La scomparsa di Alessio Cerci

Cresciuto a Roma con enormi aspettative, l'ex Fiorentina e Torino ha avuto una carriera schizofrenica: tra stagioni di livello (poche) e delusioni (molte).

Una delle numerose conseguenze tragiche del tifare è piegare la propria razionalità verso la sospensione dell’incredulità, cedendo alle lusinghe di un amore temporaneo per uomini che, in realtà, sono perfetti sconosciuti. Un amore sottoposto ai mutevoli cambiamenti contrattuali dei giocatori in questione, e, conseguentemente, mai al sicuro, come le infatuazioni pieni di sospiri delle quindicenni. Per questo motivo il migliore, e unico, modo per valutare l’intensità della passione di una piazza per un giocatore è farlo ex-post, a relazione finita, quando le ceneri del gran falò – dei sentimenti e delle magliette bruciate dopo l’addio – si sono spente. Usando questo criterio possiamo dividere il mondo dei calciatori professionisti in gruppi separati tra loro da mura invalicabili. Ci sono calciatori che, nonostante, o forse soprattutto, i frequenti cambi di maglia, lasciano dietro di sé una scia agrodolce di ricordi come certi amori estivi impossibili ma privi di rimorso. Uno degli appartenenti a questa categoria è Luca Toni, uno capace di vestire otto maglie diverse in Serie A e allo stesso tempo, con la sola eccezione di Palermo – dove in una partita tra i padroni di casa e la Fiorentina andò in scena la celebre contestazione con i fischietti – rimasto legato alle proprie vecchie piazze da una gamma di sentimenti che va dall’amore incondizionato – Firenze, Verona – a una rispettosa stima – come a Roma, dove nonostante i soli sei mesi di permanenza decise uno scontro diretto con l’Inter nella stagione dell’ultimo decennio in cui i giallorossi sono andati più vicini al titolo.

ROME - OCTOBER 04: Francesco Totti (R) and Alessio Cerci of AS Roma celebrates the opening goal during the Serie A match between AS Roma and SSC Napoli at Olimpico Stadium on October 4, 2009 in Rome, Italy. (Photo by Paolo Bruno/Getty Images)
4 ottobre 2009: Alessio Cerci corre ad abbracciare Francesco Totti dopo una rete realizzata dal capitano contro il Napoli (Paolo Bruno/Getty Images)

Un’altra categoria di giocatori è quella dei nomadi di professione, già preventivamente bollati come storia da una botta e via, il cui addio non provoca particolari risentimenti in quanto fine di un amore privo di illusioni. Marco Borriello, alla decima maglia in Serie A, più vari ritorni a Genova e Roma, ne è leader indiscusso e spirito guida, Alessandro Matri, che è alla settima, sta cercando di sgominare la concorrenza per diventarne l’erede al trono. La storia è ben diversa invece per una terza genìa di atleti, che non appena firmano il contratto per la squadra successiva vengono resi oggetto di un odio feroce, incontrollabile e genuino. I più fortunati riescono in qualche modo a evitare di lasciare dietro di sé fiumi di bile a ogni cambio di casacca, limitandosi ad avere contro un paio di stadi in giro per l’Italia. I meno fortunati, invece, è come se fossero perseguitati da una maledizione: alle loro spalle ci sono sempre, e soltanto, disprezzo, fischi, offese. Non c’è dubbio che il giocatore-simbolo di questa categoria sia Alessio Cerci, il cui nome suscita una reazione pavloviana a Madrid come a Milano, a Firenze come a Torino, senza dimenticare la patria Roma.

Nell’agosto del 2010 Alessio Cerci ha ventitré anni e una carriera che sembra entrata nel pericoloso vortice di occasioni perse che solitamente fa scivolare via le speranze di un’affermazione ad alti livelli. Pur essendo sotto contratto con la Roma fin dalla piena adolescenza non è mai riuscito a convincere gli allenatori giallorossi al punto di entrare in pianta stabile nel giro dei titolari, o almeno delle prime alternative. Dopo essere stato lanciato da Capello, ma solo alla sua ultima panchina nella Capitale prima della storica fuga notturna a Torino, rimane in disparte nella stagione dei cinque allenatori iniziata con Prandelli e finita con Bruno Conti, per poi venire bocciato a più riprese da un Luciano Spalletti che tra il 2006 e il 2009 lo manda tre volte in prestito a giro per l’Italia.

Totti, Ménez, Cerci e prima rete in giallorosso per Alessio. Sono i preliminari di Europa League 2009

Nella stagione 2009/10 torna alla base dopo essersi messo in luce nella fulgida stagione a Pisa agli ordini di Ventura e aver assaggiato la Serie A con la maglia dell’Atalanta, e nonostante segni tre gol in 8 presenze nella prima edizione dell’Europa League in campionato riesce a mettere insieme soltanto nove spezzoni di gara. Sette anni dopo essere stato scoperto dall’universo nerd-futbolistico come uno dei giovani più promettenti di Championship Manager 2003-2004 e a cinque anni di distanza dalla conquista dello scudetto Primavera, vinto dopo aver dominato sia il campionato che i playoff insieme ad altri enfant prodige poi smarritisi come Simonetta e Virga, per Cerci si chiudono a titolo definitivo le possibilità di affermarsi con la maglia della squadra del cuore. A questo punto della propria vita calcistica, solitamente, un giocatore che ha brillato per una sola stagione in Serie B e ha sostanzialmente fallito al massimo livello, e che ha per di più già messo in evidenza alcuni limiti caratteriali, sceglie una città di provincia tranquilla, con una squadra di medio-bassa classifica e un allenatore indulgente, per tentare una salita morbida della piramide dell’auto-affermazione.

Quello che succede a Cerci, però, è un evento che a sei anni di distanza non è ancora forse possibile decifrare come fortunato o sfortunato. Pantaleo Corvino, alla ricerca di una nuova tacca sulla cintura delle scommesse su calciatori da rilanciare e rigenerare, scende a Roma con un assegno di oltre quattro milioni di euro e torna a Firenze con il sostituto di Jovetic, infortunatosi al ginocchio e in procinto di saltare l’intera stagione. All’improvviso Cerci si ritrova addosso la maglia di una squadra che pochi mesi prima ha sfiorato i quarti di finale di Champions League, in piena crisi societaria, con un allenatore nuovo ed esigente come Sinisa Mihajlovic. Come se non bastasse, l’ambientazione è una città infuriata per una campagna acquisti poco entusiasmante – Boruc, D’Agostino e Cerci i soli acquisti – e devastata per la rottura delle speranze e dei legamenti del franchise player capace di dimostrare pochi mesi prima di poter trascinare la squadra a vittorie ambiziose in luoghi come Anfield. Se a tutto questo aggiungiamo il fattore dell’esasperata romanità di Cerci a confronto con la romanofobia fiorentina, Cerci diventa il cammello, e Firenze la cruna dell’ago.

FLORENCE, ITALY - NOVEMBER 07: Alessio Cerci (R) and Adrioan Mutu (L) of ACF Fiorentina celebrate after scoring a goal during the Serie A match between Fiorentina and Chievo at Stadio Artemio Franchi on November 7, 2010 in Florence, Italy. (Photo by Gabriele Maltinti/Getty Images)
Alessio Cerci e Adrian Mutu festeggiano dopo una rete con la Fiorentina contro il Chievo (Gabriele Maltinti/Getty Images)

I tentativi di farlo passare attraverso durano due anni, e alla fine si rivelano fallimentari. In dei momenti sembrerebbe mancare solo l’ultima zampa, ma in molti, moltissimi altri, soprattutto quelli finali, non riesce a passare di là neanche la sporgenza del muso. Il bilancio, in ordine sparso, delle due stagioni fiorentine di Cerci comprende: screzi con i tifosi ancora prima di esordire, leggende su un gatto portato a guinzaglio per il quartiere di San Frediano, un gol valevole la salvezza segnato in solitaria a Lecce a due giornate dalla fine del campionato, altre leggende sulla fidanzata che chiede a un tassista che ponte fosse quello così tanto transitato– era il Ponte Vecchio -, una messa fuori squadra a causa di un rientro in ritardo da un viaggio a Barcellona a causa dell’acquisto di una casa a Formentera, il coro, prima ironico e poi sincero, «Alessio Cerci è il nostro Messi», diverse rimozioni forzate del Maserati in sosta vietata, ancora screzi con i tifosi, una cessione saltata al momento delle firme al Manchester City che poi in quella stagione vincerà la sua prima Premier League, sedici gol e cinque assist, il seguente status su Facebook della suddetta fidanzata dopo l’eliminazione in Coppa Italia per mano della Roma «No Cerci? No coppa Italia!!! Ahahahaha… ciao ciao Delio e ciao ciao tifosi viola ;)» e il seguente altro dopo una vittoria che avrebbe dovuto raddrizzare una stagione nata storta «Hanno vinto una partita col Novara sembra che hanno vinto la Champions contro il Barcellona. A buffoniiiiiiiiiiiiii non ce la posso più fare! Dichiarazioni dell’altro mondo proprio st’invasati!», e quindi, conseguentemente, altri screzi con i tifosi.

Delio Rossi:«Di solito dietro un grande professionista c’è una grande donna. Prima di giudicare gli altri bisognerebbe giudicare se stessi».

Il finale di tutto questo è il degno epilogo di una relazione vertiginosa, enigmatica e mai facile, nel bene e nel male. Il 23 luglio 2012 i giocatori della Fiorentina, in ritiro a Moena, si recano al locale “Malga Peniola” per festeggiare il venticinquesimo compleanno di Alessio Cerci. In linea col senso di deresponsabilizzazione che ha imperato nei precedenti anni nello spogliatoio, bevono, lanciano bicchieri, rubano due pernici imbalsamate e, al momento di pagare il conto al proprietario infuriato, gli lanciano letteralmente i soldi addosso. Il nuovo allenatore, Vincenzo Montella, arrivato a Firenze per ricostruire da zero una squadra-non squadra, non gradisce e di fatto costringe la società a cedere i maggiori responsabili: Vargas, Olivera (che rimarrà a Firenze perché senza mercato), Lazzari e, appunto, Cerci. Con l’estromissione dalla squadra della componente anarcoide dello spogliatoio la Fiorentina diventa un piccolo esercito votato al possesso palla, e in quella stagione, secondo molti proprio grazie alla Notte delle Pernici, arriva quarta giocando il miglior calcio dell’era Della Valle.

Raramente ci viene posta in un modo così chiaro la domanda: «Quanto conta nella considerazione che si ha di uno sportivo il saper fare il proprio lavoro e quanto saper gestire chi con i propri soldi permette allo sportivo di fare il proprio lavoro?». Cerci è il secondo marcatore del biennio più difficile della storia recente della Fiorentina, conquista materialmente da solo i punti necessari per evitare la retrocessione, trovandosi in alcuni casi a giocare come unica prima punta e Lazzari a supporto, e più materialmente, è l’unico giocatore veramente capace di coniugare estetica e concretezza in una squadra grigia e senza idee. Nonostante tutto questo a Firenze basta nominarlo per suscitare reazioni da prove allergologiche, da stregoneria popolare.

TURIN, ITALY - DECEMBER 22: Alessio Cerci (L) of Torino FC is challenged by Bojan Jokic of AC Chievo Verona during the Serie A match between Torino FC and AC Chievo Verona at Stadio Olimpico di Torino on December 22, 2012 in Turin, Italy. (Photo by Valerio Pennicino/Getty Images)
Alessio Cerci in maglia Torino contrastato da Bojan Jokic del Chievo Verona (Valerio Pennicino/Getty Images)

La tappa successiva è praticamente obbligata, e costringe Cerci a tornare dall’unico uomo capace di comprenderlo e valorizzarlo incontrato nel corso della sua carriera. Nell’estate 2012 Gianpiero Ventura è appena riuscito a riportare il Torino in Serie A e non potrebbe chiedere niente di meglio di un’ala destra che conosce e che si è dimostrata capace di interpretare il suo 4-2-4. Il Cerci di Torino, nell’ambiente depressurizzato nel quale forse sarebbe dovuto arrivare due anni in anticipo, è un giocatore essenziale e funzionale, liberato dalla propria tensione verso il caos. Come se Ventura avesse preso uno straccio e, delicatamente, iniziato a cancellare le pennellate ribollenti di una tela di Pollock per scoprire poi, sotto, uno dei Tagli di Fontana. Nella prima stagione in granata più degli otto gol, il primo dei quali segnato proprio alla Fiorentina – con doverosa esultanza annessa – fanno notizia i dodici assist, il doppio di quanti ne aveva serviti complessivamente in Serie A in tutta la sua carriera. L’anno successivo il Torino decide di scommettere sulla ri-esplosione di Immobile, frenato a Genova dopo la devastazione del campionato cadetto con la maglia del Pescara, e Ventura ha l’intuizione più felice della sua carriera: passare definitivamente al 3-5-2 accoppiando proprio Cerci all’attaccante napoletano. I due insieme segnano 35 gol, scomodando a più riprese la coppia Pulici-Graziani dando in alcune occasioni dimostrazioni di uno strapotere di coppia raramente visto negli ultimi anni in Italia, su tutti il celebre Torino-Genoa 2-1, fondamentale per la corsa all’Europa, ribaltato nei minuti di recupero.

All’ultima giornata di campionato il Torino viene ospitato dalla Fiorentina e ha bisogno di una vittoria per conquistare il sesto posto e un ritorno nelle competizioni europee a vent’anni di distanza. In un clima surreale, con i tifosi viola spinti dal gemellaggio a cantare a favore di una vittoria del Torino, e ad esultare per i suoi gol, Cerci, unico ad essere comunque fischiato, si presenta sul dischetto nei minuti di recupero per segnare un 2-3 carico di significati. In un istante, scoppia la bolla di serenità vissuta in granata, e il nastro si riavvolge fino al momento dell’addio a Firenze. Sbaglia il rigore, piange, inizia a far circolare l’ipotesi di voler lasciare il capoluogo piemontese, assiste alla cessione a campionato concluso di Immobile, litiga con i tifosi, ignora il ripescaggio del Torino in Europa League a causa dei problemi finanziari che faranno poi fallire il Parma, cerca lo strappo per tutta l’estate per accasarsi all’Inter, litiga di nuovo con i tifosi e, infine, si trasferisce all’Atlético Madrid vice-campione d’Europa nel corso dell’ultimo giorno di mercato.

Le lacrime di Cerci dopo il rigore sbagliato.

E dal momento che il nastro si è riavvolto, non può mancare il battesimo del trasferimento da parte della fidanzata, che, su Facebook, con toni concilianti dice addio all’Italia con un «Saluti Serie A noi ce ne andiamo nel calcio che conta». Cerci saluta Torino come aveva salutato Firenze, non avendo però più un porto sicuro in cui approdare come quello di Ventura. Simeone non è un allenatore indulgente, Madrid non è una piazza tranquilla e, soprattutto, Cerci, a 27 anni compiuti, non è ancora un calciatore maturo. In Liga gioca sei spezzoni di partita in quattro mesi e l’unica occasione in cui riesce veramente a fare notizia è quando diventa virale un video di lui che calcia un ostacolo in allenamento non riuscendo a saltarlo. L’addio a Madrid è amaro, ma in un modo diverso da tutti gli altri: i tifosi lo disprezzano per il suo rendimento da calciatore e lo pesano sulla bilancia dei milioni spesi dalla società. Scomparendo la pesante ancora di salvezza del giocare bene, nonostante tutto, Cerci dimostra di essere un giocatore monodimensionale e superfluo e fallisce, ineluttabilmente, l’attracco al Grande Calcio. Nella successiva esperienza al Milan, ormai bloccato dalla decomposizione delle sue ambizioni, diventa una parodia di sé stesso: un giocatore svogliato, nervoso, litigioso, incapace di comunicare con i propri tifosi, avvolto in un alone di estemporaneità tale da farlo sembrare sempre fuori luogo.

MILAN, ITALY - JANUARY 13: Alessio Cerci of AC Milan looks on during the TIM Cup match between AC Milan and US Sassuolo Calcio at Stadio Giuseppe Meazza on January 13, 2015 in Milan, Italy. (Photo by Marco Luzzani/Getty Images)
Alessio Cerci in maglia Milan durante la gara di Coppa Italia contro il Sassuolo (Marco Luzzani/Getty Images)

Dopo un solo anno saluta anche Milano, ancora una volta tra i fischi, ancora una volta con dichiarazioni cariche di veleno e risentimento. Passa al Genoa per trovare la via attraverso cui essere ancora considerato un calciatore di livello, a sole due stagioni di distanza dai fasti di Torino, ma le sue prestazioni, nonostante i quattro gol, non sono mai eccellenti e lo trascinano nel baratro dei calciatori normali. Con il fallimento delle visite mediche a Bologna in chiusura di mercato anche questo status viene minacciato, dall’incombente ombra dell’etichetta di “giocatore finito”. Quello che a oggi resta della carriera di un giocatore semplice nel corpo di una persona complessa, in attesa di un più che probabile ritorno in campo a gennaio, è la sensazione di un buon percorso schiacciato dal peso delle ambizioni. Laddove altri calciatori falliscono per una mancanza di fiducia nei propri mezzi che li limita al momento del salto di qualità, Cerci ha cercato anno dopo anno di raggiungere un livello non suo, senza accorgersi di essere in grado di dare il meglio di sé solamente in ecosistemi protetti e definiti. Da questa dispercezione deriva tutta la tragica cronistoria dei litigi con i propri tifosi, tutti ritenuti immeritevoli e fortunati ad averlo in squadra, gente incapace di accorgersi di stare assaggiando un piatto gourmet dopo una vita di junk food. Nel mondo di Cerci, gli unici tifosi con cui non si litiga, sono quelli del Barcellona.