Piacere, Gigio

Portiere, bandiera, tifoso: Gigio Donnarumma è tutto questo, una creazione autenticamente milanista entrata all'improvviso nelle vite rossonere.

Capodanno 2015, in un locale milanese con un grande amico milanista, vecchio compagno di stadio e avventure – ci siamo fatti insieme in primo verde, sotto la Nord, “il derby di Sneijder”, prendendoci mozziconi di sigaretta accesi, fondi di birra, sputi, e chissà quali altri liquidi, come se perdere 4-0 e avere la sensazione che quello fosse il loro anno non avesse fatto schifo abbastanza – quando un tipo ci si avvicina e ci chiede se abbiamo qualcosa per lui. Ci guardiamo sorpresi entrambi. Poi ridiamo. Io gli dico: «Non abbiamo niente, parlavamo di Donnarumma». Il tipo resta di sasso. Gli spieghiamo che Donnarumma è il nuovo portiere del Milan. Lui fa sì sì con la testa e torna alla sua ricerca di sostanze psicotrope.

Sembravamo circospetti e preoccupati e lo eravamo davvero. Ne avevamo motivo. Tra parate e vecchi tweet anti-juventini, Donnarumma cominciava a piacerci, ma avevamo paura della disillusione e pure di portar sfiga. Delusi dalle troppe promesse di Primavera che avrebbero dovuto sbocciare ma non era sbocciato niente. Provati da alcuni gol presi durante il tragico interregno Gabriel-Abbiati-Povero Diego López, quando spesso il portiere è sembrato di avercelo così, per regolamento. Consapevoli che regnasse molta confusione ai piani alti, per cui sarà anche vero che il suo debutto era previsto già durante la gestione Inzaghi, ma la firma del contratto da professionista assieme a Locatelli e Cutrone nell’aprile 2015 non fece sperare né bene né male. Ricordo anche che, nel leggerlo titolare in un Milan al dodicesimo posto, qualcuno azzardò perfino l’opinione che Sinisa Mihajlovic stesse cercando di farsi cacciare dal Milan.

BARI, ITALY - SEPTEMBER 01: Gianluigi Donnarumma of Italy attends the international friendly match between Italy and France at Stadio San Nicola on September 1, 2016 in Bari, Italy. (Photo by Claudio Villa/Getty Images)
Al debutto in Nazionale, lo scorso primo settembre a Bari contro la Francia (Claudio Villa/Getty Images)

Io a San Siro mi siedo in primo blu, e in questi anni di presenza a oltranza, partitacce, gol presi, cori che rimpiangevano Pancaro e Helveg, ho avuto molto tempo per pensarci. Tra portieri memorabili, il Milan può annoverare Lorenzo Buffon, primo portiere milanista di rilievo nazionale. L’interista Giorgio Ghezzi, titolare a Wembley contro il Benfica nel ’63. Fabio Cudicini, il soldato di Nereo Rocco, che con lui e il Milan vinse tutto. Giovanni Galli, terzo portiere ai mondiali dell’82, al Milan dall’86 fino alla finale di Coppa dei Campioni del 1990, quando il Milan ribatté il Benfica 1-0. Sebastiano Rossi, con la sua decade di Milan e il suo record di presenze e il tanto discusso record di imbattibilità fino all’abbattimento di Bucchi, Abbiati e i suoi ritorni, Dida senza misure, tra miracoli come contro Ajax e finale di Champions e crolli sotto i fumogeni della Nord e per un buffetto al Celtic Park. Infine Albertosi, messo ultimo perché forse il più grande di tutti quelli citati, nonostante il calcio scommesse e il gol sospetto preso contro il Porto: portiere del Cagliari dello scudetto, di Italia-Germania, della stella al Milan e unico vero rivale di Zoff.

Il portiere è un ruolo che ha una storia e una narrativa a parte, e non parlo solo di solitudine dei numeri uno o Cieli sopra Berlino. Portieri del passato che bevevano, fumavano e rimorchiavano le belle fighe di passaggio durante le partite. Portieri che usavano tostapani come volani per allenare i riflessi. Portieri che raccontano di essere usciti abitualmente fino a metà campo per fare il libero, portieri che riferiscono di essersi comprati i guanti di lana al Coin su suggerimento di Yashin – perché prima i guanti non li usava nessuno. Poi non trovi neanche un nonno che si ricordi di quel portiere libero, neanche un giornale, neanche una biografia, ma trovi una foto degli anni Quaranta in cui un portiere meno noto ha un bel paio di guanti di cuoio in mano.

Le migliori parate stagionali, fin qui

Gigio fa storia a sé, vederlo da dietro per quarantacinque minuti a partita è uno spettacolo. Neuer ha portato il ruolo a una spettacolarità fisica da eroe di cartoni animati giapponesi. Gigio l’ha fatto in un modo diverso, che va oltre a come ci ha tenuto a galla a Verona nella scorsa stagione – dove salutammo l’Europa League, e se i gol subiti sono stati due e non quattro come contro il Napoli è stato perché in porta c’era lui – oltre alla smanacciata iconica sul tiro di Khedira, oltre la “testuggine”, quando si butta sul pallone per tenerlo quei due secondi in più.

Comincia con il suo incamminarsi verso la porta, con il pubblico che adesso lo acclama, ma con cui ha incominciato a comunicare fin da subito. Saltando come una molla quando Icardi prende il palo durante il derby vinto 3-0, dirigendo la squadra a ringraziare i tifosi dopo la disfatta a Roma contro la Juve in finale di Coppa Italia. Prima di mettersi fra i pali, fa il suo rito magico – tocca il palo destro, poi va a toccare il sinistro, si allunga per sfiorare la traversa, si china per toccare il campo e si fa il segno della croce. Durante il gioco, non ha tempi morti, segue i compagni, ogni pallone perso, ogni fallo subito, e quando s’incazza per le decisioni arbitrali si rivolge al giudice di porta, scuote la testa, tipo “roba da matti”, fa gesto di “stare calmi”, e “daje tutta”. Se abbiamo un rigore a favore, non lo guarda. Si volta di spalle, fissa il prato, aspetta di sentire la reazione del tifo. È come se dirigesse un’orchestra.

 

L’altro livello di Gigio, insomma, è essere un misto tra tifoso, compagno di stadio in campo, campione e base della spina dorsale. Chi di noi ha trent’anni e ricorda il Milan di Ancelotti più di quello di Sacchi gli vuole bene perché sembra partorito, generato da più di uno dei poster che avevamo in cameretta. La voglia di Sheva, la scaramanzia e attenzione di Gattuso, la freddezza dei grandi capitani, pure l’oratorio di Inzaghi, tutto in un diciassettenne che in quegli anni là era un pupetto.

Mi fa venire in mente una cosa che ho sentito dire a Maldini sui tre olandesi: «Erano dei professionisti venuti per darci una mano». A loro, quelli di casa, i milanisti che con Maldini avevano fatto la trafila delle giovanili. Ecco, Gigio ha riportato tutto a casa. Se questo Milan ha un futuro, lui sarà il primo germoglio verde che ho visto sbocciare. Nella speranza che lui, Gigio, non vada da nessuna parte.

 

Nell’immagine in evidenza, Gianluigi Donnarumma effettua una parata in un Milan-Sampdoria (Olivier Morin/AFP/Getty Images)