Arsène Wenger tiene tra le mani una fotografia di Arsène Wenger, seduto sugli spalti dell’ormai scomparso Highbury, nel 1996. Il 66enne osserva: «Un uomo molto giovane che non riconosco più!». La foto arriva dal nuovo libro The Wenger Revolution del fotografo ufficiale dell’Arsenal Stuart MacFarlane, pubblicato per celebrare un anniversario di grande importanza: i vent’anni dalla prima partita del francese sulla panchina dell’Arsenal, un 2-0 in casa del Blackburn, il 12 ottobre 1996. Per fare un paragone: il secondo allenatore più longevo oggi nel calcio inglese è Paul Tidsdale del piccolo Exeter City, in carica da dieci anni.
Si ha come la sensazione che Wenger non durerà molto a lungo. Ha vinto la Premier League per l’ultima volta nel 2004, e sembra molto difficile che possa rivincerla ancora. Con tutta probabilità, la maggior parte dei tifosi dell’Arsenal si augura che dica addio presto, in modo onorevole e da leggenda, piuttosto che essere costretto tardivamente a essere messo alla porta, come un caro vecchio impiegato che ha mancato il momento giusto per salutare. Ma anche in privato, Wenger minimizza la questione. Preferisce parlare del presente. Lontano dalle conferenze stampa, Wenger è una persona divertente, un intrattenitore nato, il cui peso nel calcio è tale che anche i più grandi si siedono in silenzio attorno a lui per ascoltarlo. Quello che dice in questi incontri privati fa capire perché l’Arsenal non vince più niente – e perché la cosa potrebbe non infastidire troppo nemmeno lui.
Wenger resta affascinato dai calciatori, e l’altro giorno stava parlando di alcuni di loro. Come Jack Wilshere, il suo prediletto per tanto tempo, che Wenger a malincuore ha girato in prestito in estate al Bournemouth. Wenger adora ancora Wilshere. Lo considera come uno dei potenziali migliori calciatori dell’Arsenal, un professionista raro che tifa la squadra in cui gioca, e una persona che ama il calcio quanto lo stesso Wenger. I due possono sedersi insieme a chiacchierare di calcio per ore, felicemente. Tuttavia, quest’estate Wenger gli ha detto che, vista la sua forma fisica – lo staff medico pensava che non potesse essere nemmeno in grado di sostenere tutti gli allenamenti –, non doveva aspettarsi molti minuti in campo. Wenger considera Wilshere un autentico calciatore inglese, un po’ sul calco di Paul Gascoigne, che adora giocare con impegno, ma anche uscire e fare festa, pure quello con grande impegno. Anche se ha solo 24 anni, il suo corpo non può reggere a lungo. Infatti, quando Wilshere venne schierato per breve tempo nel centrocampo dell’Inghilterra insieme a Wayne Rooney a Euro 2016, sembravano una coppia di uomini di mezza età.
Wilshere ha detto a Wenger di essere disposto ad andare in prestito «ovunque tranne che agli Spurs» – gli odiati rivali. È difficile credere che lo vedremo ancora al vertice del calcio. E questo sarebbe un altro fallimento per uno dei progetti preferiti di Wenger: l’academy dell’Arsenal. È arduo individuare un giocatore indiscutibilmente di alto livello tra quelli prodotti negli ultimi vent’anni, eccetto Ashley Cole, che lasciò l’Arsenal per il più ricco Chelsea all’incirca quando arrivò al top. Wenger non ha realizzato il suo sogno di creare una grande formazione in casa.
Wenger è stato anche criticato per l’ultima star che non è riuscito ad acquistare: Jamie Vardy. Dopo aver trascinato il Leicester alla vittoria della Premier lo scorso anno, l’attaccante inglese sembrava sul punto di passare in un club più forte. Il suo agente si mise in contatto con Wenger. Wenger invitò Vardy nella sua casa di North London. Vardy ci andò. Il solo fatto che si trovasse all’interno dell’abitazione del tecnico dell’Arsenal faceva pensare che era pronto a firmare. Si misero a parlare, e Wenger gli offrì un buon ingaggio. Ma poi Vardy andò a casa, ha convinto il Leicester a pareggiare l’offerta dell’Arsenal e lì è rimasto. L’attaccante stava scegliendo la via più facile: a Leicester non ha niente da dimostrare. I tifosi lo ameranno per sempre per la vittoria del campionato e per non aver cambiato squadra, anche se non dovesse segnare nemmeno un altro singolo gol. Al contrario, all’Arsenal avrebbe dovuto dimostrare di poter rendere a grandi livelli per più di una stagione. Con il senno di poi, in Wenger si è fatto strada il sospetto che Vardy abbia usato l’Arsenal solo per raggiungere un ingaggio migliore con il Leicester, anche se il manager non lo ammetterà mai in pubblico, perché il bon ton del calcio non consente che si parli di accordi mai esistiti.
Ma il modo in cui Vardy ha snobbato l’Arsenal si inserisce in una lunga tradizione. Davvero pochi campioni vogliono ancora trasferirsi nella squadra, anche quando il parsimonioso Wenger è disposto a pagare i loro stipendi e i loro cartellini. Vero, nell’Arsenal giocano Mesut Özil e Alexis Sánchez, ma solo quando furono messi alla porta rispettivamente da Real Madrid e Barcellona. I migliori calciatori del momento ambiscono a qualcosa di più dell’Emirates Stadium. Lo si è visto nella prima gara di Champions League dell’Arsenal della stagione, a Parigi lo scorso 13 settembre. La partita è finita 1-1, ma solo perché l’attaccante del Paris Saint-Germain Edinson Cavani ha sbagliato una gran quantità di occasioni. L’Arsenal ha giocato molto peggio, e sullo sfondo la sagoma fine e familiare di Wenger nell’area tecnica dava l’impressione di ammirare Marco Verratti (un tipico distributore di palloni in stile Arsenal, ma migliore), Ángel Di María e Thiago Silva, riflettendo che, quando Özil è in giornata no, l’Arsenal non ha nessun altro che in termini di qualità gli si avvicini minimamente.
Wenger si era anche soffermato su un calciatore che ha acquistato, Rob Holding, un difensore centrale inglese di 21 anni arrivato dal Bolton Wanderers. Non dice molto di Holding in pubblico, per timore di mettere pressione sul ragazzo, ma in cuor suo ha grandi speranze. Wenger lo chiama per parlare di fronte ai video delle partite giocate, e quando Wenger comincia a indicare un momento in cui Holding ha fatto qualcosa di sbagliato, Holding finisce la frase per lui. Sa esattamente cosa avrebbe dovuto fare. Ha un cervello calcistico (tristemente assente in Gabriel Paulista, il difensore brasiliano dell’Arsenal, come il tecnico sa bene) e per questo Wenger pensa che Holding possa giocare in Nazionale per dieci anni.
La sua eccitazione è palpabile. Se Holding diventa un campione, è comunque improbabile che Wenger sia ancora al suo posto per godersi la sua affermazione. Wenger vuole farlo crescere non per ragioni egoistiche, ma perché Wenger adora far crescere giocatori – anche più, forse, di quanto adori vincere. Il suo ex giocatore Lilian Thuram, che sotto la gestione di Wenger è passato da essere centrocampista di riserva nel Monaco a terzino campione del mondo con la Francia nel 1998, una volta ha detto: «È un educatore». Questo, infatti, è il pensiero fisso di Wenger. Appassionato di autobiografie, crede che la grandezza sbocci solo quando un talento incontra qualcuno «che gli dia una pacca sulle spalle e gli dica “credo in te!». Questo è quanto Wenger ha fatto con Patrick Vieira, Thierry Henry e Robin van Persie, e quello che spera di continuare a fare.
Una volta riusciva ad abbinare lo sviluppo di giocatori con la vittoria di titoli. Ma questo succedeva perché quando quel giovane occhialuto arrivò in Inghilterra nel 1996, portò delle conoscenze che nessun altro aveva nel Paese. Wenger fu un pioniere nell’utilizzo delle statistiche per valutare i giocatori, trasformò la dieta della squadra cancellando fagioli stufati e Coca Cola e introducendo verdure e pesce e, soprattutto, fu il primo manager della Premier League ad attuare uno scrupoloso scouting all’estero. Qualsiasi squadra inglese avrebbe potuto prendere i giovani Vieira e Henry a poco prezzo, ma solo Wenger li conosceva. Se giocatori di quel calibro emergessero al giorno d’oggi, ogni grande squadra gli darebbe la caccia, e firmerebbero con qualcuno che li paghi più dell’Arsenal.
L’ultima grande innovazione di Wenger è stata la decisione di trasferire la squadra da Highbury al più grande e nuovo Emirates Stadium. L’intero progetto è costato quasi 450 milioni di euro, secondo le stime dell’Arsenal, ma Wenger sapeva che sarebbe stato l’unico modo per aumentare i ricavi del club nel lungo termine. In un certo modo il piano ha funzionato: l’Arsenal ha quasi pagato del tutto il mutuo sullo stadio, e I loro ricavi nel 2014/15 sono arrivati a 435,5 milioni di euro. Ma è comunque meno di quanto fanno i due club di Manchester e, come per tutte le innovazioni di Wenger, i club rivali stanno recuperando terreno. Restando a Londra, il West Ham si è spostato in uno stadio grande quanto l’Emirates, gli Spurs contano di fare lo stesso nel 2018 e il Chelsea non molto tempo dopo.
In termini di giocatori, Wenger sta ancora guardando al futuro, ma in termini di trofei ha raggiunto il punto da dove non gli rimane che guardare indietro. In The Wenger Revolution, riflette: «La finale di Champions League del 2006 rimane il mio più grande rimpianto, ovviamente… Ci ho pensato cento volte, cosa avrei potuto fare di diverso? Avrei dovuto cambiare Fàbregas o no? Inserire Flamini o no?». C’è stato un momento della partita, con l’Arsenal in vantaggio per 1-0, in cui Henry si è presentato di fronte a Victor Valdés. Ma Valdés ha respinto la conclusione, il Barcellona ha rimontato fino al 2-1 finale e Wenger probabilmente dovrà lasciare il calcio senza aver vinto il più importante trofeo per club – un riconoscimento che avrebbe meritato. Ma, anche se non dovesse vincere nient’altro, potrà andarsene sapendo di aver cambiato il calcio inglese.