Macheda, daccapo

Federico Macheda riparte dalla Serie B, a Novara. Un modo per tornare nel grande calcio dopo gli anni persi in giro per l'Europa.

“Se qualcuno ci avesse detto, in quei giorni, che quelli erano i nostri giorni, irripetibili, e che eravamo dentro un’eterna promessa che il tempo vissuto dopo non avrebbe mantenuto, noi non gli avremmo creduto. Avremmo pensato che invece il nostro tempo fosse ancora davanti a noi, che il meglio dovesse ancora venire…”.

Per Federico Macheda sembra arrivato il momento di prendersi il ruolo di giocatore compiuto, svestendo definitivamente i panni dell’astro nascente, dell’incompreso e sfortunato talento. A venticinque anni riparte dalla Serie B italiana, dal Novara di Boscaglia. Lascia la “sua” Inghilterra, per far ritorno da figliol prodigo in Italia. Eppure le aspettative su di lui alla fine del decennio scorso erano tante, forse eccessive, probabilmente giustificate, ma lo sperpero di molti fattori nel periodo britannico è sotto gli occhi di tutti. Il più grande abbaglio degli ultimi dieci anni? Difficile dirlo, vista l’età ancora giovane. Quel che è certo è che esplosioni così repentine spesso e volentieri coincidono con la grande delusione di aspettative mancate.

Manchester United's Italian footballer Federico Macheda (R) takes part in a training session at their Carrington training ground in Manchester, north- west England on April 6, 2009. Manchester United take on Porto in their UEFA Champions League quarter final fiest leg football match on April 7 at Old Trafford. AFP PHOTO/PAUL ELLIS (Photo credit should read PAUL ELLIS/AFP/Getty Images)

Mentre il 5 aprile del 2009 Pellissier segnava una tripletta alla Juventus, consegnando il primo scudetto interista a José Mourinho, l’Inghilterra calcistica vedeva sbocciare il talento di un ragazzo romano di soli 17 anni, pupillo di Alex Ferguson. Federico Macheda si era presentato agli occhi della Premier League con un gol vittoria all’esordio assoluto in maglia Red Devils. A distanza di sette anni, quel video sembra ancora l’incipit della storia di un predestinato. È il novantesimo minuto di Manchester United–Aston Villa, il risultato è fermo sul 2 a 2. Macheda, in campo da pochi minuti, riceve in area un passaggio da Ryan Giggs. Spalle alla porta, controlla il pallone di destro, colpo di tacco orientato ad eludere la marcatura del difensore e tiro a giro cadendo indietro. Gol. L’Old Trafford impazzisce, così come tutti i suoi compagni. Fletcher e Welbeck lo placcano durante l’esultanza, mentre un esagitato Evans urla la sua gioia davanti alla telecamera. L’incredulità, mista alla felicità, è lampante negli occhi di Alex Ferguson tanto quanto le parole del commentatore, che riesce solo ad urlare uno stridulo «MACHEDAAAAAA». Sembra un magico inizio di qualcosa, descritto al meglio da Giggs e Carrick. Attoniti di fronte a quello che ha fatto il italiano, prima di esultare si guardano, si abbracciano e sembrano dire: «Really?».

Decisivo subito

«Yes, really». Sette giorni dopo, in casa del Sunderland, Macheda si ripete. Subentrato a Berbatov, in meno di un minuto segna ancora. Su un tiro dalla distanza di Carrick, Kiko si trova sulla traiettoria. Come la settimana precedente, prova lo stop spalle alla porta, ma questa volta il suo tentativo diventa una deviazione perfetta che si infila alle spalle di Gordon. Ancora gol, nuovamente decisivo in una vittoria del Manchester United. Stesso finale ma con una trama opposta, quasi a voler continuare il filone narrativo iniziato la settimana precedente. Talento e fortuna, tecnica individuale e istinto naturale. La sua stagione si conclude con altre due presenze (questa volta da titolare) senza che arrivi il gol. L’Italia ha riscoperto il talento di un giovane ragazzo partito dal quartiere romano di Ponte di Nona ed esploso in terra straniera.

I primi calci nell’Atletico Prenestino, poi il Savio, storica fucina di talenti. Infine, nel 2002, il grande salto: la Lazio. Undici anni e già l’appellativo di “fenomeno”. Segna e strabilia Kiko. A sedici anni il suo nome è già sui taccuini di mezza Europa. Tutti lo vogliono, ma il suo cuore è biancoceleste. In Italia però non se ne parla, l’estero è l’unica soluzione. E l’idea di partire inizia a farsi persuasiva quando il Manchester gli offre un contratto da 80.000 sterline annue, più il posto di lavoro per la famiglia. Troppo allettante “sistemare” mamma e papà, troppo grande lo United per rifiutare. Il 16 settembre 2007 firma e parte alla volta di Old Trafford. Il biennio nell’Academy è come da previsioni e la convocazione di quel 5 aprile 2009 diventa solo l’evoluzione naturale di chi ha il futuro già scritto.

PORTO, PORTUGAL - APRIL 14: Federico Macheda and John O'Shea stretch during the Manchester United Training Session prior to their UEFA Champions League Quarter Final second leg match with FC Porto at the Estadio do Dragao on April 14, 2009 in Porto, Portugal. (Photo by Laurence Griffiths/Getty Images)

Nella stagione 2009/10 viene aggregato stabilmente alla prima squadra. Cambia maglia e passa dal 41 al 27, in una scalata “numerica” che è solo la trasposizione di quanto mostrato in campo. Ferguson però ha tanti campioni in quella rosa e a fine anno le presenze sono appena 11. Segna un solo gol, contro il Chelsea, trovandosi ancora una volta nel posto giusto al momento giusto. “Macheda handball”, il titolo del video di Youtube, è esplicativo. A talento e istinto, si aggiunge sempre più costantemente la sorte. «Le fortune grandi rendono la vita più beata, dato che, prese per sé, adornano la vita», diceva Aristotele. E infatti il 2010 di Kiko culmina con una gratificazione personale. Don Balón lo inserisce tra i 100 migliori talenti nati dopo il 1989. A soli 19 anni trova posto in una lista di pochi eletti, formata, tra gli altri, da cinque coetanei ancora semi-sconosciuti. Antoine Griezmann è un giovane prospetto della cantera della Real Sociedad, così come Goetze nel Borussia Dortmund. Hazard inizia a farsi conoscere da Rudi Garcia al Lille, mentre James Rodríguez muove i primi passi nel Banfield. Infine Neymar, che porta ancora dei capelli normali, gioca da un mese in prima squadra e il gol con il Santos ancora non sa cos’è. Kiko invece gioca con Giggs, Ferdinand, Scholes e duetta in attacco con Wayne Rooney. È forse il miglior ’91 di quella lista, il futuro è nelle sue mani.

Il terzo anno inizia come quello precedente. Poco spazio a disposizione in una rosa di campioni, 7 presenze totali condite dall’ennesimo gol “salva Manchester”. Ormai una costante, come l’urlo durante l’esultanza, quasi a voler scuotere Sir Alex:«Mi conceda spazio, lo merito». Arriva sia la scossa che lo spazio, ma a Genova, sponda Sampdoria.

GENOA, ITALY - JANUARY 09: Federico Macheda of UC Sampdoria (L) and Juan Silveira Dos Santos of AS Roma compete for the ball during the Serie A match between Sampdoria and Roma at Stadio Luigi Ferraris on January 9, 2011 in Genoa, Italy. (Photo by Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)
Federico Macheda in maglia Sampdoria affronta Juan della Roma in una gara di Serie A (Vittorio Zunino Celotto/Getty Images)

Ceduti Cassano e Pazzini, i blucerchiati si ritrovano a giocare una faticosa seconda parte di stagione con un pacchetto offensivo formato da Maccarone, Pozzi e quel Marilungo “compagno” su Don Balón. «Ho parlato con Ferguson e abbiamo deciso (in un surreale conciliabolo leggenda-predestinato) di venire a giocare di più», disse all’arrivo. Risultato? Tre presenze e zero gol in sei mesi, retrocessione con la Sampdoria e mesto ritorno a Manchester a fine campionato. Lo scorso marzo, durante un’intervista al Sun, l’entusiasmo del 2011 lascia il posto ad una consapevolezza quasi rabbiosa:«Non so perché andai in Italia, fu il peggior errore della mia carriera. Sarei dovuto rimanere in Inghilterra. La Samp non era così forte e io giocavo a fasi alterne. Quando sono tornato ho dovuto affrontare il triplo del lavoro per avere un’altra possibilità».

Il triennio successivo perde l’aura mistica, il filone narrativo del predestinato, e inizia a ricalcare sempre più i tratti del déjà vu descritto in Matrix. I due gol consecutivi all’esordio assumono le sembianze del gatto nero. Diventano l’errore nella matrice, quel picco di tensione in una carriera che non ha conosciuto alcuna normalità. E la continua rincorsa al glitch perduto, porta lo United a prestare Macheda in giro per l’Europa. Qpr, Stoccarda e Doncaster, sempre a gennaio, sempre per sei mesi. Per tenere viva la speranza che la scintilla giusta potesse riaccendersi prima o poi in maglia Red Devils.

BIRMINGHAM, ENGLAND - DECEMBER 03: of Birmingham City during the Sky Bet Championship match between Birmingham City and Doncaster Rovers at St Andrews Stadium on December 03, 2013 in Birmingham, England, (Photo by Michael Regan/Getty Images)

 

La teoria si scontra con la realtà e Kiko in tre anni colleziona solamente 32 presenze e 3 gol (tutti in maglia Vikings). Ma l’accettazione di quel che sarebbe potuto essere, e ancora non è stato, non fa breccia nella sua mente:«So di avere grandi qualità e spero che nei prossimi anni potrò dimostrare il giocatore che sono» – disse dopo la deludente stagione con lo Stoccarda – «L’importante è trovare una squadra che mi permetta di giocare ogni settimana con continuità. Il mio sogno è quello di diventare un grande giocatore internazionale e giocare i Mondiali con la maglia azzurra. Ho voglia di riprendermi tutto quello che avevo prima». La consapevolezza di sé è ancora molto alta, ma il concetto di fugacità inizia a prendere corpo. Macheda vuole riprendersi il proprio futuro. Partendo da qualcosa che sembra essergli sfuggito. Non i gol, non delle certezze perdute. Ma un ideale, un disegno già completo a diciassette anni.

Nel 2014, il prestito al Birmingham sembra essere finalmente quello della svolta. 18 presenze e 10 gol, numeri importanti. Ma quello che impressiona è la facilità e la disarmante naturalezza con le quali segna nel Championship. Qualitativamente un gradino sopra a tutti, Kiko sfoggia in sei mesi tutto il repertorio. Gol di testa, destro e sinistro, ribadendo per la prima volta che l’estenuante attesa era solo figlia della mancanza di fiducia in lui. Nonostante questo però la pazienza (speranza) del Manchester United ha un termine. A fine stagione i Red Devils non gli rinnovano il contratto e Macheda, libero da vincoli, si lega per tre anni al Cardiff. Nuovamente in Second Division, per confermare quanto di buono fatto vedere in maglia Blues e finalmente, a 23 anni, spiccare il volo verso quel “grande calcio” solo assaporato. Tra infortuni, nuovi prestiti e pochi gol, l’avventura in Galles termina nel giugno scorso. Con l’ormai solito carico di aspettative disattese e occasioni mancate.

L’estate da svincolato passa tra mille ammiccamenti ma poche proposte concrete. Il calciomercato si chiude senza una sistemazione. Macheda per la prima volta in carriera è senza squadra. L’aura di predestinato è ormai svanita così come il suo ruolo nel calcio è troppo nebuloso. È diventata una scommessa? È ancora un giovane di prospettiva, oppure a 25 anni l’ascesa ad un certo livello si è bloccata? Non sappiamo se il Novara abbia risposto a queste domande. Quel che è certo è che Kiko si è rimesso in gioco, scacciando definitivamente il passato da enfant prodige.«Questo per me è un nuovo inizio», ha detto il giorno della presentazione «e quello che è successo in passato me lo porterò dentro, però adesso conta il presente e il futuro. Sono qui per rilanciarmi alla grande, dopo un periodo non facile. Il mio unico obiettivo è entrare nei piani di Boscaglia e del Novara». Basta ricordi, basta dover rispondere a quello che altri avevano progettato per lui. I brillanti alle orecchie non ci sono più, così come l’inconscia ricerca di somigliare a Cristiano Ronaldo dopo i paragoni di inizio carriera. Il presente di chiama Serie B, Galabinov e lotta promozione sui campi di provincia.  Per non dover più guardare indietro, andando oltre i giorni di un’eterna promessa, sicuri che il meglio debba ancora venire.