I problemi dell’Argentina

La Messi-dipendenza, la confusione nello spogliatoio, una Federazione allo sbando: l'Argentina ora rischia pure la qualificazione a Russia 2018.

Se è vero, come dicono a Buenos Aires, che per ballare il tango si deve essere in due, nella Selección argentina hanno finalmente capito che senza il loro miglior partner di ballo non c’è musica che regga. La sconfitta casalinga nella partita delle qualificazioni a Russia 2018 contro il Paraguay è solo l’ultima batosta per una Nazionale che senza Lionel Messi sprofonda, nonostante l’innegabile valore tecnico del gruppo. A Córdoba poteva essere la notte stellata di Paulo Dybala: la Joya è partito in panchina, ha giocato metà del secondo tempo, ma senza brillare, come del resto nemmeno i suoi compagni. Lo 0 a 1 è pesante e inedito, il Paraguay non aveva mai vinto in terra argentina nel torneo pre-mondiale e obbliga l’Albiceleste a uno scomodissimo quinto posto in classifica, che non assicura la qualificazione e obbligherebbe ad uno spareggio con una centroamericana. Mancano ancora otto partite, ma è chiaro che la Messi-dipendenza sta diventando un problema enorme: su sette partite senza di lui, l’Argentina ha portato a casa sette miseri punti (33% del bottino), mentre nelle tre gare con Leo in campo sono state tre vittorie su tre, compresa la rivincita in quel di Santiago contro il Cile.

La sconfitta dell’Argentina contro il Paraguay

Di rivincite, tra l’altro, gli argentini ne hanno bisogno: tre finali perse in tre anni non sono facili da digerire, soprattutto se non vinci da tantissimo tempo, Copa América del 1993 e i Mondiali messicani di Maradona del 1986. Un digiuno pesantissimo per un Paese che ha prodotto nel frattempo una generazione incredibile di campioni, capaci di trionfare in tutte le edizioni delle competizioni europee di club. Con Messi sembrava che tutto potesse cambiare e invece no: dei secondi non si ricorda nessuno e a poco serve essere primi nella beffarda classifica Fifa, se non si riesce mai portare a casa un trofeo. Messi, intendiamoci, non ha colpe. Dopo tante polemiche sulle sue prestazioni in Nazionale, anche il tifoso più cocciuto si è convinto che sulla Pulce si deve costruire la squadra: è lui a trascinarla, a creare varchi per i compagni portandosi appresso le difese avversarie, è lui a imporre il ritmo o a scovare nella calma piatta il guizzo che cambia il volto ad una partita. Anche quando gioca male, la sua presenza pesa e crea scompiglio. Dopo la finale del Maracanã è stato chiamato sulla panchina il “Tata” Martino pensando di fare a Messi un favore, ma l’operazione ha fatto acqua da tutte le parti. Alcuni addetti ai lavori, quelli più critici e lungimiranti, lo avevano detto fin dall’inizio: uno che non è riuscito a vincere con il Barcellona non può fare miracoli con l’Argentina. Martino, a dire il vero, ci è andato vicino arrivando alle due finali della Copa América 2015 e 2016, ma le due sconfitte con il Cile sono state la sua condanna.

TOPSHOT - Argentina's Lionel Messi is seen before the start of the Russia 2018 World Cup qualifier football match in Mendoza, Argentina, on September 1, 2016. / AFP / JUAN MABROMATA (Photo credit should read JUAN MABROMATA/AFP/Getty Images)
Lionel Messi prima di Argentina-Uruguay dello scorso primo settembre (Juan Mabromata/AFP/Getty Images)

Con l’Afa (la Federcalcio locale) in profonda crisi, immersa in una guerra di dirigenti consumata sull’abituale sfondo di mazzette e pressioni politiche, con l’animo prostrato dall’ennesima fatica a vuoto, Messi ha confessato di non farcela più. Poche parole, le sue, carpite nella mix zone con una sconfitta a caldo, seguite da un inquietante silenzio, mentre si godeva i pochissimi giorni di vacanza vera, senza calcio e senza i mille impegni commerciali che ancora oggi il padre Jorge gli rifila in ogni angolo del mondo appena ha un momento libero. Ma siccome di argentini si tratta, il no di Messi alla Selección è diventato il primo capitolo di un tango destinato, dopo diversi giri, a risolversi armoniosamente. Il re è tornato, come fece Diego Armando dopo Italia ’90, chiamato dal Coco Basile a salvare la patria futbolera per i Mondiali americani. Con un’Afa “normalizzata”, chi sa per quanto, e con un nuovo allenatore, il navigato anche se poco carismatico Edgardo Bauza, Messi c’è, ma per infortunio deve saltare il doppio turno di ottobre. II Patón Bauza è uno che naviga bene nel calcio sudamericano, è stato bicampione della Libertadores con due squadre rivelazioni, la Liga Universitaria di Quito nel 2008 e il San Lorenzo nel 2014: sembra l’uomo adatto per un girone che oggi, con la conferma dell’Ecuador, il ritorno del Paraguay e il consolidamento del Cile, non è affatto scontato.

Il pareggio a Lima con il Perù e la sconfitta in casa con il Paraguay sono un brutto colpo da gestire: a novembre l’Argentina è chiamata a fare punti in due sfide complicate con il rinato Brasile di Tite a Belo Horizonte e poi la Colombia di Pekerman in casa. Messi tornerà, ma intorno a lui si deve ancora trovare la formula magica, l’alchimia che permetta sia a lui che agli altri di essere una squadra vera, capace di incorporare cambiamenti senza perdere l’identità, invece che un gruppo di campioni a cui manca sempre l’ultimo passo. Oggi siamo davanti a una generazione di campioni a metà, straordinari in Europa e a secco con l’Albiceleste, che fanno gruppo ovunque ma non fra di loro. Un piccolo dramma collettivo chiarissimo negli occhi e nelle parole di Agüero, Mascherano, Di María dopo la sconfitta con il Paraguay.

Il pareggio contro il Perù

A Buenos Aires si parla da tempo del clan Messi, del “gioca chi sta simpatico a lui” e il caso Icardi, ignorato da Martino e da Bauza, ha tenuto banco negli ultimi giorni. C’è chi sostiene che Maurito non viene chiamato in nazionale perché si è macchiato del peccato più grave in uno spogliatoio; rubare la donna altrui. Ci può essere del vero, o forse più semplicemente non sta simpatico al gruppo e al suo leader e per questo Bauza preferisce lasciarlo a casa, preferendo l”usato sicuro” di Agüero e di Higuaín. Ma se i mostri sacri continuano ad andare a vuoto, (Higuaín ha segnato in Perù dopo un digiuno di sette partite ufficiali) forse, si chiedono in tanti a Buenos Aires, non sarebbe il caso di provare nuove formule. Preoccupa anche la tenuta psicologica di un gruppo formato da giocatori non più giovanissimi, quasi tutti ancora utilissimi ai loro club, ma che nei momenti cupi si avvitano intorno a se stessi, che non digeriscono bene le lunghe trasferte con la Nazionale che spezzano la stagione europea, che forse non riescono più a trovare la motivazione per vincere. Il Brasile è appena passato da un cataclisma ben più profondo, ma i dirigenti della Cbf, ente malato tanto quanto l’Afa, hanno almeno avuto la forza di scegliere, dopo il disastroso Dunga, un condottiero vero, Tite, capace di convocare fin da subito sette campioni olimpici e di far vedere la porta ad alcuni presunti intoccabili. La Seleção adesso è prima e con un piede in Russia, l’Argentina deve faticare ancora. Bauza è chiamato a prendere in mano la situazione, a imporre regole e mentalità nuove, a far soprattutto capire che nessun clan, malanno o disagio è più forte che il bene della patria. Perché una, due e anche tre finali perse si possono anche digerire, ma nessuno gli perdonerebbe di aver smarrito il treno per la Russia.

 

Nell’immagine in evidenza, la frustrazione di Lionel Messi nella finale della Copa América Centenario, persa contro il Cile (Mike Stobe/Getty Images)