Il tempo e la parola sono due delle forze trainanti del Cholismo, due spiegazioni del successo sportivo e narrativo dell’Atlético Madrid e di Diego Pablo Simeone. Il tempo è misurabile utilizzando una delle funzioni più utili di Google, quella della ricerca circoscritta a un determinato periodo. Digitare Cholismo e impostare il filtro fino al 31 dicembre del 2012 vuol dire trovare pochissimi contenuti e riferimenti solo laterali all’Atlético. Nonostante Simeone abbia firmato per i Colchoneros il 23 dicembre del 2011 – e cinque mesi dopo abbia vinto l’Europa League –, il Cholismo come suggestione collettiva inizia a imporsi solo dopo qualche tempo.
Una delle prime testimonianze risale alla fine del 2012: in un’intervista a Cadena Ser, è proprio Simeone a sdoganare il termine, a rivelare i tratti salienti di questa filosofia in costruzione, attraverso l’utilizzo di parole e concetti chiave – comunione, gruppo, lavoro, rifiuto del compromesso – che diventeranno dei principi fondativi. Questo scarto temporale tra il racconto di una squadra normale e l’epica contemporanea e caratteristica dell’Atlético Madrid chiarisce la vera natura della Revolución Cholista, dal punto di vista tattico e dei significati: è il risultato di un adattamento, di una sperimentazione attiva, Simeone ha progettato e poi fabbricato la struttura e la sovrastruttura necessarie a rendere competitivo un club che, almeno sulla carta, non avrebbe mai potuto esserlo ai massimi livelli. Anzi ha tracciato la strada da percorrere, in campo e fuori, per raggiungere quest’obiettivo ambizioso. Probabilmente, l’unica strada possibile.
Questa analisi cronologica consente anche di percepire la potenza della parola, perché fa imbattere in una meravigliosa coincidenza dell’etimo: se l’appellativo “Cholo”, storico nickname di Simeone, serve a indicare un individuo figlio di diverse razze, il termine Cholismo definisce «un movimento sviluppatosi nell’area di confine tra Messico e Stati Uniti, a cavallo tra gli anni Settanta e Ottanta del XX secolo, che puntava all’affermazione delle origini messicane dei molti giovani del luogo schiacciati dagli ideali razzisti dei bianchi americani». Forzando la chiave narrativa, questa è la trasposizione dell’Atlético Madrid in un contesto politico-sociale: i deboli contro i forti, la ribellione, l’affermazione di un’identità differente. I concetti sono gli stessi, riscritti in un modello di gestione calcistica ed emotiva che restituisce immediatamente la rappresentazione della forza. Della forza di un’idea. Del resto da cos’è composta, un’idea, se non da parole che resistono e si rinnovano nel tempo?
Atlético Madrid-Athletic Club 3-0, finale di Europa League 2012. Ovvero, Simeone e i Colchoneros prima del Cholismo
Karl Matchett scrive su Bleacher Report: «Con il suo sistema, Simeone richiede e intanto infonde una grande intelligenza calcistica ai suoi giocatori». È una frase dal grande significato, perché analizza il tema del reclutamento riferito al Cholismo, fissa un prerequisito minimo di accesso a una certa cultura del gioco. L’Atlético Madrid costruito e ricostruito negli anni dal tecnico argentino è una squadra molto più tecnicamente ricercata, nel senso di selezione dell’organico, di quello che si pensi: tutti i calciatori devono saper reggere il peso del proprio compito, la responsabilità del set di movimenti a cui sono destinati secondo l’organizzazione collettiva, la difficoltà della giocata difensiva o di transizione cui saranno inevitabilmente chiamati. Inoltre devono essere in grado di fare tutto questo in un contesto tattico e psicofisico ad altissima intensità, che richiede di essere esasperatamente pronti e concentrati nello svolgimento dei propri compiti. Per identificare questo suo gruppo di calciatori, Simeone si è espresso così: «Io cerco sempre di spiegare che il calcio va oltre il saper giocare bene il pallone con i piedi: è trasmettere emozioni, far trasudare competizione e competitività. Avere talento è importante, a questo livello non ci sono cattivi giocatori, tutti sono molto bravi. Però ci sono quelli naturalmente dotati, e poi quelli che hanno la capacità prendere la giusta decisione».
La definizione del talento all’interno del sistema cholista ha un’ispirazione filosofica similare a quella del marxismo: in Die deutsche Ideologie, Marx sostiene che «la divisione del lavoro porta alla limitazione e alla concentrazione esclusiva del talento per cui un individuo è esclusivamente un pittore, uno scultore ecc. In una società comunista non esistono pittori, ma tutt’al più uomini che, tra l’altro, dipingono anche». È la filosofia del calcio contemporaneo, è collettivismo, reciprocità dello sforzo, è la contemporaneità del concetto per cui le qualità individuali vengono messe al servizio dell’obiettivo comune. È l’Atlético Madrid di Simeone. I principi tattici dei Colchoneros sono essenzialmente conservativi («una difesa solida e uomini intenti principalmente a correre, a intervenire in maniera dura sugli avversari e a ripartire in velocissime transizioni», scrive Rubén Uría su Vice), eppure la cultura del gioco è sviluppata secondo una chiave molto più moderna rispetto al pensiero comune. In un’intervista alla Fifa in occasione della candidatura al Pallone d’Oro 2014 (categoria allenatori), Simeone spiega: «Il bello del calcio sta nella sua ampiezza, nel fatto che ti concede una vasta gamma di approcci, che ci sono molti modi di giocare: nessuno ha sempre ragione, tutti possono avere ragione volta per volta. Io cerco sempre di impostare la squadra secondo le caratteristiche dei miei giocatori, ma al tempo stesso cerco soluzioni perché risultati e prestazioni siano sempre migliori. Non si vince con il solo talento, chiedo anche lo sforzo, l’applicazione, il lavoro. Funziona così quando si vive in un gruppo, per un gruppo».
«La creatività non fa a pugni con la disciplina» (Johan Cruijff)
La ripetuta conferma ai massimi livelli dell’Atlético Madrid ha modificato il discorso sul talento e sulla sua ricezione all’esterno del Cholismo. In termini semplicistici, i Colchoneros sono diventati una grande squadra, hanno acquisito questo status pur senza aver (ancora) raggiunto la dimensione economica delle sue contender abituali. Di conseguenza, c’è stata la necessità di mettere a punto un modello di mercato che potesse tener conto di tutti i fattori: disponibilità finanziaria, aderenza allo stile di gioco e alla configurazione emotiva del club e del tecnico, ovviamente un certo standard qualitativo. Nell’intervista rilasciata alla Fifa, Simeone lega anche questo concetto all’importanza del sacrificio: «Abbiamo dimostrato che, al di là delle difficoltà e degli strumenti a disposizione, si può combattere e si possono trovare soluzioni alternative anche quando non ce ne sono. Questi ragazzi attraverso il loro impegno, sono riusciti a parlare alle persone dicendogli che a volte tutto diventa possibile, anche senza grandi disponibilità economiche».
Pur mantenendo un certo equilibrio negli investimenti – la tabella riassuntiva di Transfermarkt dice che nelle sei stagioni con Simeone in panchina l’Atlético ha un bilancio di mercato di 2,65 milioni in positivo, con 375,5 milioni spesi per gli acquisti e 378,2 milioni incassati per le cessioni – i Colchoneros hanno aumentato progressivamente la qualità assoluta e prospettica dell’organico, puntando su acquisti mirati e valorizzazione di calciatori giovani. L’uomo simbolo di questa politica è Antoine Griezmann, profilo di grande livello tecnico ai tempi della Real Sociedad portato fino alla dimensione di top player riconosciuto a livello mondiale. In un’intervista rilasciata a El País, Simeone sottolinea come l’attaccante francese rappresenti l’idealtipo del calciatore dell’Atlético Madrid, dal punto di vista dei significati prima ancora che tecnico: «Quello che mi è sempre piaciuto di lui è la perfetta interpretazione del nostro messaggio: il lavoro, inteso come sforzo per migliorare, non inficia il talento. Anzi, lo potenzia. Oggi è uno dei migliori giocatori della squadra, insieme con Koke».
Un video che è una prova: Griezmann gioca bene a calcio
“Il mezzo è il messaggio” è la frase più celebre di Marshall McLuhan, ed è perfetta per l’Atlético Madrid dell’era cholista, perché descrive la dimensione di assoluto benchmark tattico e narrativo raggiunto in questi anni dalla squadra di Simeone. Attraverso tutte le sue manifestazioni, strutturali e derivate – il gioco, il lavoro fuori dal campo, le parole del tecnico e dei calciatori, i giudizi dei commentatori –, l’intero ambiente racconta la propria cultura del lavoro e del sacrificio, parla di un’idea, identifica un progetto e ne descrive la forza. Quindi, comunica. «Attraverso i nostri risultati abbiamo trasmesso ciò di cui la gente ha bisogno nella vita quotidiana: l’energia, la sensazione che tutti hanno sempre una possibilità, e la forza per inseguirla». È una delle quote più suggestive di Diego Simeone.
Se il calcio «è capace di generare ed adattare corredi simbolici a contesti anche molto diversi, è incessantemente produttore di sogni» (Joseph Maguire, in “Social Sciences in Sport”), l’Atlético Madrid di Simeone e il Cholismo producono e insieme sono il risultato di un’esperienza sportivo-identitaria meno eterea, più vicina ai tifosi, più tipica nella sua retorica popolare: «Dall’improvvisazione alla pianificazione, dalle sconfitte alle vittorie. Simeone è il punto di partenza di tutte le cose per l’Atlético, è senza dubbio il manager più importante nella storia del club, la sua voce è una un’autorità per giocatori, club e tifosi. Il tecnico argentino ha restaurato il loro orgoglio, ha rispolverato il loro spirito, ma ha anche assicurato che sono ancora diversi dal resto, dagli altri. Inizialmente ha convinto l’ambiente che per avere successo dovevano combattere contro i favori del pronostico; poi ha veicolato l’idea che il cuore potesse rivaleggiare con i soldi. Infine, ha invitato tutti a unirsi a lui nel pensare in grande, attraverso il duro lavoro e la fede, che sono le strade con cui ha determinato il successo che vediamo oggi» (Rubén Uría su Vice).
L’evoluzione del Cholismo è ancora in corso. È l’adattamento di un modello, tecnico ed emotivo, all’evoluzione del gioco e del contesto, ai risultati e alle responsabilità che crescono; è andare di pari passo con la realtà, rinnovarsi senza distruggere le fondamenta dell’idea. Alla fine la prova più difficile da superare per una filosofia calcistica è andare oltre sé stessa, le influenze e le varie parti che hanno contribuito alla sua costruzione. Le grandi sfide degli altri “movimenti” degli ultimi anni, ad esempio Mourinhismo e Guardiolismo, sono esplicative in questo senso. Il tecnico portoghese è riuscito a esportare il suo modello tatticistico, controverso, mediatico e ipermotivazionale («La manipolazione di emozioni in Mourinho è al servizio dell’imperativo categorico amorale per definizione: la vittoria». Da L’alieno Mourinho, di Sandro Modeo) in molti luoghi e in club con diversi topos narrativi; la prima esperienza di Guardiola lontano da Barcellona ha avuto un esito positivo, soprattutto dal punto di vista dell’impatto storico («Il suo periodo in Bundesliga, al Bayern Monaco, ha cambiato la cultura calcistica tedesca» Jason Humphreys sul Guardian), mentre il secondo tentativo non è privo di difficoltà di adattamento al background tattico della Premier League e del Manchester City.
Prima o poi anche il Cholismo dovrà misurarsi con un altro club, quindi con situazioni e dinamiche totalmente nuove. Sarà curioso vedere un esperimento del genere, un tale mix di contenuti in una dimensione diversa, lontana dal mondo Colchonero. Nel frattempo, il percorso è giunto ancora a un passo dalla compiutezza, dal coronamento assoluto, da quella vittoria europea sfiorata due volte negli ultimi tre anni. La nuova verifica arriverà nel modo più beffardo: di nuovo il Real, giustiziere nelle due finali e nei quarti dell’edizione 2014/15. Nella conferenza stampa di presentazione della semifinale di andata, giusto ieri, Simeone ha dichiarato: «El equipo tiene que competir como un hincha». Ecco il Cholismo, ecco l’Atlético Madrid. La consueta retorica, un’identità inattaccabile. Nulla di nuovo, nulla di diverso, è quello che resterà negli occhi. L’unica strada possibile, probabilmente. La migliore per il club e per i suoi tifosi, quasi sicuramente.