Il mercato degli attaccanti

Sono tornati a essere i pezzi pregiati del mercato: da Belotti a Aubameyang a Morata, i destini dei centravanti più ricercati d'Europa.

Quella che doveva essere una tranquilla domenica sera d’inizio giugno, occupata solamente dalla Nazionale e da calcoli matematici sulla differenza reti con la Spagna, si è trasformata improvvisamente nella serata del grande colpo di mercato del Milan. 38 milioni di euro per André Silva, 22enne attaccante del Porto e nuovo gioiello del calcio lusitano. Un’operazione fatta praticamente sottotraccia, in pieno stile Jorge Mendes,  senza quella cinematografia da calciomercato a cui siamo abituati. Mossa che darà il via probabilmente ad un effetto domino che attendeva solo il suo inizio. Mai come quest’anno sarà un calciomercato dominato dalle prime punte, tornate ad essere pezzi pregiati attorno ai quali costruire le squadre. Una tendenza figlia di un calcio sempre più offensivo e dipendente dai gol del singolo.

L’esempio di questo cambiamento lo si è visto soprattutto in Serie A, il campionato che più ha riscoperto la forza dei numeri nove. Si è segnato come non accadeva da decenni, 1117 i gol totali, con gli attacchi di Napoli e Roma sopra quota 90. Tranne Empoli e Pescara, tutte le squadre hanno avuto almeno un giocatore in doppia cifra e ben sei attaccanti hanno superato la soglia dei venti gol. C’è chi, come Dzeko o Immobile, è riuscito a battere i record personali, o chi, come Mertens, ha scoperto un’attitudine finora sconosciuta. E se Higuaín e Icardi hanno solo confermato la loro forza, l’esplosione di Belotti è stata tanto fragorosa quanto inaspettata a certe quote. Quel che è certo è che la figura dell’attaccante è tornata prepotentemente di moda, e il calciomercato è solo la trasposizione della tendenza a cercare il terminale perfetto per un gioco sempre più offensivo, per affidargli chiavi e sorti di una squadra intera.

Una panoramica di André Silva, il nuovo acquisto del Milan

Non a caso la prima squadra a muoversi in questa direzione è stato il Milan, conscio delle carenze offensive mostrate nell’ultima stagione. La squadra di Montella ha avuto il peggior attacco delle prime dieci classificate, con il solo Bacca capace di andare in doppia cifra (13 gol). Il colombiano non ha dato il contributo sperato e la ricerca del nuovo numero nove è stata la prima richiesta di Montella in sede di mercato. Il profilo è stato chiaro fin da subito: prima punta giovane, forte, prolifica e possibilmente italiana. L’identikit perfetto aveva un nome ed un cognome: Andrea Belotti. Era lui l’obiettivo numero uno, il pezzo pregiato del nuovo Milan cinese. Rincorso per diverse settimane e trattato apertamente dalla dirigenza rossonera, è stato abbandonato a causa del prezzo proibitivo richiesto da Cairo. 100 milioni la base d’asta, non un euro di meno. Troppo, anche per chi ha dimostrato fino adesso di non avere grossi problemi di liquidità. Da lì la virata, nata sotto il cielo di Cardiff, nel giorno della finale di Champions League. L’idea  André Silva è nata da una chiacchierata tra Fassone, Mirabelli e Jorge Mendes, agente del giocatore. Il portoghese risponde a tutti i requisiti chiesti da Montella, costa meno della metà di Belotti e ha un appeal mediatico, se non pari, molto simile all’italiano. L’operazione perfetta, non a caso iniziata e conclusa in poco tempo. La prima di una serie di trattative con un minimo comun denominatore: tutti vogliono il numero nove. Chi non ce l’ha lo brama, chi ce l’ha lo cerca più forte. La tendenza ormai è definita e sarà una “guerra” a suon di milioni.

Pierre-Emerick Aubameyang

Più passano i giorni, più la cessione del gabonese sembra meno certa di quel che sembrava solo qualche settimana fa. Con il ritorno al Milan ormai impossibile, anche la certezza del suo passaggio al Psg sembra sempre più difficile. Il club francese ha infatti risolto in maniera consensuale il contratto con il direttore sportivo Patrick Kluivert e il suo sostituto, Antero Henrique, avrebbe delle grosse perplessità su Aubameyang. Su tutte il valore di 70 milioni di euro che chiede il Borussia e la convivenza con Cavani. Due frenate in pochi giorni che per adesso spengono i sogni di gloria del gabonese. Vuole andar via da Dortmund, non è più un segreto. I record in giallonero non gli bastano più e vorrebbe alzare trofei importanti, vista la concorrenza “sleale” del Bayern Monaco che è diventato un ostacolo insormontabile. Per questo l’opzione City, anche se in terza battuta, sarebbe quanto di meglio chiedere. Prima di tutto perché lavorare con Guardiola da sempre è sinonimo di miglioramento. La situazione offensiva al City ha da qualche tempo il sapore di stantio. Aubameyang è la pozione magica. Darebbe finalmente un senso alla collezione infinita di mezze punte e trequartisti, diventando il terminale offensivo perfetto per la mole di gioco creata dal City.  Tecnica, velocità e finalizzazione, tutto palla a terra. Servirebbe solo maggiore verticalità nel gioco per trasformare Aubameyang da eccezionale a letale.

 

Alexandre Lacazette 

Anche per il francese vale il discorso fatto per Aubameyang. Il Lione inizia a stargli stretto e l’addio è stato annunciato già da tempo: «Credo sia arrivato il momento giusto per lasciare Lione. Voglio la pressione, voglio mettermi alla prova. Qui, sono cosciente del fatto che giocherei sempre e comunque. Voglio andare a prendermi la consacrazione internazionale di cui non sono ancora in possesso». La direzione la si conosce già. Madrid, sponda Atlético. Il problema è il blocco del mercato inflitto dal Tas al club colchonero, che non sembra aver intaccato la voglia di Spagna del francese: «La possibilità di rimanere fermo per 6 mesi prima di poter giocare con la nuova maglia non mi spaventa». La suggestione di vedere il duo Lacazette e Griezmann è tanta: l’imprevedibilità di una coppia leggera e veloce sarebbe l’apoteosi per il gioco di Simeone, con il primo a lavorare da prima punta e il secondo più dinamico e libero di svariare. Il genio sviluppato alla massima velocità, all’interno di un calcio fatto di intensità e transizioni.

 

Kylian Mbappé 

Sarà lui il gioiello del prossimo calciomercato. Un diamante da almeno 130 milioni di euro. Real Madrid e Psg le principali concorrenti di un’asta milionaria ormai fuori controllo. Una scontro di potere più che di mercato. Da una parte il club più ricco e vincente del mondo, voglioso di aggiungere l’ennesimo carato alla sua collezione. Dall’altra il club più famoso di Francia che vede in Mbappé l’uomo simbolo attorno al quale costruire un’identità di squadra mai davvero definita. Tecnicamente il giocatore ammirato al Monaco quest’anno farebbe le fortune di qualsiasi squadra europea. Nel Psg sarebbe il compagno ideale di una prima punta pura come Cavani, ma anche nel Real Madrid perfetto di Zidane potrebbe coesistere con tutti, occupando anche più ruoli all’interno dell’attacco. Mbappé nasce come esterno offensivo, pur potendo essere impiegato anche in posizione di attaccante centrale. Sulla fascia però emergono le sue grandissime qualità nel dribbling: velocità, cambio di ritmo ed imprevedibilità ne fanno un’ala moderna immarcabile. Se nell’1vs1 può saltare chiunque, a campo aperto diventa imprendibile. Ma quello che stupisce è la freddezza sotto porta, insieme ad una facilità di lettura anticipata dell’azione eccezionale in un ragazzo della sua età. La vera domanda però è un’altra. Quale sarebbe la destinazione migliore per un talento cristallino ma ancora acerbo e inesperto? In Premier potrebbe soffrire troppo la fisicità di un campionato duro ed estremamente selettivo (Martial docet), mentre nella Liga la pressione di un club come il Real Madrid sarebbe troppo pesante. Diventare il calciatore più pagato della storia, a soli 18 anni, nella stessa squadra di Cristiano Ronaldo? Un corto circuito fatale per chiunque. Il Psg è la via di mezzo perfetta, la giusta palestra ad altissimo livello per un ragazzo destinato comunque a segnare un’epoca.

 

Álvaro Morata 

Sullo spagnolo la discussione è più circoscritta. Farà bene al Manchester United? L’affare con Mourinho sembra ormai concluso per 70 milioni di euro. Lo spagnolo dopo un anno di purgatorio sentimentale abbraccerà probabilmente il progetto più adatto alle sue caratteristiche. L’uomo solo al centro dell’attacco. Morata è quanto di più simile ci sia in questo momento a  Zlatan Ibrahimovic: il suo fisico, la sua tecnica e anche la sua mentalità sono costruite per giocare a calcio. Calcia come un attaccante d’area, salta l’uomo e crea superiorità nello stretto e sul lungo come un trequartista e ha una fisicità e un gioco aereo da punta vecchia maniera. In più è ambizioso, non spavaldo, solo conscio della sua forza. Completo.

 

Andrea Belotti

Il Gallo continua a stare sui taccuini di tutti grandi club d’Europa. Sondaggi, informazioni e primi approcci. In Italia il prezzo che chiede Cairo è fuori mercato per quasi tutte le squadre, mentre all’estero non sembra avere un appeal tale da metterlo allo stesso livello degli altri numeri nove. Ormai il Torino è diventata una realtà limitante per l’attaccante titolare della Nazionale italiana ai prossimi Mondiali. Perché anche questo non va dimenticato: senza sminuire il Torino, lo status attuale non rispecchia le sue qualità. Tra 12 mesi l’Italia potrebbe affidare le sorti mondiali ad un attaccante di metà classifica in Serie A senza esperienza ad alto livello. Belotti deve giocare in una big italiana. L’avventura estera è sempre un’arma a doppio taglio. I top club europei difficilmente punterebbero ciecamente su di lui ed un esperienza intermedia all’estero storicamente non ha mai dato i frutti sperati. Ad un anno da una competizione così importante è un rischio che Belotti non può permettersi. Potendo ipotizzare, la soluzione migliore sarebbe la Roma. Sostituto naturale di Dzeko, in una squadra a trazione anteriore che partecipa ad alto livello a tutte le competizioni. La giusta università prima dell’esame mondiale. Il salto lo farà, solo serviranno modi e tempi giusti.

 

Romelu Lukaku

L’attaccante belga, qualche giorno fa, al termine dell’amichevole contro la Repubblica Ceca, ha ammesso apertamente il suo addio all’Everton: «Io e il mio agente sappiamo cosa succederà, ho già un accordo con un club». Una frase misteriosa che rientra nel gioco delle parti del calciomercato, ma è ormai certo il suo ritorno al Chelsea dopo 4 anni di “esilio” a Goodison Park. Prezzo? Circa 100 milioni di euro, 65 in più di quanto incassato dall’Everton tre anni fa e dieci volte il prezzo che lo stesso Chelsea spese nel 2011 per comprarlo dall’Anderlecht. Sedotto, abbandonato e ora rincorso. Dopo quattro anni da record con l’Everton, Lukaku tornerà in maglia Blues da vincitore, ma forse non così pronto a guidare l’attacco di una squadra che punta, senza nascondersi, al treble. I numeri sembrano parlare per lui, ma alcune statistiche pongono dei punti interrogativi. La maggiore critica che in Inghilterra muovono contro il belga è quella di non essere decisivo quando conta. Lukaku ha una media realizzativa di un gol ogni 622 minuti contro le sei migliori squadre della Premier League, un dato non certo incoraggiante per un top team come il Chelsea. L’intensità, l’attenzione e l’abnegazione, forse è questo il vero tallone d’Achille del belga. È il peggior attaccante come km percorsi in stagione (8,84) e ha una media sprint a partita tra le peggiori in Premier League (44,77 mt). Solo per fare un confronto con chi andrà via, Diego Costa è a 9,75 km a partita e ha sprintato per 62,73 metri, risultando in entrambe le classifiche uno dei migliori attaccanti in Inghilterra. È chiaro che il ruolo primario di Lukaku sarà fare gol, ma questi numeri sottolineano il grande lavoro che dovrà fare per adattarsi al gioco del Chelsea, sacrificandosi soprattutto nella fase di non possesso. Più che con se stesso dovrà fare i conti con l’ombra di Diego Costa, caratterialmente incompatibile con Antonio Conte, ma prototipo perfetto della sua prima punta ideale.