Concreti e vincenti

La Roma batte il Milan sfoggiando una nuova versione di sé: cinica e pragmatica. Ma i rossoneri non ne escono ridimensionati.

«Noi siamo una squadra che è stata costruita per vincere. Il Milan no. Ed è per questo che dobbiamo vicere. E dobbiamo farlo ora». È probabile che, nella conferenza stampa di presentazione della partita, Luciano Spalletti abbia visto più lungo di quanto non abbia fatto al fischio finale di Mazzoleni. L’1-0 ottenuto nel monday night dell’Olimpico vale ben più dell’andare a giocarsi allo Juventus Stadium la concreta possibilità di riaprire sul serio il campionato: si tratta di un risultato che consegna alla storia del 2016/17 la Roma 2.0, una versione magari meno bella della precedente, ma molto più solida, concreta e maggiormente avvezza a leggere nelle pieghe delle cosiddette “partite sporche”, poi puntualmente portate a casa.

FBL-ITA-SERIEA-ROMA-AC-MILAN

Che sia stata una partita equilibrata non lo testimoniano solo le parole dei due tecnici a fine partita, ma anche i numeri: 48 a 52 il possesso palla (ed è una novità assoluta per i giallorossi in casa), 77% di pass accuracy per entrambe le squadre, 4 tiri a testa nello specchio della porta, 16 a 12 il computo dei contrasti vinti. Inevitabile, quindi, che l’episodio decisivo sia arrivato a seguito di quello che Montella ha definito come «l’unico errore in fase di non possesso», con Radja Nainggolan che ha sublimato la sua partita da uomo ovunque con il secondo gol consecutivo dopo quello del derby.

L’assenza di Salah (incerto il suo recupero per la trasferta di Torino) convince Spalletti ad optare per una formazione ibrida e in grado di interpretare al meglio la doppia fase grazie alla duttilità del recuperato Bruno Peres: partito nominalmente come terzo d’attacco, l’ex granata è in realtà l’esterno a tutta fascia di un 4-2-3-1 che, complice l’adattamento a terzino destro di Rudiger, si è trasformato ben presto in una sorta di 3-3-3-1 in non possesso, con Emerson Palmieri sulla linea dei centrocampisti e il triangolo De Rossi-Nainngolan-Strootman a dare la maggiore copertura possibile ai tre centrali di difesa. Di contro, il Milan non ha poi dovuto snaturarsi più di tanto, interpretando il copione che più gli è congeniale, pur al netto delle pesanti assenze di Bonaventura e Kucka (sostituiti con alterne fortune da Bertolacci e Pasalic): densità in mezzo al campo, chiusura delle linee di passaggio e ripartenze veloci sfruttando la capacità degli esterni di creare la superiorità numerica.

Dal grafico posizionale si intuisce come l’interpretazione della gara da parte delle due squadre non sia stata poi molto diversa. Il baricentro del Milan, squadra che per natura è portata a fare densità nella propria trequarti, è molto simile a quello dei padroni di casa
Dal grafico posizionale si intuisce come l’interpretazione della gara da parte delle due squadre non sia stata poi molto diversa. Il baricentro del Milan, squadra che per natura è portata a fare densità nella propria trequarti, è molto simile a quello dei padroni di casa

 Con queste premesse, il primo quarto d’ora di studio (fatta salva una conclusione di Dzeko ben respinta da Donnarumma al secondo minuto) è stato quasi una naturale conseguenza dello scacchiere tattico iniziale. Chi si aspettava una Roma che mettesse il Milan all’angolo puntando su ritmo, verticalità e velocità d’esecuzione negli scambi palla a terra, si è dovuto ricredere quasi subito. Tanto più che la prima occasione vera è stata proprio degli ospiti con un’azione dagli sviluppi ormai noti: recupero palla dopo una punizione a sfavore, Niang che in contropiede percorre la traccia interna allargando per Suso, accentramento da destra verso sinistro e taglio per l’inserimento di Lapadula che manca di un nulla l’aggancio e/o la deviazione vincente, inserendosi alle spalle della linea difensiva giallorossa e con un De Rossi pigro nella copertura preventiva.

Fiutato il pericolo, Spalletti chiede a Manolas di non salire più sui calci piazzati, in modo da poter sfruttare la sua velocità in ripiegamento per fronteggiare le transizioni milaniste. Eppure, la fase centrale del primo tempo è comunque il periodo maggiormente favorevole ai rossoneri, che prendono il controllo tecnico, fisico e mentale della contesa. Il gioco della Roma non riesce a trovare i consueti sbocchi in verticale anche perché Dzeko non è efficace come al solito nel gioco di sponda, Perotti non riesce a trovare il giusto spazio tra le linee e Nainggolan non sembra ancora a suo agio in quella posizione di trequartista atipico alla Perrotta recentemente cucitagli addosso da Spalletti (che, nel dopo gara, ammetterà: «Deve ancora capire come occupare certi spazi e non è sempre pulito in fase di palleggio, ma in questo momento mi serve lì perché riesce comunque a far giocare male gli altri quando costruiscono da dietro»).

Gol vittoria a parte, non c’è stato filo d’erba che Nainggolan non abbia lasciato intonso: 36 tocchi (76% di pass accuracy), 3 conclusioni verso la porta, ulteriori tre occasioni create per i compagni con altrettanti passaggi chiave
Gol vittoria a parte, non c’è stato filo d’erba che Nainggolan non abbia lasciato intonso: 36 tocchi (76% di pass accuracy), 3 conclusioni verso la porta, ulteriori tre occasioni create per i compagni con altrettanti passaggi chiave

È questo il contesto in cui, intorno alla mezz’ora, matura il primo turning point della serata: merito, manco a dirlo, ancora di Suso che, in un’altra sua azione classica, viene a prendersi palla dentro il campo, giocando di prima per Bertolacci (fino a quel momento piuttosto in ombra, così come il giovane Locatelli), il quale legge perfettamente l’ennesimo taglio di Lapadula poi steso da Szczesny. L’errore di Niang dal dischetto, poi, rientra nella casistica di un giocatore che ha sbagliato quattro degli ultimi sette rigori calciati tra Ligue 1 e Serie A.

Il successivo infortunio di Bruno Peres (comunque meno efficace del suo omologo Emerson Palmieri: a fine gara il dato racconterà di una Roma che ha attaccato dalla sinistra il 46% delle volte) costringe Spalletti a tornare al 4-3-3 d’ordinanza, alla ricerca di quell’equilibrio che sembra perduto. L’inserimento di El Shaarawy, paradossalmente, sembra restituire certezze difensive alla Roma che, una volta registratasi dietro, nel finale di tempo sfiora addirittura il vantaggio: su lungo lancio dalle retrovie di Rudiger, Dzeko è tanto abile a inserirsi tra Paletta e Romagnoli (in uno dei rari errori di posizione causato dal farsi troppo attrarre dal pallone) e a calciare verso la porta, quanto sfortunato nel non trovare la stessa di pochissimo.

L’intervallo porta consiglio al tecnico toscano che, infatti, ad inizio ripresa passa ad un 4-1-4-1 spostando De Rossi nella posizione di pivote davanti alla difesa e alzando Strootman sulla linea di Nainggolan, cui vengono demandate ulteriori libertà d’azione nell’attacco degli ultimi trenta metri. Nessun cambio di sistema, invece, per Montella, che prosegue sulla stessa falsariga del primo tempo: difendersi con ordine e ripartire quando si può. Come al 7’, quando è Pasalic a sprecare l’ennesima contro-transizione susseguente al recupero palla, calciando malamente di sinistro.

Con il passare di minuti, però, la Roma ritrova ritmi e geometrie, complice l’inevitabile calo fisico degli avversari e l’innalzamento della linea di pressing per favorire un recupero palla più alto. Non è un caso, quindi, che la rete del vantaggio maturi a seguito di un duello aereo vinto da Manolas (la sproporzione nel fondamentale è comunque clamorosamente a vantaggio dei giallorossi: 63% contro 37%) sulla linea di metà campo: il resto lo fanno il controllo di Nainggolan a tagliare fuori Locatelli e la conclusione saettante dai 20 metri a sorprendere un Donnarumma posizionato in maniera non ottimale.

Colpito quasi a freddo, il Milan sparisce progressivamente dal campo. Montella prova a giocarsi la carta del trequartista (Mati Fernandez) in uno strano tentativo di 4-2-3-1 che, nell’ultimo quarto d’ora, vede come punta centrale un Luiz Adriano, entrato al posto di Lapadula, sempre più svagato (toccherà appena 7 palloni in 18 minuti). La manovra diventa compassata, lenta e prevedibile e il solo Suso (57 tocchi, poco più del 60% di precisione) è in grado di creare qualcosa anche partendo da fermo. La Roma, quindi, può gestire a piacimento flussi e ritmi di gioco, giovandosi di Perotti e Dzeko che si esaltano nel tenere e smistare palla tra le linee: il bosniaco, in particolare, ritorna ad essere il giocatore che tiene fisicamente su da solo la squadra, con l’efficacia di sponde e tocchi che aumenta con il passare dei minuti (chiuderà con 51 palloni toccati e il 53.1% di pass accuracy).

La partita scorre via fino al fischio finale senza ulteriori sussulti, lasciando a Montella una comprensibile dose di amaro in bocca per quello che poteva essere e non è stato: «È stata una partita bloccata – dirà il tecnico rossonero –, a un certo punto avevamo anche in mano il pallino del gioco, poi l’episodio del gol ha cambiato tutto. È un peccato, anche se i ragazzi devono essere contenti di aver giocato alla pari contro una squadra più pronta e matura». Il concetto di maturità viene sottolineato più volte, e non a caso, dal tecnico rossonero: l’impressione, infatti, è quella di una sconfitta che ha una sua ragion d’essere nella diversa esperienza tra i giocatori in campo: l’undici del Milan aveva un’età media di 23 anni e 343 giorni, la più bassa di questa stagione tra le 20 squadre di A. Un passaggio a vuoto nella lettura e nella gestione dei diversi momenti della partita è assolutamente comprensibile, tanto più per un gruppo il cui percorso tattico è ancora da compiersi: il reinserimento di Bertolacci in una gara così importante, infatti, testimonia la volontà dell’ex allenatore della Fiorentina di costruire un centrocampo tecnico e dinamico, in cui le geometrie di Bonaventura possano coesistere con la fisicità di Kucka/Pasalic e un’altra mezz’ala di quantità e qualità.

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Dall’altra parte possiamo dire che la Roma sia finalmente diventata una squadra in grado di vincere anche quando non convince e non si esprime al massimo delle proprie possibilità? A sentire Spalletti la strada imboccata è quella giusta: «Siamo stati solidi e concreti e siamo riusciti a crescere alla distanza nonostante l’evidente difficoltà nello sviluppare il nostro solito gioco in verticale, anche in virtù dell’assenza di Salah. Ho apprezzato molto il lavoro dei centrocampisti che non si sono mai disuniti e non hanno mai lasciato scoperta la linea difensiva. Siamo stati bravi a portare a casa questa partita difficilissima e devo dire di essere molto contento perché, rigore a parte, abbiamo concesso molto poco».