Per il movimento calcistico belga è un momento storico: prima la Nazionale ha raggiunto il vertice del ranking Fifa, adesso due dei suoi attaccanti migliori (Lukaku e Mertens) hanno buone chances di vincere la classifica dei cannonieri rispettivamente di Premier League e Serie A, mentre ben tre squadre si sono qualificate per la prima volta agli ottavi di Europa League. Ma è soprattutto il brand calcistico che sta vivendo un’evoluzione pazzesca, considerato che parliamo di un Paese di soli 11 milioni di abitanti pieno di contraddizioni interne. Come raccontava Sam Knight nell’incipit di un vecchio articolo uscito su Grantland alle soglie dei Mondiali del 2014, chi, fino a qualche tempo fa, era in grado di trovare il nome di 10 personaggi famosi provenienti dal Belgio, accolti nell’immaginario comune? Oltre a Magritte, Merckx e Poirot il piccolo stato europeo adesso può vantarsi di aver partorito un’intera generazione di fenomeni.
L’anno zero per la rinascita del sistema calcistico nazionale è forse il 2000, l’anno in cui il Belgio ospita gli Europei a braccetto con la vicina Olanda. È proprio la performance sul campo dei Diables Rouges a preoccupare così tanto il presidente della Federazione, Michel Sablon, da convincerlo ad intraprendere una vera rivoluzione tattica e logistica dell’intero apparato, partendo dalle basi. L’imperativo era cancellare l’immagine di una Nazionale statica, noiosa e decisamente poco competitiva, la ricetta prevedeva un approccio completamente diverso nella crescita dei singoli giocatori, legato all’individualismo e all’innovazione. Quasi vent’anni dopo le accademie giovanili sono il fiore all’occhiello del Paese e i risultati sono alla portata di tutti: i club belga hanno imparato in fretta a formare ed esportare talenti, guadagnando molto in fatto di immagine e non solo, grazie al lavoro nei vivai. Accanto a sedi storiche come Anderlecht, Club Brugge e Standard Liegi, il movimento adesso comprende alcune moderne realtà come quella del Krc Genk. Parliamo di realtà che hanno imparato in poco tempo come inserirsi nel panorama calcistico economico europeo.
Un gol incredibile di Ndidi in maglia Genk, contro il Club Brugge.
Frutto di una fusione avvenuta solamente nel 1988, oggi il Genk si presenta come uno dei club più interessanti dell’ultimo decennio per il modello societario che lo ha reso, di fatto, una vera e propria miniera d’oro. “Mine for gold'” proprio come lo slogan apparso sulle magliette dei tifosi dopo l’ultimo scudetto del 2011. Ai successi in patria hanno fatto seguito le prime apparizioni nelle coppe europee (i tifosi di Roma e Real Madrid ricorderanno di certo i pareggi con la matricola belga), ma è la sostenibilità il vero motivo per cui questo piccolo club, proveniente dalla provincia del Limburgo, merita le attenzioni degli appassionati di tutta Europa.
Parliamo di un sistema talmente connaturato nel Dna del club che prescinde dall’operato dei singoli personaggi che si sono succeduti in questi anni: la filosofia è incentrata completamente sullo sviluppo e sul supporto ottimale dei giovani talenti. E non solamente per cultura ma per assoluta esigenza di mantenersi su certi standard produttivi e competitivi, come ha più volte candidamente ribadito Roland Breugelmans, uno che da 25 anni è il punto di riferimento per il lavoro delle giovanili: insomma, l’unica alternativa concessa a una squadra che non possiede né il seguito né gli introiti o l’appeal di un club di Premier League, ma ha le idee chiarissime su come sfruttare al meglio il potenziale che ha a disposizione.
Sold by KRC Genk since 2011
✅Ndidi £15m
✅Bailey £11,5m
✅Benteke £8m
✅Courtois £7,5m
✅De Bruyne £7m
✅M-Savic £7m
✅Koulibaly £6m
✅Kabasele £6m— Kristof Terreur ? (@HLNinEngeland) 29 gennaio 2017
Con il suo 4-3-3 tipicamente belga (fu lo stesso Sablon ad insistere affinché tutte le squadre adoperassero lo stesso sistema di gioco), il Genk ha appena superato brillantemente un difficile girone di Europa League, primeggiando contro tre squadre ostiche come Athletic Bilbao, Sassuolo e Rapid Vienna, per poi raggiungere gli ottavi eliminando l’Astra Giurgiu nel doppio confronto. Tra i record stagionali c’è quello di squadra dall’undici iniziale più giovane, solo 22 anni di media fatta registrare in Europa. Eppure, a cavallo tra il 2016 e il 2017, è avvenuta l’ennesima mini-rivoluzione tecnica: un avvicendamento in panchina (coach Maes è stato esonerato e al suo posto è arrivato un ex assistente di Van Gaal, Stuivenberg) e l’inevitabile cessione dei due giocatori più promettenti, Leon Bailey e Wilfred Ndidi, destinati rispettivamente a Bayer Leverkusen e Leicester.
Due giovani già pronti per misurarsi con palcoscenici più importanti. La squadra, però, non è destinata a perdere il suo status di club di assoluta avanguardia: le plusvalenze sono necessarie, uno dei principali fattori che permette ai Genkies di sopravvivere e di poter investire ancora sul vivaio e sulle strutture del club. Oltre ad uno stadio di proprietà avveniristico e funzionale, la Luminus Arena, nel 2003 è stata inaugurata nelle vicinanze anche una talent academy che porta il nome del patron Joes Vaessen, costruita per far crescere al meglio i campioni del futuro. Il club punta fortissimo, ovviamente, sull’attività di scouting: oltre a essere stato il primo club belga ad aver recentemente stretto un accordo di intelligence data con la SciSports, il Genk ha spesso beneficiato dal lavoro dei suoi osservatori sparsi in giro per il mondo. E poco importa se un veterano come Roland Janssen abbia da poco abbandonato il suo ruolo di head scout per diventare l’uomo di punta del Manchester United in Belgio, il lavoro di ricerca è destinato a continuare ugualmente.
La vittoria in casa del Sassuolo.
Inevitabilmente, a maggior ragione dopo la doppia cessione di Bailey e Ndidi, da qualche mese circola in rete la top 11 delle cessioni del Genk, roba che farebbe impallidire i dirigenti di mezza Europa. Come ricorda Squawka, hanno vestito recentemente la casacca bianco-blu alcuni giovani pilastri della Nazionale belga come Kevin De Bruyne, Thibaut Courtois, Yannick Ferreira Carrasco, Divock Origi, Christian Benteke, Christian Kabasele e Steven Defour, ma anche rising stars straniere allevate sul suolo belga come Sergej Milinkovic-Savic e Kalidou Koulibaly.
Anche i numeri sono dalla parte del Genk: in un articolo apparso sul sito della Uefa si nota come, negli ultimi quindici anni, quasi l’80% dei giovani cresciuti nel vivaio è arrivato in prima squadra, mentre il bilancio annuale sta facendo registrare l’ennesima stagione in crescita con un surplus economico che ammonta a quasi 30 milioni di euro. E visto che questo tipo di business paga, e pure con una certa continuità, è lecito chiedersi chi saranno i prossimi talenti in rampa di lancio: le aspettative sono tutte per Siebe Schrijvers (classe 1996), un esterno d’attacco che ha però avuto qualche rallentamento di troppo nel processo di crescita, seguito dai connazionali Timothy Castagne (1995) e Bryan Heynen (1997), dal norvegese Sander Berge (1998) e dal gambiano Omar Colley (1992), che presto potrebbe sbarcare in Inghilterra. A sorpresa però potrebbe essere una ex conoscenza del nostro campionato ad esplodere: si chiama Pierre Zebli, ha diciannove anni ed è un centrocampista ivoriano con passaporto italiano che il Genk ha prelevato durante il mese di gennaio dal Perugia, dopo un breve trascorso nelle giovanili dell’Inter e 49 presenze in Serie B con gli umbri.
Dare e ricevere, in un ciclo infinito: se il calcio fosse un grande ecosistema, oggi il Genk rappresenterebbe la squadra ideale per svolgere al meglio un ruolo delicato e nello stesso tempo necessario: fare da anello di congiunzione tra i top club europei, sempre più esigenti e pragmatici, e le realtà calcistiche in divenire, intrattenendosi con l’élite europea e nel frattempo intraprendendo rapporti con scuole calcio e accademie di mezzo mondo, curando al meglio il loro approccio più intimo e diretto allo sviluppo che parte dal basso.
Una funzione specifica, o forse una vera e propria attitudine, che in tanti hanno riconosciuto per anni all’Ajax. Se consideriamo l’assenza di grandi investitori alle spalle, di grossi introiti e di un utenza relativamente modesta, quello di creare e mantenere un apparato del genere nella fredda provincia belga si può considerare un vanto doppio. Genk è la dimostrazione che un grande progetto può nascere quasi dal nulla, senza rimanere banale. D’altronde stiamo parlando di tutto fuorché di una “favola”: quella allenata da Stuivenberg è una squadra che si sta specializzando nella promozione del talento. Le ragioni della sua continua crescita sono giustificate dalla bontà e dalla metodicità delle scelte societarie, sempre ponderate: per tendere all’eccellenza l’improvvisazione lascia spazio alla programmazione continua; intraprendenza e passione coesistono in maniera perfetta rispettando i limiti dell’assoluta indipendenza finanziaria e dell’equilibrio societario. Indipendenza ed equilibrio, quindi, elementi imprescindibili come, da sempre, è stata anche l’esaltazione dei principi educativi legati alla crescita dei singoli, il vero marchio di fabbrica di una società sempre più inconfondibile.