Come sta Balotelli

Ventotto partite e diciassette gol dopo, l'operazione rilancio a Nizza ha funzionato?

Lo scorso 31 agosto, quando Liverpool e Nizza si accordarono ufficialmente per il suo trasferimento, Mario Balotelli si trovava all’apice della fase più critica della propria carriera. Tre settimane prima aveva compiuto 26 anni, era reduce da sei mesi di anonimato in prestito al Milan, in Inghilterra Klopp non aveva la benché minima intenzione di integrarlo nel suo progetto, e non aveva neppure fatto parte della rosa della Nazionale in occasione dell’Europeo francese: l’aura che lo circondava, come facilmente intuibile, era pessima.

L’azzardo del presidente del Nizza, Jean Pierre Rivère, è stato l’emblema di una pianificazione societaria oculata e al contempo coraggiosa, le cui basi sono state poste a partire dall’inizio della scorsa stagione (culminata con il quarto posto finale). Balotelli ha preso il posto di Ben Arfa (passato al PSG dopo l’annata più prolifica della sua carriera) nel ruolo di stella della squadra, attirando su di sé caterve di dubbi contemporaneamente al giungere delle prime voci che sussurravano il suo arrivo a Nizza. La tifoseria non era affatto convinta delle parole rassicuranti di Rivère («Qui c’è un ambiente familiare, speriamo che possa ritrovare il piacere di giocare. Lo sappiamo noi e lo sa lui che non sarà facile, ma con la forza di volontà e il sostegno di tutti i tifosi ci permetterà di portare il suo talento al servizio della squadra», disse il presidente), e lo stesso valeva per Lucien Favre; il cui ruolo, con il senno di poi, si è rivelato centrale nella sua riabilitazione. Oggi l’opinione pubblica che gravita attorno a Balotelli è nettamente migliore rispetto a quella con cui era arrivato a Nizza, e ciò è indubbiamente legato al rendimento più che soddisfacente in termini di reti segnate (17 in 27 partite, una ogni 119 minuti). Eppure il Super Mario che conosciamo non si è fatto mancare nulla, in tutti i sensi: non è cambiato, né ha dato l’impressione di volerlo fare.

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«Mi manda Garibaldi»

Scrisse così sul suo profilo Instagram, allegando una foto che lo ritraeva sorridente a fianco del presidente Rivère proprio in quel 31 agosto. Camicia e gilet indosso, borsalino sulla testa e una stretta di mano, forse la più significativa della sua carriera (sempre che sia stata concessa con consapevolezza), subito dopo aver firmato il contratto. Le intenzioni erano buone, lo sono sempre state. Ciò che rende questa firma diversa dalle altre è, con tutta probabilità, il fatto che Balotelli stesso la interpreta come sirena spiegata ad indicare l’ultima chance. Un concetto pesante, che negli ultimi anni gli è stato ripetuto più volte, e di cui vuole sbarazzarsi proprio a partire da quella firma.

A metà settembre il Nizza ospita il Marsiglia in occasione della quarta giornata di campionato, e Favre lo schiera titolare: Mario ricambia con una doppietta e la partita finisce 3-2 per le Aquile, che volano in classifica. Delle sei partite successive ne salta ben tre per problemi agli adduttori e riposo precauzionale, agitando quell’ala dei suoi denigratori che da sempre si attacca alla precaria condizione fisica di un atleta la cui vita ha ben poco di atletico; tutt’ora, fra l’altro, mantiene una media simile in termini di rapporto presenze/assenze (9 in totale queste ultime). È un dettaglio fondamentale nell’economia della stagione in Ligue 1 di Balotelli, perché costringe a contestualizzare ancora più del solito il suo rendimento nell’ottica di giudicarlo. In sostanza tra indisponibilità e squalifiche il 9 di Favre non ha ancora giocato sei partite consecutive, ed è considerando questo dato che le 17 reti accumulate sino ad ora acquisiscono un valore diverso. Più alto, s’intende. Tradotto significa che oggi Balotelli è sì appena il quinto miglior marcatore del campionato, ma anche che ciascuno dei quattro che lo precedono (Cavani, Lacazette, Falcao e Gomis) ha giocato almeno cinque gare in più delle sue 22.

I gol francesi di Mario

Il problema della scarsa condizione atletica, stando almeno alle indiscrezioni dei giornalisti francesi, non dipende tanto dalla sfortuna quanto dalla negligenza del giocatore: Favre lo ha strigliato più volte, in partita come in allenamento, invitandolo a dare di più sia nel rispetto dei compagni che – più banalmente – per contribuire sul campo alle ambizioni della società. Ad aprile, nel corso di un’intervista, il tecnico del Nizza ha detto espressamente che «Mario deve lavorare molto se vuole guadagnarsi la fiducia ed il rispetto dei compagni. Deve fare meglio, e correre di più». E non è tutto. Due mesi prima il trequartista Valentin Eysseric – uno dei pezzi pregiati del Nizza – ne parlò con amarezza dopo la partita contro il Rennes (terminata 2-2), in cui Balotelli non era stato convocato per motivi disciplinari: «Sembra che lui non voglia avere nulla a che fare con noi. È un peccato, perché il suo apporto ci sarebbe stato di grande aiuto in una partita come questa». Una stretta di spalle accompagnata dal più classico dei sorrisi ironici è la prima reazione di chi Balotelli lo conosce bene.

Naturalmente nelle parole di Eysseric si nasconde un fondo di verità. Sin dall’inizio della stagione, anche nelle partite in cui ha espresso le proprie qualità in maniera più emblematica, Mario non è mai stato realmente al centro del gioco. Lo dicono i numeri, a partire dai dati riferiti alla quantità e alla qualità della sua partecipazione alla manovra: i passaggi effettuati mediamente nell’arco della gara sono 22, di per sé un dato discreto, ma il tasso di precisione (pari al 71,6%) è altamente mediocre. Nel primo caso è importante distinguere il ruolo rivestito da Balotelli nel Nizza da quello del centravanti classico: la sua indole anti-associativa e al contempo mobile lo porta a svariare per il campo in ampiezza oltre che in lunghezza, ma sono rare le volte in cui le combinazioni con i compagni portano a vantaggi posizionali concreti. Nello specifico, considerando tutte le competizioni, ha servito un solo assist in 27 presenze, mentre la media di key-passes a partita tocca a malapena lo 0,5. Per quanto riguarda la precisione, trasferendo la sua percentuale in Serie A essa sarebbe all’incirca pari a quella di Dzeko, la peggiore in assoluto tra quelle dei primi sei attaccanti della classifica marcatori. Un altro dato utile a comprendere la sua passività in fase di costruzione è quello riferito alla media di palloni che gli vengono sottratti per gara (1,8, la più alta fra gli altri top-scorers del suo campionato): da un lato testimonianza della sua tendenza a trattenere la sfera tra i piedi più del dovuto anche quando non gli è richiesto dai casi specifici, dall’altro segno della superficialità che più o meno velatamente gli è sempre stata riconosciuta.

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Non è moderno, ma segna

Nel corso dell’intervista di Favre ad aprile, di cui sopra è gia stato riportato l’estratto relativo alla scarsa dedizione mostrata dal suo numero 9, l’allenatore del Nizza usò una serie di parole centratissime per descrivere la sua incompatibilità con qualsiasi sistema moderno: «Nel calcio moderno segnare un gol non basta. È un bravo ragazzo e andiamo molto d’accordo, ma serve fare una scissione fra il Balotelli attaccante e il Balotelli uomo». Il primo periodo in particolare è fondamentale: l’unica costante nel gioco di Balotelli a Nizza è la ricerca dell’occasione da rete, vissuta su diversi livelli di intensità. La sua gara è costruita sui singoli spunti, che derivano da un mix piuttosto vario tra giocate personali (splendido il gol contro il Lorient, arrivato cinque minuti prima del doppio giallo che gli è costato la prima delle tre espulsioni stagionali), senso della posizione e strapotere fisico. Nella sua visione non sono contemplate le mansioni che i nuovi centravanti associativi (compresi quelli che gli stanno davanti anni luce in Nazionale) svolgono per creare un vantaggio alla squadra, e tende pertanto ad isolarsi.

L’interpretazione del ruolo, in sostanza, è rimasta tale e quale a quella del Balotelli più maturo di cui si ha ricordo: quello del Milan. Si è maggiormente specializzato nella finalizzazione pura, dove ha pochi rivali in Ligue 1: segna l’89% dei suoi gol dall’interno dell’area e, escludendo i calci di rigore (4 su 5 realizzati), addirittura il 67% su 12 senza prima dover controllare la palla. Per raggiungere questi numeri ha avuto bisogno di 3,2 tiri a partita di media, meno di Cavani (3,6), più di Falcao (2,7) e Lacazette (2,8).

Forse la rete più bella: contro il Lorient

Un aspetto curioso della sua stagione sin qui consiste nella scarsissima prolificità in trasferta, dove ha segnato appena tre reti – entrambe nell’ultimo mese e mezzo – a fronte delle 12 all’Allianz Riviera. Caratteristica, questa, che si fa risalire più alla tendenza della squadra a premere maggiormente sull’acceleratore quando può godere della spinta del proprio pubblico, generando di conseguenza un’altrettanto maggiore mole di occasioni. Tornando al concetto di modernità in Balotelli, invece, l’atmosfera si fa ben più cupa. Lui stesso, in un’intervista concessa ad RMC a metà marzo, ha ribadito tra le righe il suo credo calcistico: «Favre vuole che tutti i giocatori lavorino in fase di pressione, tutti assieme. A me non piace difendere, ma il calcio moderno è così, devi lavorare tutta la settimana per arrivare in forma nel weekend». Se Mario sa perfettamente che cosa gli è richiesto, non è detto che abbia voglia di metterlo in pratica: ciò che è sicuramente rimasta intatta è la sua personalità ribelle.

A tal proposito è impossibile dimenticare – oltre alla già menzionata scarsa serenità all’interno dello spogliatoio – la costante vena polemica che in questa stagione ha contribuito, se mai ce ne fosse stato bisogno, a rafforzare il suo appeal. Sempre in quell’intervista ad RMC Balotelli parlò così delle differenze tra il campionato francese e quello italiano: «Pensavo che la Ligue 1 fosse più semplice della Serie A, ma in realtà il calcio è molto fisico e tattico anche qui. In ogni caso la Serie A è superiore, sia in termini di organizzazione che per quanto riguarda gli arbitri». La sua argomentazione è interessante, e in un certo senso svela anche la tendenza verso l’alto di un campionato che promette di inserirsi con più frequenza (e più squadre-portabandiera) nel panorama europeo, ma la frecciatina finale fa sì che l’attenzione sia volta tutta verso il suo rapporto glaciale con i fischietti d’Oltralpe. Una provocazione, insomma. Testimonianza – una delle tante – di come la più che buona stagione di Balotelli al Nizza non sia stata legata ad una effettiva maturazione. Ad un piatto già vario e abbondante è poi da aggiungere l’impensabile uno in pagella rifilatogli da L’Equipe, a seguito dell’espulsione rimediata nella gara di ritorno contro il Lorient. Era febbraio, e Mario aveva segnato appena una rete nelle precedenti sette partite. Favre parlò così ai media nel postpartita: «Non posso sempre concentrarmi su di lui, altrimenti non farei nient’altro». Sono ben più recenti invece le parole del tecnico sul futuro di Balotelli: a margine della gara contro il PSG vinta per 3-1 dal Nizza, quella che è ad oggi la sua miglior prestazione stagionale, Favre ha detto che «nulla è ancora deciso», lasciando intendere come il suo attaccante potrebbe anche prendere il volo verso altri lidi. Ipotesi concreta alla luce della sua stagione, ma per nulla scontata. E se la Costa Azzurra fosse invece l’angolo di mondo più adatto a custodire le sue contraddizioni?