Pollici e indici tesi all’infuori, le altre dita chiuse, con quel dettaglio street culture dei tatuaggi sulle nocche. Antoine Griezmann fa mulinare le mani in su e giù, per due volte. Nella sera di Francia-Germania, semifinale degli Europei 2016 disputata al Vélodrome di Marsiglia, l’attaccante francese esibisce la sua esultanza, mutuata da un balletto del rapper Drake nel video della hit “Hotline Bling”. Il suo gesto arriva durante una partita sentitissima: i Bleus, praticamente obbligati dalle pressioni di pubblico e stampa a vincere gli Europei casalinghi, superano un avversario ostico, ritenuto, almeno sulla carta, l’ultimo vero ostacolo tra la squadra guidata da Didier Deschamps e la vittoria finale.
Ma se i francesi hanno fatto un errore nel ritenere di aver vinto gli Europei dopo la semifinale contro la Germania, grazie a quella partita la Nazionale francese può dire di essersi finalmente riconciliata con il proprio pubblico dopo la dolorosa frattura creatasi in seguito ai fatti del Mondiale sudafricano. In quest’ascesa coronata di consensi e nel tripudio di tricolori transalpini, il mantello dell’eroe si è posato sulle spalle di Antoine Griezmann, che, in virtù dei suoi sei gol all’Europeo ma anche di un’immagine pubblica irreprensibile, è diventato in poco tempo il giocatore preferito dei francesi e dei pubblicitari.
In tutto questo, il suo gesto, la sua “esultanza Hotline Bling“, è diventato parte integrante del personaggio, rappresentando da una parte la sua indole spensierata, il suo ergersi come modello positivo, dall’altra la sua capacità di piacere a persone appartenenti a demografie molto diverse tra loro, proprio grazie a quella strizzatina d’occhio all’universo hip hop e ad un artista acclamato come Drake. Persino Benoit Hamon, candidato socialista alla presidenza, in campagna elettorale si è lasciato andare al commento: «In un periodo in cui abbiamo dubbi su tutto, non c’è motivo di privarsi di una buona dose di Griezmann!».
La manina con il pollice e il mignolo teso (che nel frattempo è stata proposta anche come icona nell’ultimo set di emoji disponibili su Whatsapp) nel mondo del calcio è dunque diventata il marchio di fabbrica di Griezmann che, con lo stesso movimento delle mani divenuto celebre grazie alla sua esultanza, mixa cocktail, fa il parrucchiere, sferruzza e pilota un aereo nello spot di un deodorante Puma uscito lo scorso novembre e presto diventato il video pubblicitario più visualizzato in Francia nel 2016. Sempre con una mossa alla “Hotline Bling”, Griezmann saluta il pubblico del Madison Square Garden mentre è inquadrato nel celebrity ring poco prima di una partita dei Knicks, sotto Natale, e chiude una nuova pubblicità uscita per Gillette, nel gennaio 2017.
Ciò che ha portato l’esultanza di Griezmann dal campo del Vélodrome al curato set di una pubblicità in cui il giocatore si rade, facendo smorfie allo specchio, è sintomo di un processo di costruzione di un brand piuttosto ben riuscito. Innanzitutto il giocatore, a detta del suo stesso consulente in gestione dell’immagine, Sébastien Bellencontre, «ha un fisico che attraversa ogni segmentazione, piace sia ai bianchi che ai beurs (slang per “maghrebini”, “nordafricani”, ndr), sia agli asiatici che ai neri, sia agli uomini che alle donne, sia ai giovani che agli anziani… Perché purtroppo lo sappiamo, il Black-Blanc-Beur in realtà non funziona più». Ma, soprattutto, Griezmann ha indovinato il gesto giusto e l’ha compiuto in un contesto di esaltazione tale da farlo diventare una madeleine collettiva che riconduce a un momento di gioia, ma anche un simbolo pronto ad essere riprodotto e commercializzato.
A questo tipo di scenario dovremo sempre più abituarci: le esultanze dei giocatori stanno diventando un elemento che definisce il loro brand personale, anziché essere un gesto spontaneo con cui celebrare l’entusiasmo del momento. Certo, il legame tra alcuni attaccanti e le loro esultanze tipiche è sempre stato un classico nel calcio, se si pensa, ad esempio, all’aeroplanino di Montella, alla mitraglia di Batistuta, al braccio alzato di Shearer. Tuttavia, il gesto non veniva riportato fuori dal campo con la stessa insistenza, perché non esistevano i supporti comunicativi che abbiamo a disposizione oggi, né quel focus quasi non-stop sulla vita dei calciatori che i social network permettono. Profili personali dei giocatori, account ufficiali delle squadre, la nascita recente di un social dedicato esclusivamente al “dietro alle quinte” del mondo del calcio, Dugout: la sovraesposizione dei calciatori fuori dal campo genera ancora più attaccamento emotivo nei tifosi e negli appassionati, ed è un potentissimo strumento di marketing.
Ci sono già stati esempi di “fusione” tra esultanze e spot nel passato, per campioni estremamente brandizzati; per esempio il Ronaldo che mimava la propria esultanza tipica nello spot Pirelli era anche stato il primo a rendere la propria iniziale e numero di maglia un brand (nonché il nome di un modello di scarpe) e non aveva un nome nel videogame Fifa per ragioni legate ai diritti d’immagine (si chiamava Numero 9). Qualche anno dopo il ritiro, persino un mostro sacro come Del Piero ha messo la linguaccia, adottata come celebrazione nei suoi ultimi anni alla Juve, in quello che è diventato il suo logo commerciale dopo la fine della carriera calcistica.
Ma la ricerca dell’immedesimazione continua nel proprio calciatore preferito (che in fondo è ciò che tiene in piedi il mercato del merchandising) fa oggi i conti con un mondo in cui i confini tra realtà e digitale sono sempre più labili, e non solo a causa dei social; infatti, se prima ci si limitava a scimmiottare le esultanze del proprio attaccante preferito nelle partitelle tra amici, oggi Youtube è pieno di tutorial sul come realizzare tutte le esultanze disponibili su Fifa, trasportando nel celebre videogioco le celebrazioni dei calciatori: il calcio alla bandierina, il finto ko sul ring, ovviamente l’hotline bling, e infine l’immancabile dab.
Pogba che “dabba” in Fifa vs Pogba che “dabba” nella vita reale
Nel processo di trasformazione dei calciatori in icone lifestyle e protagonisti del mondo mediatico, si può dire che Paul Pogba sia stato il pioniere per un sacco di cose: ha introdotto la dab nel calcio, accostando al rettangolo verde un universo fatto di hip hop, passi di danza e scambi di maglia con le star Nba (ma anche con Drake). Pur riconoscendo, sulle pagine di France Football, la genialità dell’esultanza di Griezmann («è particolare, perché è l’unico a farla»), Pogba afferma che la sua dab «ha generato maggior coinvolgimento a livello mondiale». L’ex bianconero, che sul suo account Instagram pubblica danze e strette di mano “swag” in continuazione (al punto anche da farsi riprendere pubblicamente da una vecchia gloria come Rio Ferdinand), proprio grazie alla capacità di essere il primo a generare un’ondata di emulazione contagiosa con la propria esultanza, attirando fan e riflettori, è diventato quest’estate un vero e proprio oggetto del desiderio in anche chiave marketing, oltre che per le sue qualità calcistiche. In questo senso si spiega la scelta di andare allo United, squadra regina della scuderia Adidas e per questo luogo ideale per accrescere l’hype commerciale del centrocampista francese pur tenendolo lontano, almeno per quest’anno, dal palcoscenico della Champions League.
Forse ispirato proprio da quanto messo in atto dal suo ex compagno di squadra, Paulo Dybala ha recentemente avviato, soprattutto attraverso Instagram, un’insistita campagna di marketing di se stesso culminata lo scorso 21 marzo con il lancio di un sito personale, paulodybala21.com, e di un logo ispirato a un’esultanza portata in campo per la prima volta nel gennaio 2017, durante una partita di Serie A contro la Lazio. È il quarto minuto di gara, Dybala segna con un sinistro da fuori area e poi si porta la mano sul volto, nascondendone la parte inferiore, l’incavo tra pollice e indice appoggiato sul naso. Lì per lì sembra un vezzo del momento, ma la foto postata dal giocatore alla seconda apparizione della maschera, corredata dall’hashtag #dybalamask, rivela il contrario. Mentre l’attaccante argentino lancia una campagna sui social per invitare i fans a postare foto in cui replicano il suo gesto (come fanno, ad esempio, queste tifose indonesiane) e provare a indovinarne il significato, appare chiaro come tutto sia stato studiato a tavolino, partendo dalla scelta di un’esultanza che non appartenesse già ad un altro attaccante e che non richiamasse nulla di politicamente scorretto. Doveva poi trattarsi di un gesto al quale si potesse attribuire un significato: il calciatore spiega così, sempre attraverso i social, che la #dybalamask è «la maschera da guerrieri che tutti indossiamo per affrontare i nostri problemi e sentirci più forti, senza perdere il sorriso e la gentilezza». Il messaggio è universale, studiato in modo che chiunque possa immedesimarcisi. Come terza tappa della sua operazione di branding, la scorsa settimana, in contemporanea con l’apertura al pubblico del proprio sito, Dybala ha lanciato il suo logo commerciale, che racchiude diversi simboli: le sue iniziali incrociate, il suo ciuffo, e la famosa maschera.
Dybala presenta il proprio logo in una story pubblicata su Instagram il 21 marzo
Con la creazione di un logo, Dybala ricalca ciò che è già stato fatto da altri big del pallone: Messi, Cristiano Ronaldo, Neymar e proprio Pogba, solo per citarne alcuni. Questi loghi a volte sono creati in binomio con lo sponsor tecnico dei giocatori, come è il caso, ad esempio, della «doppia P» di Pogba, ad opera di Adidas. Dybala al momento sembra «correre da solo» in questo senso: nella pagina del suo sito dedicato agli sponsor non compare per ora alcun brand di abbigliamento sportivo, e recentemente il calciatore sta giocando con le scarpe pitturate di nero per nascondere lo sponsor (nonostante la suola sia rivelatrice), probabilmente perché sta negoziando un nuovo accordo. Sempre in materia di negoziazione di contratti, l’entourage del giocatore sta lavorando al suo rinnovo con la Juventus, che continua a slittare pare proprio a causa di divergenze sulla gestione dei diritti d’immagine.
Inutile negare che Dybala abbia un altissimo potenziale mediatico: attaccante (il che aiuta sempre), talentuoso, di bell’aspetto, etichettato un po’ dappertutto come la next big thing del calcio mondiale (anche grazie ad alcune similitudini che gli attribuiscono lo scomodo ruolo di erede di Messi), l’argentino è al momento il solo giocatore che può raccogliere lo scettro mediatico di Pogba nella Juventus. Non a caso la società bianconera gli avrebbe proposto l’estate scorsa di vestire la maglia numero 10, più iconica e quindi a più alto potenziale commerciale. Dybala però, con il richiamo al 21 nell’url del proprio sito, sembra voler ribadire l’attaccamento al proprio numero attuale, e lanciando proprio ora l’operazione #dybalamask mostra chiare intenzioni di gestire nella maniera più indipendente possibile la propria immagine. Per i tifosi, timorosi che troppe attenzioni agli sponsor e all’immagine pubblica possano “distrarre” i giocatori, non resta che rendersi conto di quanto sia ormai inevitabile che intorno ai campioni si muovano ecosistemi di questo genere, e accettare il fatto che un giocatore star non possa che portare benefici alla squadra, se non altro dal punto di vista della visibilità e degli introiti provenienti dal merchandising.
I casi dell’hotline bling, della dab e della #dybalamask sono emblematici e di certo non destinati a restare i soli, soprattutto in vista di un grande cambiamento che ci aspetta: l’abdicare del duo Messi-CR7, che presto sarà costretto a lasciare la vetta del calcio mondiale, se non altro per questioni anagrafiche. Dietro di loro, giocatori di talento che per diversi motivi (legati anche alle squadre in cui giocano e ai trofei vinti) non sono potuti arrivare al Pallone d’Oro in questi anni, sono pronti a scatenare un Game of Thrones calcistico che si gioca però anche in campo mediatico. Griezmann, Pogba e Dybala (tre giocatori che, tra l’altro, si strizzano l’occhio l’un l’altro: qui c’è Griezmann che omaggia Dybala, che a sua volta omaggia Pogba, che a sua volta omaggia Griezmann), nati nei ’90 come un altro credibilissimo pretendente al trono, Neymar, sembrano ben posizionati non solo per cercare di vincere presto il più importante premio individuale del calcio, ma anche per diventare le prossime icone mondiali di questo sport.