C’è sempre un delitto. «Il corpo giaceva rannicchiato a ridosso di un muro in un vicolo stretto e buio. La pioggia lo lambiva appena, poiché era riparato dalla tettoia che sormontava l’ingresso di un magazzino». A questo punto, a pagina 79, l’uomo che sapeva aspettare si è dovuto fermare. Quell’uomo è Marco Giampaolo, ha 48 anni, fa l’allenatore, e aveva già programmato l’estate. Dopo aver salutato Empoli si era fatto consigliare cosa leggere da un vecchio amico, «un giornalista del Messaggero, redazione di Ancona, che mi aveva detto di comprare un po’ di gialli di Maurizio De Giovanni, gran tifoso del Napoli». E così che aveva iniziato dalla “Serenata senza nome”, l’ultima inchiesta del commissario Ricciardi. Il libro gli piaceva e tra gli altri progetti c’era quello di far visita al settimo ristorante stellato d’Italia, «l’unico che mi manca, a Roma, perché mangiar bene è insieme al calcio l’unica vera passione». Poi i progetti sono cambiati, in fretta, anche per Giampaolo, un uomo che sa aspettare.
Quando si fa questa chiacchierata, lunga e gradevole, l’allenatore è appena uscito da un incontro con Massimo Ferrero, il suo nuovo presidente, alla Sampdoria. «Ci siamo incontrati nella sua villa di Sabaudia, con una vista bellissima sul mare. E abbiamo parlato a lungo, con il presidente e la sua compagna, una donna intelligente».
Giampolo, chi è il suo maestro?
Il mio primo allenatore, Giuliano Sonzogni.
Lei non è zemaniano o sacchiano?
Sono cresciuto con l’idea sacchiana e Sonzogni è stato il tramite. Lui ha iniziato a spiegarmi il calcio, a Siracusa e Andria. Lo ascoltavo e capivo che avrei anche smesso di giocare subito, pur di diventare allenatore. Diciamo che grazie a lui ho iniziato a studiare.
La sensazione è che non abbia più smesso di studiare. I testi per imparare i meccanismi della difesa chi li ha scritti?
(Ride, accende il secondo sigaro toscano, nda) Non un libro, un video. Chiesi di poter assistere a un allenamento di Delneri, al Chievo. E chiesi di filmare le esercitazioni. Conservo e riguardo ancora quel video. La linea difensiva del Chievo di Delneri era perfetta, in tanti abbiamo imparato da lui.
Andiamo avanti, oggi si dice aggredire lo spazio…
Quello l’ho studiato e continuo a farlo con Spalletti, dall’Udinese alla Roma.
Il suo Empoli era l’elogio del trequartista, un ruolo che sembra passato di moda.
Avevo giocatori con quelle qualità. Prima di Empoli, di fatto, non avevo mai utilizzato il 4-3-1-2. Ma con Saponara e non solo, avevo la possibilità di sviluppare il gioco attraverso una serie di triangoli, che mi permettevano insieme di attaccare la profondità e trovare l’equilibrio difensivo in caso di perdita del possesso palla.
Così in Toscana ha fatto meglio di Sarri.
Sarri ha fatto un lavoro eccezionale e anche io ne ho raccolto i frutti.
Insistiamo: ha fatto meglio, malgrado la cessione di alcuni giocatori importanti, Valdifiori, Hysaj, Rugani e Vecino.
Insisto anche io: non avevo mai allenato una squadra con così tanta qualità come l’Empoli. Alla fine è la qualità dei giocatori a fare la differenza.
Il più forte che abbia mai allenato?
Zielinski, risposta secca. Ha tutto e crescerà ancora.
A Milano pensano un’altra volta a Saponara, che lei ha rilanciato.
Ha vero talento, senso del sacrificio, serietà. E ha una grande sensibilità, che non va mai dimenticata. Che significa dire che la maglia del Milan è pesante?
In effetti non significa nulla.
Se hai qualità e volontà puoi affrontare qualsiasi situazione, ma è giusto essere sostenuti.
Smentisce che era lei una delle ipotesi per la panchina rossonera?
Non c’è nulla da smentire. Era un’ipotesi, che ovviamente mi ha fatto piacere. Ora sono felice di essere l’allenatore della Sampdoria. Torniamo a parlare di calcio.
Torniamo a parlare di sistemi di gioco.
Ne parlerei per ore.
Quando vuole, ma ora ci aiuti a sintetizzare. Iniziamo dal 4-4-2, vantaggi e svantaggi?
Permette ampiezza e profondità. Ma non ha, almeno in partenza, linee di gioco geometriche.
Che invece ci sono con il 4-3-1-2?
Esatto, un sistema che offre anche profondità. Manca semmai di ampiezza.
Meglio allora il 4-3-3?
Per l’ampiezza del gioco e ancora per le linee geometriche. Ma non garantisce profondità, nel senso che te la devi andare a cercare con gli esterni.
Ci siamo, lei sceglie il 3-5-2?
Che ha ampiezza, profondità e linee di gioco geometriche.
C’è tutto.
Però manca il riferimento dei quattro uomini della linea difensiva, che va sempre ricostruito.
Alla fine quale sarebbe il sistema migliore?
Non siamo alla fine, manca il 4-2-4, con il quale Ventura è diventato un maestro e Conte uno straordinario allievo.
Il migliore?
Non esiste. La qualità dei giocatori è la cosa migliore.
L’allenatore capisce i giocatori e viceversa.
Guardate Conte alla Juventus: era partito con l’idea di lavorare sul 4-2-4 e anche per questo era stato fatto un certo tipo di mercato, puntando sull’arrivo di Giaccherini ed Estigarribia. Poi è arrivato Pirlo e non puoi non volere un giocatore come Pirlo. Infatti Conte è stato bravissimo nel trovare nuove soluzioni, altri equilibri, conservando buona parte del lavoro già fatto. Così è nata la Juventus di Conte, capace di vincere tutto in Italia.
Sistema portato, con altri risultati, in Nazionale?
Per me i risultati di Conte sono stati ottimi anche in Nazionale. Ha studiato quelle che erano le potenzialità dei giocatori, li ha selezionati con un’idea di squadra. Ha scelto i migliori per l’idea di gioco che voleva portare avanti. La coppia Pellè-Eder? Perfetta per sfruttare i due attaccanti che giocano molto vicino uno all’altro, meccanismo che conosceva bene, che in parte nasce con il 4-2-4. Bell’esempio è stato quello di Ventura al Bari. E poi ci sono gli automatismi delle squadre di Conte, fateci caso: le uscite difensive nascono tutte da una codifica preordinata. Automatismi sui quali devi lavorare a lungo, con metodo e fatica. E grazie ai quali l’Italia ha battuto il Belgio e la Spagna. È stata, soprattutto, la vittoria di Conte sui colleghi avversari.
Conte ha studiato anche lei.
In che senso?
A Siena?
Ah, vero. Ha fatto quello che ogni allenatore, me compreso, fa per aggiornarsi e migliorare. Mi hanno raccontato che quando è arrivato al Siena si è fatto consegnare le relazioni del lavoro che avevamo fatto. Con una particolare attenzione alla fase difensiva. Credete che io non lo abbia fatto con Sarri a Empoli?
La sintesi della vostra “formula difensiva”?
In sintesi, va bene, in fase di non possesso: per prima cosa devi tener d’occhio la posizione della palla. Quindi l’orientamento, cioè la posizione tra pallone e porta. Quindi i compagni, trovando e mantenendo sempre la giusta equidistanza.
Facile?
Bisogna lavorarci. Spesso i difensori sono abituati a tener d’occhio avversari e palla, in quest’ordine. Qualcuno ce la fa, altri meno. È un lavoro lungo, va organizzato, si parte subito, in ritiro, per questo per me è importante avere subito la base sulla quale lavorare. Per esempio devi avere giocatori più abituati a occupare lo spazio e meno a sentire la “carne” dell’avversario.
Parliamo di presidenti: Ferrero come Cellino, suo datore di lavoro a Cagliari?
Due uomini molto diversi. Con il presidente della Sampdoria capisci subito che è uno arrivato dalla gavetta, avverti la sua fame.
Con Cellino stracciò il contratto e lasciò una bella cifra a Cagliari. È così?
Sfatiamo un luogo comune. Non è vero che i soldi mi fanno schifo, non sono certo tutto, ma sono importanti per alcune cose. Però certi principi non li calpesterò mai.
A Cagliari cosa accadde?
Comportamenti e contratti assurdi per alcuni miei collaboratori. E Cellino, all’epoca, era vice presidente della Lega Calcio.
Storia simile anche a Brescia, allora furono le violenze degli ultrà a convincerla a lasciare panchina e ingaggio?
No, ci furono incomprensioni con il club in merito alla comunicazione esterna: gli obiettivi dichiarati non erano sostenibili con il materiale umano a disposizione.
Alti e bassi, è ripartito dalla Lega Pro, prima era a un passo dalla Juventus.
(Sorride, nda) Un passo, insomma. Diciamo che a Torino ero andato in auto, per parlare con i dirigenti bianconeri che mi avevano contattato, Secco e Blanc. Poi la scelta cadde su Ferrara: io restai a Siena e venni esonerato.
Giampaolo fa bene un anno, poi gli vendono mezza squadra e allora viene esonerato. Per questo ha lasciato Empoli?
No, a Empoli ho trovato una società che voleva e sapeva fare calcio e una tifoseria fantastica. Li ringrazierò sempre, tornerò a trovarli spesso, ma era giusto lasciare.
Senza avere, in quel momento, un’alternativa?
Senza un’alternativa lavorativa, ma con la possibilità di studiare calcio, preparare nuove esperienze lavorative, stare un po’ di più con mia moglie Luisiana e mia figlia Greta. Insomma, godermi quello che mi piace oltre al calcio. Ah, poi volevo leggere alcuni gialli di De Giovanni, uno scrittore che mi ha consigliato un amico giornalista. Ho iniziato con l’ultimo, ma mi sono dovuto fermare.
Ha anche la passione per i ristoranti stellati?
Me ne mancano due, negli altri ho pranzato. Devo ancora farlo al “Duomo” di Alba e alle Calandre di Rubano, vicino a Padova.
Il miglior piatto mai assaggiato?
Un piatto con i tartufi, in apparenza sembrava un prato più che un’insalata. Sapori unici.
Una passione di famiglia?
Macché, io sono nato in Svizzera, figlio di brava gente, operai emigrati. Loro semmai mi hanno insegnato l’educazione e il rispetto. Mi hanno raccontato di grandi uomini come Berlinguer.
E oggi, la politica?
Mi appassiona meno, non guardo ai partiti, ma alle proposte delle persone.
Torniamo alla passione per il cibo: chi l’ha contagiata?
Un altro allenatore, uno al quale devo molto, Giovanni Galeone. Lui ha il culto dello stare a tavola e conversare.
Canzone preferita?
Non ho una canzone, ma alcuni cantanti: Mina, Califano, Bongusto.
Film della vita?
Non ridete, avrò visto cento volte Ben Hur. Sono strano, vero?
Eclettico. Allenerà mai una grande squadra?
Alleno la Sampdoria, ho avuto in panchina molte esperienze felici, mi diverto, so aspettare, sono molto soddisfatto. E penso già a quello che potrò fare con questa squadra, che ha tanta qualità.