Il 5 è il nuovo 10

È qualcosa che ha a che vedere con il cambiamento del gioco: è ormai impossibile rinunciare alla creatività in mezzo al campo.

Quando l’Inter ha acquistato Roberto Gagliardini, affidandogli la maglia numero 5 di Felipe Melo, mi sono tornate in mente le parole di Fernando Redondo: «Tutto quello che succede in campo passa per i piedi di chi gioca in quel ruolo. Se Gesù Cristo avesse giocato a calcio, avrebbe scelto la maglia numero 5». Parole che per tanti anni sono sembrate esotiche, come la scelta di affidare ad un centrocampista un numero che, per noi italiani, è sempre appartenuto ai difensori, con qualche rara eccezione, e Falcao e Junior non vengono dallo stesso Paese per caso. Quello che è accaduto al centrocampo dell’Inter è qualcosa di molto simile a un’epifania. Ci aveva provato anche Frank De Boer, in realtà, arretrando Joao Mario di trenta metri, ma essere numero 5 è un’altra cosa.

Nell’opera di “normalizzazione” con la quale si etichetta, in maniera piuttosto semplicistica e semanticamente non troppo felice, il lavoro di Pioli, l’Inter ha operato una rivoluzione copernicana all’interno del proprio sistema di gioco. Al posto di un brasiliano specializzato nella rottura del gioco ha affidato la “cinque” ad un giovane italiano in grado di ispirare, di rischiare la giocata, di prendersi delle responsabilità e creare superiorità numerica. Se di caso si è trattato, è un caso molto simbolico, perché il numero 5 è, a tutti gli effetti, il dieci del calcio contemporaneo. Gagliardini non avrebbe potuto trovare, perché si fa fatica a credere che l’abbia scelto, un numero migliore. La metà del 10. E in effetti appare abbastanza evidente che se il numero 10 ha oggi quasi sempre un compito da seconda punta o da esterno di un tridente offensivo, la fantasia occupa una zona di campo nel quale la giocata e il rischio in passato erano banditi. Quello che emerge è il tentativo di trovare spazio a centrocampo ai giocatori più creativi, indipendentemente dalla posizione in cui vengono schierati, e che varia in funzione del modulo. È l’eccezione che diventa regola, il giocatore che prende in mano la squadra. Gagliardini è un interno abile a giocare in un centrocampo a due, anche al fianco di giocatori offensivi e propensi agli inserimenti in avanti – come Kessié a Bergamo o Brozovic a Milano. L’incredibile calma con la quale gioca è frutto di fondamentali certamente di primo livello, ma deriva anche dall’allenamento a prendersi dei rischi.

 

Nella Juventus il numero 5 è Pjanic. Il suo inserimento non è stato indolore, ma Allegri possiede rare doti di pazienza ed elasticità tattica. Il bosniaco è più un trequartista che può anche ricoprire il ruolo di interno in un centrocampo a tre. Il milanista Bonaventura, altro 5 di numero e di fatto, ha capacità di inserimento e di copertura che lo rendono efficace anche quando viene spostato in fascia laterale. A Bergamo era il giocatore di raccordo fra centrocampo e attacco, e la sua posizione variava in funzione degli schemi di gioco adottati dai bergamaschi. Così, a volte l’ex atalantino veniva impiegato come trequartista nel 4-3-1-2, scivolando poi sull’esterno in schieramenti più tradizionali come 4-4-2 o 4-3-3. Una poliedricità tattica che continua a caratterizzarlo anche nel Milan, dove, almeno fino all’infortunio, è stato centrale negli schemi di Montella.

 

Se siamo stati abituati, per anni, a vedere squadre molto muscolari a centrocampo – i modelli in questo caso sono Rijkaard per l’epoca di Sacchi e Desailly per quella di Capello – oggi la tendenza è tornata ad essere quella del volante impiegato in una zona di campo più lontana dalla porta. Alcune squadre di Serie A scelgono di impiegare costruttori di gioco davanti alla difesa: Biglia nella Lazio o Paredes nella Roma, altre giocatori più geometrici, di regia, come Magnanelli del Sassuolo. Le statistiche ci aiutano poi a capire meglio la diversità filosofica che sta dietro l’utilizzo dell’uno o dell’altro tipo di giocatore. Così se Paredes ha una percentuale di precisione nei passaggi (89%) vicina a quelle di Biglia (87.3 e più alta di quella di Magnanelli, 81.4) è anche vero che la media dei passaggi lunghi a partita del centrocampista romanista (2.6) è inferiore a quella del giocatore della Lazio (5.1) e di quella del capitano del Sassuolo (6.3), segno della volontà della Roma di utilizzare un giocatore tecnico per giocare sul corto. Diversa è la situazione di Badelj della Fiorentina che, pur essendo un giocatore più geometrico che di qualità, ha un’alta percentuale nella precisione dei passaggi (87.2) ed un basso numero di palloni lunghi a partita (3.1), frutto della filosofia di gioco dei viola.

 

Accanto a questi troviamo infine dei giocatori che in passato erano mediani, dinamici box-to-box midfielder, che sono stati riconvertiti in centromediani da impiegare davanti alla difesa. È il caso di De Rossi con la Roma o Marchisio con la Juventus. Nel primo caso, hanno contribuito a questa trasformazione l’età del giocatore con il romanista che a 33 anni ha perso quella dinamicità che lo contraddistingueva negli anni giovanili, ma che è cresciuto in termini di esperienza e adattabilità a diversi ruoli. Nel caso di Marchisio invece la questione non è l’età, quanto la sua capacità di leggere la situazione e di garantire sostanza nella fase difensiva, un equilibrio che sarà ancora più importante ora che Allegri ha varato la formula 4-2-3-1. In Europa c’è chi utilizza il metodista come Xabi Alonso o Sergi Busquets, chi un giocatore più di talento – Weigl del Borussia Dortmund –, chi un mediano come Touré. Il 5 ideale del calcio moderno è forse N’Golo Kanté, un giocatore raro, quasi introvabile. Praticamente un tuttocampista: interditore e regista avanzato nella stessa azione. Gary Lineker gli ha dedicato uno dei tweet più belli della scorsa stagione: «Se il 70% del pianeta è occupato dall’acqua, il resto è occupato da N’Golo Kanté».

 

La zona centrale del campo è sempre più una zona dove far transitare giocatori di grande intelligenza tattica, non solo muscolari, capaci di risolvere le partite non con la singola giocata ma conquistando lo spazio, giocando di prima intenzione, scegliendo il ritmo e variando la lunghezza dei passaggi. Un giocatore capace di guidare telepaticamente i movimenti dei compagni e cercare, subito dopo aver giocato il pallone, una nuova linea di passaggio, avanzando a forza di triangoli. È una figura nuova con connotati antichi, ispirata alla letteratura brasiliana, alla figura del volante. Soltanto che oggi è un giocatore che si palesa, con diverse caratteristiche, a tutte le latitudini: tutto quello che succede in campo passa per i suoi piedi.