Seattle è rimasta senza basket

Il vuoto lasciato dalla scomparsa dei Sonics è difficile da colmare, nonostante Wnba, Mls, Nfl e tornei minori.

La KeyArena, uno degli impianti simbolo della Nba nella seconda metà degli anni Novanta, si trova al 305 di Harrison Street, nel centro di Seattle. Donald Earl “Slick” Watts, che era stato una stella di prima grandezza nel basket degli anni Settanta, la fissa sconsolato ed esclama: «Forty one years. Man, forty one years». La scena è tratta dal cortometraggio A day in the life of Seattle without the Sonics, realizzato nel 2011 dal duo hip hop Blue Scholars per il lancio del pezzo intitolato, appunto, Slick Watts: ovvero l’ennesima lettera d’amore degli abitanti della “Emerald City” alla propria squadra di basket, sacrificata sull’altare del business e di canoni non più rispondenti alle esigenze di una delle leghe più ricche del mondo.

18 May 1996: Hersey Hawkins #33 of the Seattle Supersonics helps teammate Shawn Kemp #40 to his feet as fans cheer them on during the Sonic''s 102-72 game one victory over the Utah Jazz in the NBA Western Conference Finals at Key Arena in Seattle, Washing

Quarantun’anni, quelli intercorsi tra il 1967 con l’arrivo in città dei Supersonics, e il 2008, quando il nuovo proprietario Clay Bennett (che due anni prima aveva acquistato la franchigia da Howard Schultz, plenipotenziario della catena Starbucks) decise trasferire a Oklahoma City una squadra che poteva contare su un giovanissimo Kevin Durant, seconda scelta assoluta al Draft 2007, oltre che su Russell Westbrook, selezionato proprio nell’estate del cambio di città. In mezzo un titolo Nba (nel 1979), due finali perse (nel 1978 contro i Washington Bullets e nel 1996 contro i Chicago Bulls di Michael Jordan) e una serie di giocatori di assoluto culto, tutti menzionati in un’intera strofa del già citato singolo dei Blue Scholars: 

Vinny Askew Lenny Wilkens / Vernon Maxwell Gus Williams / Dale Ellis Slick Watts Ray Allen Sam Perkins / Downtown Freddie Brown Ricky Pierce / John Dennison Eddie Johnson / Nate McMillan Xavier McDaniel / Durant Brent Barry Schrempf even Steve Scheffler / Frank Brickowski Lonnie Shelton / Spencer Haywood Jack Sikma / No McIlvane mane Greg Kelser / Dana Barros, Tom Chambers / Sean Kemp and the great Gary Payton.

Da quasi dieci anni a questa parte, però, l’unica traccia di Seattle nella Nba è stata rappresentata dal rapporto viscerale che ha legato (e lega tutt’ora) giocatori come Jason Terry, Jamal Crawford, Brandon Roy, Nate Robinson, Aaron Brooks e Isaiah Thomas: i primi veri e propri padri putativi chiamati a prendersi cura dei secondi, con il celeberrimo 2-0-6 (il prefisso telefonico della città) tatuato e in bella vista, a rimarcare e sottolineare l’appartenenza a un contesto unico nel suo genere.

Il tutto in un periodo in cui, alle voci di un possibile ritorno nell’ambito del programma di espansione della Nba (la denominazione Supersonics è stata comunque lasciata a disposizione della città: quasi un unicum nella storia dello sport professionistico americano), hanno sempre fatto seguito puntuali smentite. L’ultima è datata novembre 2016, con il commissioner Adam Silver che ha fatto chiaramente intendere che un ritorno in grande stile dei Sonics non è attualmente nei programmi della lega. Il problema è sempre lo stesso: la Key Arena, una specie di grotta sotteranea da poco più di 17mila posti, adattissima negli anni ’90 a ospitare le gesta di Shawn Kemp e Gary Payton, ma da considerarsi superata in relazione ai nuovi standard Nba. Servirebbe una nuova arena ma, da quest’orecchio, l’amministrazione locale continua a non sentirci.

Oggi l’appassionato medio di basket di Seattle deve “accontentarsi” delle imprese delle Storm (campionesse Wnba nel 2004 e 2010, con i colori giallo e verde della divisa che richiamano quelli dei Sonics), dei ricordi sotto forma di video caricati sul canale Youtube Sonicsgate e, soprattutto, dei tornei estivi organizzati nelle palestre e nei playground in giro per la città. Il più importante e famoso è certamente il Seattle Pro Am, che ogni anno raduna decine di appassionati da ogni angolo degli Stati Uniti, anche per la presenza di numerosi pro Nba: i già citati Crawford e Thomas, ma anche Paul George, Chris Paul e Zach LaVine. Tutti ansiosi di misurarsi con le mai troppo celebrate (almeno dal loro punto di vista) glorie locali. Per chi, invece, ha minori pretese di competitività, il sito SeattleYouthBasketball, propone tutta una serie di tornei adatti a ogni esigenza, fascia d’età e tasca: basta selezionare l’evento prescelto e la modalità di pagamento (preferibilmente online) per poter iscrivere la propria squadra.

ATLANTA - NOVEMBER 16: Kevin Durant #35 of the Seattle SuperSonics awaits a free throw by the Atlanta Hawks during the first half at Philips Arena November 16, 2007 in Atlanta, Georgia. (Photo by Kevin C. Cox/Getty Images)

Grande richiamo hanno anche le sfide tra le high school locali, in particolare quelle tra Franklin, Nathaniel e O’Dea: una rivalità che si sostanzia non solo nelle normali partite valevoli per i vari campionati scolastici e statali, ma anche nelle “amichevoli” (mille e una virgolette) organizzate saltuariamente dagli ex studenti, alcuni dei quali diventati professionisti. In tal senso resta unico l’aneddoto riguardante Aaron Brooks, ricordato qualche tempo fa anche da Federico Buffa: finito in Cina tra le fila dei Guangdong Tigers durante il lockout che ha preceduto la stagione Nba 2011/12, Brooks non ebbe remore, al termine di una partita della Cba, nell’affrontare un viaggio intercontinentale (e relativo fuso orario) per tornare in città e aiutare gli ex membri della class of 2003 della Frankin High School a vincere una di queste sfide, cambiandosi direttamente al suo arrivo in palestra.

Oggi la Seattle sportiva è una città che ha ricevuto in dote titoli dalla Nfl (con i Seahawks vincitori del Superbowl 2013 e finalisti nel 2014, sconfitti dai New England Patriots) e dalla Mls (Sounders campioni nel 2016, battendo in finale il Toronto di Sebastian Giovinco) ma che, dal punto di vista cestistico, resta sospesa in un limbo senza una concreta speranza di vedere la fine. L’attesa messianica per il ritorno dei Sonics rivela ogni giorno che passa un vuoto sempre più difficile da colmare.