Mauro Icardi, infedele

Perché tra Mauro Icardi e il tifo interista non si è mai creato un rapporto di empatia: c'entra l'immagine che lo accompagna, oltre le questioni di campo.

Le scuse, l’impegno a rimuovere alcune pagine della sua autobiografia e una multa: così si è risolta la crisi tra Mauro Icardi e l’Inter, dopo che la lite tra il capitano e gli ultrà aveva coinvolto anche i vertici della società, chiamati a far giustizia sul caso delle offese del calciatore alla curva e conseguenti striscioni contro, fischi a San Siro e parole grosse. Nonostante il dietrofront, la curva è ancora sul piede di guerra, chiedendo al calciatore di spogliarsi della fascia da capitano. Forse basterà a riannodare il filo di un rapporto con i tifosi, quelli non organizzati in truppa, ma il guaio è che il caso, come lo chiamano le cronache, non è un affatto un caso.

Maurito Icardi è riuscito in tre anni a totalizzare 91 presenze in campionato, segnare 53 gol, conquistare un titolo da capocannoniere, legarsi al braccio destro una fascia da capitano, ma non a farsi amare incondizionatamente. Intemperanze degli ultrà a parte, è rimasta una distanza emotiva tra lui e loro, lui e noi: una distanza che è impossibile da colmare solo con la prestazione, il pressing alto, il movimento tra le linee e la rapacità sotto la porta avversaria. Tutte qualità che gli vengono riconosciute anche quando calcia un rigore mezzo metro a sinistra del palo in una domenica autunnale, all’ottava partita della stagione, contro il Cagliari. Gran parte del publico lo applaude. Addirittura, lo difende dai fischi dei più inferociti tra loro. Sta dalla sua parte. Ma ci sta – ecco il punto – con il buon senso della ragione che vuole ammutolire l’umiliazione, non con l’impeto viscerale, nell’immediatezza che viene prima del pensiero di cosa è giusto e cosa è sbagliato.

Inter Milan's forward and captain from Argentina Mauro Icardi reacts during the Italian Serie A football match Inter Milan vs Cagliari at "San Siro" Stadium in Milan on October 16, 2016. / AFP / GIUSEPPE CACACE (Photo credit should read GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)
Mauro Icardi contro il Cagliari, dove ha sbagliato un rigore (Giuseppe Cacace/AFP/Getty Images)

È come se pesasse, in questo legame profondo mancato tra Icardi e l’Inter, l’ingombro di un non detto. Come se più dell’Icardi che sta dentro il campo da calcio avesse importanza l’Icardi che sta fuori. L’Icardi brand, che finisce sui giornali per i fatti suoi, e sul quale cresce un pregiudizio e una condanna. L’Icardi che a diciotto anni arriva a Genova, dopo essere stato nelle giovanili del Barcellona, e a diciannove segna quattro dei sei gol che la Sampdoria realizza contro il Pescara. L’Icardi giovane promessa, che l’Italia non fa in tempo a celebrare per i gol segnati che subito si ritrova nella situazione di poterlo additare per la vita che ha, come il solito stronzo. L’Icardi sfasciafamiglie, che ha una relazione con Wanda Nara – donna sposata al suo compagno di squadra, Maxi Lopez, per giunta argentino come lui e fino ad allora più di un amico – e fa finire un matrimonio. Anche se lei – la donnona biondo platino spesso offerta sulla terza colonna dei siti internet – giura che lui non c’entra niente. Ma nessuno le crede. E, poco dopo, lo sposa. Tra un matrimonio e l’altro, ci sono foto, interviste, cattiverie, sgarbi, ritorsioni, dicerie, entusiasmi, rancori, riprovazioni e giudizi, come quello di Diego Armando Maradona, che dice ciò che molti nel mondo del calcio pensano, restituendo la percezione di ciò che Icardi è per il pubblico calcistico: «Un traditore. Va a casa di Maxi Lopez, gioca a fare l’amico e poi gli soffia la donna. Ai nostri tempi, nello spogliatoio ci saremmo alternati per prenderlo a pugni».

Mauro Icardi arriva all’Inter vestito con la maglia dell’infedele, di colui che pur di ottenere ciò che vuole sorvola persino sul riguardo nei confronti di un fratello maggiore, come era stato Lopez per lui. E di suo Icardi ci mette la spocchia e il desiderio di infierire. Quando si gioca Sampdoria-Inter, nell’aprile del 2014, i due s’incontrano in campo. Icardi gli tende la mano. Lopez la rifiuta. Icardi segna. Maxi Lopez sbaglia un rigore. E potrebbe finire lì: aveva vinto fuori e dentro il campo, Icardi. Invece si accanisce. Scatta una foto a bordo della sua Volvo e la pubblica su Twitter. Si vede il volante dell’auto e l’indice e il mignolo della sua mano che tratteggiano il gesto delle corna. Una coltellata alla schiena.

Il tweet contro Maxi Lopez (poi cancellato)

E si capisce che uno così per dei tifosi come noi – tifosi che hanno visto Luís Nazário de Lima detto Ronaldo incantare San Siro, la serie A e il mondo; tifosi così stesi ai suoi piedi che quando era in un letto d’ospedale leggevano le sue cartelle cliniche come in Jules e Jim di François Truffault Catherine leggeva le lettere dal fronte del suo amato; tifosi che l’hanno aspettato con la stessa speranza con cui i primi cristiani attendevano la resurrezione, e che poi hanno subito il trauma di vederlo cambiare casacca con la leggiadria del partner di una notte – ecco, uno come Icardi, risveglia l’incubo del mercenario di professione: è il contrario del tipo rassicurante che calma le ansie e il terrore d’essere abbandonati, spingendoci a lasciarci andare completamente nelle sue braccia.

L’aggravante è che Icardi costruisce la sua immagine pubblica su Twitter, Facebook e Instagram. E se scorrete le sue pubblicazioni, vi passerà sotto gli occhi una costante celebrazione di sé: l’esibizione dei suoi figli che oscilla tra il tenero e l’irresponsabile, lo sfoggio di una ricchezza che ha ottenuto di colpo, insieme alla frenesia di mostrarla, in bilico tra l’ingenuo e il cafone. Icardi mette in scena la sua vita matrimoniale, mostrando Wanda Nara che beve un cocktail, Wanda Nara che accudisce i figli, Wanda Nara che veste la sua maglia numero 9 senza indossare i pantaloncini, Wanda Nara che lo bacia nella vasca idromassaggio, Wanda Nara in terrazza che civetta in baby doll, con il seno in primo piano e uno slip nero che metà si vede e metà no. Wanda Nara, che non è solo sua moglie, ma anche la sua agente: particolare che solleva intorno a lui l’insinuazione dell’uomo in balìa della donna, il prigioniero dell’irrazionalità femminea in uno sport che si nutre di maschilità. Tutto ciò fa sì che su Mauro Icardi la maglia dell’Inter appaia come un puro capo d’abbigliamento: è marketing, non credenza. E questo, per un tifoso, è la sensazione più inaccettabile, dal momento che egli la maglia non la possiede, ma ne è posseduto.

True Love ❤? @wanda_icardi

Una foto pubblicata da Mauro Icardi (@mauroicardi) in data:

Dell’interismo, Mauro Icardi non ha il pulsante dell’intermittenza: in lui tutto è studiato, dal taglio di capelli all’esultanza, dalla posa in allenamento all’immagine per la pubblicità. Icardi non è Alvaro Recoba, funziona meglio e con maggiore continuità: ma non sa precipitare nell’abisso e risalire verso il capolavoro nel giro di poche partite, oppure nella stessa partita, come faceva lui. Movimento emotivo insano, eppure perfettamente aderente all’immaginario interista, che è una montagna russa in cui si ascende nel pantheon dei grandi e improvvisamente si precipita fuori dalla coppa Uefa.

Massimo Moratti, archetipo dell’interismo martirologico, non si innamorerebbe mai di Maurito Icardi. Per lui, non farebbe nemmeno una delle sue decine di follie. Né tormenterebbe una sigaretta in più di quelle che già tormenta. Troppo preciso, senza strazi. Icardi non è Javier Zanetti, l’uomo invisibile che si allena pure il giorno del suo matrimonio e che porta su di sé il peso di una squadra nella buona e nella cattiva sorte, come un personaggio della mitologia greca. E non è neanche José Mourinho, un figlio di puttana che esalta e incendia, che va controcorrente e pure contro la realtà se serve alla causa, incarnando una tradizione dell’interismo che guarda all’indietro sino a Helenio Herrera, taca la bala: quella degli uomini che possono permettersi di non lisciare il pelo a nessuno perché tanto vincono, e quello basta. Ecco: Maurito Icardi appartiene alla categoria dei molto presi da sé di talento, ma che da soli non promettono di  far accumulare trofei su trofei. Ha doti, numeri, volontà, tenacia e personalità. Eppure non basta, per incarnare l’interismo.

 

Nell’immagine in evidenza, la delusione di Mauro Icardi in un match contro il Genoa, lo scorso 20 aprile (Pier Marco Tacca/Getty Images)