con inserimenti tempestivi sulle fasce laterali, eventualmente scambiandosi la posizione con il centrocampista corrispondente» (dalla tesi per abilitazione ad allenatore master di Alberigo Evani).

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Differenza per un esterno basso tra un modulo 4-3-3 e uno 3-5-2. A sinistra, la heatmap di Ghoulam in Napoli-Roma, a destra quella di Alex Sandro in Juventus-Cagliari. Pur possedendo caratteristiche tecniche simili e giocando in squadre dominanti come Napoli e Juventus, i due calciatori occupano spazi di campo diversi perché sono inseriti in contesti tattici differenti: Ghoulam tiene una posizione mediamente più bassa e statica, e attacca il fondo con meno continuità rispetto al brasiliano della Juventus. Che, a sua volta, ha le spalle coperte da Chiellini o dal centrale di sinistra e ha quindi più libertà in fase offensiva.

Il passo dalla centralità tattica alla forza narrativa è veloce, necessario. Il racconto dei terzini del domani ha acquistato lo stesso valore di quello degli uomini offensivi, dei fantasisti o degli attaccanti. Pochi giorni fa, il Guardian ha pubblicato la Next Generation 2016, una selezione dei più promettenti talenti giovanili del calcio inglese, uno per ogni club di Premier League. Sei dei venti calciatori selezionati, praticamente un terzo, giocano nel ruolo di esterno basso. Come dire: non è un caso.

Così come non è un caso il fatto che il percorso inverso, lo spostamento della figura-terzino all’interno della dimensione del campo, sia al centro del discorso tecnico. Gli esterni bassi, ormai da qualche anno, sono al centro degli esperimenti tattici più suggestivi, più stimolanti. Un primo campo di applicazione è quello delle conversioni posizionali dei calciatori, del doppio percorso possibile per i tecnici: da terzino a un altro ruolo, da un altro ruolo a terzino. Nel primo caso, si tratta di operazioni solitamente tese a sfruttare le qualità offensive dei giocatori in zone di campo più vicine alla porta. Il caso più ingombrante dell’ultimo decennio è quello di Gareth Bale, che nel 2010 dichiara al Mirror di sentirsi «maggiormente a suo agio come terzino» salvo poi trasformarsi in esterno sinistro offensivo, trequartista, seconda punta nel corso degli anni. In ordine temporale, l’ultimo calciatore di altissimo livello che sembra poter seguire lo stesso percorso del gallese è Raphaël Guerreiro: per Tuchel, il suo allenatore al Borussia Dortmund, il portoghese è «talmente bravo che potrebbe giocare in qualsiasi posizione». Gli ultimi approcci nel ruolo di esterno del tridente offensivo e di mezzala sinistra: i primi risultati sono confortanti.

 Hype e terzini, volume 3: Raphaël Guerreiro

Uno degli esempi più significativi dell’altro tipo di processo, di calciatori trasformati in terzini, in un passato ancora recente, è quello di Gianluca Zambrotta. Che nel 2003, a 26 anni, si sposta dal ruolo di esterno di centrocampo (a destra) a quello di terzino di contenimento e sostegno (su entrambe le fasce). Una scelta fatta inizialmente per non far accomodare in panchina uno fra lui e Camoranesi (lo ha spiegato lo stesso Zambrotta nella sua autobiografia, uscita recentemente) si è rivelata vincente, soprattutto per merito della perfetta adattabilità del calciatore. Durante questo suo percorso evolutivo, l’allora esterno della Juventus spiegò così la sua nuova dimensione tattica: «La prima caratteristica di questo ruolo sta nella necessità di muoversi in sintonia con i compagni, accorciare gli spazi, scalare le posizioni. Tutto più difficile, bisogna essere attenti e concentrati, ci sono più responsabilità perché uno sbaglio in difesa può anche essere fatale».

Altri due calciatori che hanno vissuto questa trasformazione negli ultimi anni sono Sergi Roberto e Alessandro Florenzi. Il primo, centrocampista per vocazione (in un pezzo su outsideoftheboot viene definito «un numero 6 come Guardiola, come Busquets»), ha spiegato così il cambio di posizione: «Volevo giocare, e alla fine mi sono adattato al nuovo ruolo che Luis Enrique aveva in mente per me. Quindi, mi sono ritrovato esterno basso senza avere il tempo di studiare i movimenti. Oggi, però, sento di aver interpretato bene questa nuova collocazione e le indicazioni del mister, anche perché i terzini del Barcellona attaccano e si muovono parecchio con e senza palla». Il giallorosso, calciatore box-to-box, ha avuto esperienze da esterno basso lungo il percorso di formazione (durante la stagione in prestito a Crotone, per esempio) e ha poi traslocato sulla fascia destra difensiva durante le gestioni di Garcia e Spalletti. Proprio il tecnico toscano, dopo il match con la Sampdoria dell’11 settembre, ha definito «una goduria» veder giocare Florenzi in quella posizione. I numeri di entrambi i calciatori certificano l’esito positivo dell’esperimento: dopo un’annata di adattamento al ruolo, Sergi Roberto ha giocato 7 partite da titolare in questo avvio di stagione, tutte da terzino destro, con 4 assist, 2.6 key pass e 3.4 cross tentati ogni 90′; per Florenzi, 7 partite da esterno basso a destra con 2 assist, 5 cross e 1.5 key pass ogni 90′.

L’altra faccia della sperimentazione tattica legata ai terzini è quella che riguarda il loro set di movimenti e funzioni all’interno di un sistema di gioco. L’esempio più suggestivo è quello di Guardiola nel suo triennio al Bayern Monaco. In un bellissimo pezzo pubblicato da Grantland, dal titolo enfatico («How Pep Guardiola Created a Postmodern Monster at Bayern Munich»), Mike L. Goodman spiega così come il tecnico spagnolo “ha ucciso tutti i terzini”: «Pep Guardiola non ha bisogno di terzini. Questo potrebbe sembrare strano, dato che ha allenato alcuni dei migliori interpreti del ruolo, ma a nessuno di questi è mai stato chiesto di giocare come farebbe un terzino non-Pep. […] In realtà, il Bayern ha in organico tanti ottimi terzini: oltre a Lahm, ci sono Alaba, Bernat, Rafinha e Jerome Boateng, che si può considerare un terzino con le stesse caratteristiche di un altro calciatore allenato da Guardiola, Eric Abidal. Eppure, quando sono tutti e quattro in campo o comunque in buona condizione fisica, nessuno occupa la posizione di terzino. Tra questi, se c’è un calciatore emblematico della filosofia post-posizionale di Pep, è Alaba. Quando l’austriaco è nominalmente schierato come il difensore di centrosinistra in una linea a tre, si muove come quello che potrebbe essere definito come il primo ibrido difensore/trequartista centrale nella storia del calcio, sovrapponendosi internamente agli esterni offensivi». In realtà, Goodman smentisce sé stesso: il calciatore che più di ogni altro rappresenta il lavoro di Guardiola in Baviera è Philip Lahm. In un altro passo del pezzo, è lo stesso Goodman a scrivere di come «Pep abbia dato uno sguardo a Philipp Lahm, probabilmente il miglior terzino tradizionale nel mondo, e abbia deciso di fare di lui un centrocampista». L’ex capitano della Germania è un po’ l’uomo immagine di questa nostra lunga discussione: non è solo un terzino protagonista di una mutazione riguardo la sua posizione in campo, ma è pure il riferimento di una nuova interpretazione del ruolo. Difficile immaginarsi una maggiore centralità.

 Hype e terzini, volume 4: Antonio Barreca

Persino la Serie A, la lega conservatrice e ipertattica per antonomasia, si è fatta contagiare da questo nuovo primato tecnico e narrativo. Nella settima giornata sono scesi in campo, con la maglia da titolare, otto terzini nati dopo il primo gennaio del 1994. Un’anomalia per un campionato che ha un’età media di 26,5 anni. Tra questi, anche un classe 1995 (Barreca) e un 1997 (Lirola), più un altro prospetto nato nel 1996, Davide Calabria, assente alla settima giornata ma in campo nel match precedente e in altre tre partite di questo inizio di campionato.

Tra tutti, il giovane che ha avuto l’impatto più forte è stato Pol Lirola: ex canterano dell’Espanyol, di proprietà della Juventus da gennaio 2015, era segnalato come uno dei migliori prospetti di Spagna già prima del suo passaggio in bianconero. Tanto che, stando a una sua intervista alla Gazzetta dello Sport, erano finite sulle sue tracce anche Barcellona e Manchester City. L’annata di apprendistato al Sassuolo si è aperta nel modo migliore, con uno splendido gol all’Athletic Bilbao in Europa League. C’è altro, però, oltre il giustificato hype generato da uno scatto che lascia sul posto due calciatori, un dribbling e un tocco di piatto sinistro a battere il portiere: intanto, una forte propensione all’attacco, visibile già dai video dei tempi dell’Espanyol che si trovano su Youtube (come questo) e che leggi nelle stats offensive (più di 5 cross a partita, un assist e 5 key pass in 6 presenze stagionali preliminari europei esclusi); in più, anche una buona predisposizione alla fase di non possesso, testimoniata dai 20 eventi difensivi in 4 partite di campionato. Pol Lirola Kosok compirà 20 anni il 13 agosto del 2017, è già titolare in una squadra di Serie A, ed è pure un gran giocatore: il suo è un futuro già scritto, da wonderkid.

Accanto a Lirola, altri appartenenti a questa shortlist hanno ricevuto già importanti riconoscimenti internazionali. Come Elseid Hysaj, che da tre stagioni è titolare in Serie A ma che compirà 23 anni solo a febbraio prossimo. Prima dell’ultimo Europeo, il calciatore albanese è stato celebrato in un lungo articolo del Guardian, che mette in risalto la sua bella storia familiare ma a un certo punto lo definisce anche «uno dei prospetti più interessanti del calcio europeo». Più o meno la stessa cosa avvenuta anche a Davide Calabria, 20 anni da festeggiare a dicembre ma già 13 partite ufficiali con la maglia del Milan (tra cui la finale di Coppa Italia 2016 contro la Juventus): il terzino rossonero è infatti stato nominato in una top 11 di giovani promesse legata a un’iniziativa di adidas. Il selezionatore di questa squadra internazionale dell’hype si chiama Leo Messi.

Il gruppo dei giovani esterni bassi della nostra Serie A viene completato dai due ragazzi del Bologna, Masina e Krafth. L’ex Helsinborg, 22 anni compiuti ad agosto e già 2 presenze con la maglia della Svezia, detiene il record di più giovane esordiente nella storia della sua Under 21 (il l 6 giugno 2012, con i suoi 17 anni e 309 giorni), con cui si è laureato campione d’Europa nel 2015. Accanto a loro, l’atalantino Conti e il cagliaritano Murru, che a dispetto dei 22 anni ancora da compiere è al quinto campionato effettivo in Serie A. Ultimo della lista Antonio Barreca del Torino, reduce da una doppia esperienza in prestito in Serie B tra Cittadella e Cagliari e nuovo protagonista lanciato in grande stile da Mihajlovic: il terzino sinistro granata ha una media di 4 cross e 7 eventi difensivi di media a partita, più 5 key pass. Per Mihajlovic, può diventare «il miglior terzino sinistro italiano». Così, semplicemente.

Con questi nomi, il campionato italiano contribuisce appieno al racconto dei nuovi terzini, che dall’Europa propone un campionario di assolute certezze in chiave futura: Bellerín, Manquillo, Shaw, Gayà, Digne, Wendell. Tutti titolari, tutti Under 23. Il meglio di Premier, Liga e Bundesliga. La scelta di mettere lo spagnolo dell’Arsenal come capofila di quest’altro gruppo non è casuale, ma nasce dopo la lettura di una sua quote, tratta da Four Four Two: «A Barcellona ero un esterno offensivo, un’ala, ma quando sono arrivato all’Arsenal mi hanno spostato a terzino destro. Parlando con due difensori di alto livello come Steve Bould e Bakary Sagna, ho capito che il ruolo che mi avevano offerto era un’intuizione fantastica. Ho anche usato la mia esperienza come esterno offensivo per integrarmi al meglio nel nuovo ruolo, anche perché conosco gli spazi in cui i miei avversari diretti preferiranno giocare». Bellerín è intelligenza tattica, adattabilità, completezza. E quello del terzino, oggi, è il ruolo centrale nella narrazione del calcio. Ce ne siamo resi conto, una volta di più.

 

Nell’immagine in evidenza, David Alaba esulta dopo un gol contro l’Arsenal (Christof Stache/AFP/Getty Images)