Il dato che più salta all’occhio analizzando la stagione 2016/17 di Patrik Schick è rappresentato dal suo effettivo impatto in relazione ai pochi minuti giocati: 1507 in totale (in 32 presenze, poco più di 47 a partita), mandando a referto 11 gol (sette partendo dalla panchina), tre assist e 17 passaggi chiave. Non male per uno che, fino a metà febbraio, aveva disputato appena quattro gare da titolare pur essendo il giocatore che, dopo Mertens, Dzeko, Belotti e Higuaín, aveva la più alta media gol tra i giocatori con almeno cinque gol all’attivo (una rete ogni 100’). Il motivo era molto semplice: nonostante le evidenti qualità tecniche, Giampaolo non vedeva il giovane ceco adatto a colmare le mancanze manifestate di volta in volta da Quagliarella e Muriel, utilizzandolo quasi esclusivamente come cambio spacca-partita nel ruolo di fantasista atipico e/o centravanti di manovra chiamato a dare più imprevedibilità e soluzioni al gioco e ad aprire spazi per gli inserimenti senza palla dei centrocampisti. L’infortunio del colombiano gli ha spalancato le porte della titolarità nell’ultima parte di campionato (ha giocato 90’ sette volte nelle ultime nove), con un continuo crescendo nelle prestazioni che gli sono valse la chiamata della Juventus all’età di 21 anni.
Il 2016/2017 di Patrik Schick
Ma quanto spazio potrebbe ritagliarsi Schick nel futuro scacchiere bianconero e in che modo le sue qualità potrebbero essere messe al servizio di Massimiliano Allegri? Al netto di un mercato ancora in fase embrionale, l’impressione è che l’ex Sparta Praga sia stato preso per fungere da primo cambio di Dybala piuttosto che da riserva di Higuaín, pur potendo, potenzialmente, ricoprire entrambi i ruoli. La spiegazione arriva dalla lettura delle sue caratteristiche di base: Schick è un giocatore fisicamente molto strutturato (1.87 per 73 chili) ma ancora in via di definizione e potenziamento muscolare (ha vinto appena il 39% dei duelli aerei tentati), che predilige agire nei mezzi spazi preparando la giocata in verticale (75% di pass accuracy, con il 43.5% dei tocchi effettuati in avanti), girando intorno ad una prima punta che gli apra spazi e metri di campo da attaccare grazie alla sua ottima progressione con e senza palla, con ampia libertà sulla scelta delle zone di campo da occupare in relazione ai singoli momenti della partita. Nella gara contro la Roma, quella che lo ha imposto all’attenzione degli addetti ai lavori, è riuscito a fare tutta la differenza del mondo agendo da trequartista alle spalle delle punte, realizzando la rete del 2-2 e guadagnandosi la punizione del 3-2 doriano guidando la transizione in prima persona, fendendo il campo in diagonale per 70 metri.
Dalla heatmap della sua partita contro la Roma si capisce come Schick sia riuscito a incidere così tanto in appena 22 minuti di impiego: il suo continuo svariare, tanto in ampiezza quanto in profondità, lungo tutto il fronte offensivo ha mandato in tilt le rotazioni difensive dei giallorossi, incapaci di leggerne in anticipo movimenti, giocate e intenzioni.
Da questo punto di vista, il paragone più logico e scontato è quello con Zlatan Ibrahimovic (esagerato, invece, quello con Marco Van Basten, per stessa ammissione del 14 blucerchiato in un’intervista rilasciata al Secolo XIX), in particolare la versione 1.0 relativa al biennio 2004-2006. Pur essendo meno dominante sul piano fisico (basta guardare l’accelerazione nei primi metri di scatto: lo svedese era molto più brutale e rabbioso nell’appoggio, il ceco sembra quasi levitare con leggerezza), con il primo Ibra Schick condivide la ricerca dello spazio alle spalle della seconda linea di pressione, la protezione della palla in situazione di marcatura raddoppiata e/o triplicata, l’uso del corpo in preparazione della conclusione (60% di shot accuracy: dopo Bacca è l’attaccante più preciso con meno di 50 conclusioni all’attivo) e l’aver trovato un’ottima continuità di rendimento quando è stato schierato da primo riferimento offensivo, dopo gli esordi da seconda punta sui generis.
Eppure, come è normale che sia vista la relativa esperienza ad alti livelli, il suo essere eccessivamente attratto dalla palla (circostanza che lo porta ad abbandonare la sua posizione all’interno dell’area di rigore, lasciando vuoto lo spazio da attaccare sul secondo palo), un repertorio di movimenti ancora limitato (gli scatti ad allungare la difesa avversaria sono del tutto sporadici), il suo non essere sufficientemente smaliziato ed esperto nell’uso del corpo e le qualità, ancora da affinare, nel gioco di sponda in fase di risalita del campo da parte della squadra, continuano a sconsigliarne l’impiego come 9 puro. Del resto, anche il diretto interessato ha confermato che sebbene «l’obiettivo sia sempre segnare, se vedo un compagno in posizione migliore lo cerco», distaccandosi dal primo brocardo del centravanti: tirare quando si ha la porta in visione.
Diretto marcatore saltato, taglio a entrare dentro il campo, centrale attirato nel raddoppio di marcatura, tocco in verticale per il compagno che si inserisce dal lato debole: già ai tempi del Bohemians Schick aveva messo in luce le proprie skills da assist-man
Non a caso nella partita contro l’Inter a San Siro, la prima da titolare a seguito dei problemi fisici di Muriel, Schick ha disputato la sua gara migliore pound for pound agendo da seconda punta in appoggio a Quagliarella, con Bruno Fernandes vertice alto del 4-3-1-2 predisposto da Giampaolo. La sua performance nell’arco dei 90 minuti è stata talmente convincente da far apparire la rete del pareggio quasi un di più: continui movimenti “a uscire” per favorire l’inserimento dei centrocampisti (spesso innescati dai suoi tocchi risolutivi d’esterno) sulle tracce centrali, grande qualità nel cucire e rifinire il gioco negli ultimi 30 metri, controllo totale della collocazione propria e altrui all’interno della zolla di campo che si trova ad occupare, abilità nell’uno contro uno (50% di dribbling riusciti in stagione) messa al servizio della squadra per creare situazioni di superiorità numerica e posizionale tanto in transizione quanto contro la difesa schierata. Dando così ragione al tecnico doriano che al termine di ogni partita si è trovato più volte a dover spiegare, per non dire giustificare, le modalità di gestione dei minuti concessi al ragazzo di Praga, per poi toccare con mano la bontà del suo metodo.
La heatmap della serata di San Siro sintetizza al meglio il dominio tecnico esercitato da Schick sull’Inter: un gol, tre conclusioni verso la porta avversaria, due dribbling riusciti sui tre tentati, 43% di contrasti aerei vinti, due occasioni create, Medel portato a spasso per il campo senza che riuscisse a limitarne l’incedere
Più seconda punta che prima, più vice Dybala che vice Higuain, quindi, anche in virtù di un’emotività piuttosto ondivaga: non sono rari, infatti, i momenti della partita in cui Schick si estranea totalmente dallo sviluppo del gioco, limitandosi a fare di testa sua tanto nei movimenti da fare quanto nella giocata da effettuare, dettaglio che lo porta a incidere maggiormente in situazioni tatticamente squilibrate e con squadre lunghe, in cui a fare la differenza è l’intuizione del singolo attimo piuttosto che la giocata preparata alla lavagna seguendo il piano partita prestabilito. In tal senso, il ruolo di sottopunta atipico alle spalle del centravanti nel 4-2-3-1, fungendo da ideale raccordo tra centrocampo e attacco, sembra essere l’ideale per permettergli di crescere e sviluppare le già importanti qualità di base. Difficile, però, che Allegri decida di utilizzarlo da subito anche come esterno offensivo puro: nonostante le già menzionate doti nel dribbling, infatti, il giocatore ceco manca della necessaria capacità di read and react in fase di non possesso che gli consentirebbe di portare, nei modi e nei tempi giusti, i necessari aiuti in copertura al terzino di riferimento (per quanto gli 8 intercetti e gli 11 recuperi decisivi nell’ultima stagione costituiscano un’ottima base su cui lavorare). Per non parlare, poi, del limitato utilizzo del piede debole (appena un gol realizzato con il destro), di una certa passività nell’attaccare lo spazio sul cutback alle spalle della linea difensiva e di un movimento a rientrare verso l’interno che, alla lunga, risulterebbe di facile lettura per il diretto avversario. Non certo l’ideale per proporsi immediatamente come valida alternativa a Mandzukic e/o Cuadrado.
Nel derby contro il Genoa Schick ha messo in mostra intuizioni da ala pura. Riuscisse a migliorare anche in fase difensiva e nei movimenti senza palla, Allegri avrebbe una soluzione tattica in più da sfruttare
Per questo, Patrik Schick è un talento purissimo ma ancora acerbo e migliorabile sotto molti aspetti, primi fra tutti quello fisico, delle corse off the ball e della costanza, trovando il giusto compromesso tra le dimensione qualitativa e quantitativa del suo gioco. Crescere in un contesto dalla forte competizione interna come quello della Juventus non potrà che giovargli: il giocatore ha già dimostrato di non soffrire la concorrenza e di riuscire ad avere un impatto importante indipendentemente dai minuti a disposizione. Starà poi a lui guadagnarsi sempre più spazio, lavorando sui propri punti deboli e completandosi in quelli di forza. Come ha a più riprese detto Marco Giampaolo: «Questo ragazzo c’è sempre stato, dovrà essere bravo a trovare il giusto equilibrio. Sia lui in prima persona che l’ambiente che lo circonda. Ma sta facendo le cose nel modo giusto, è un ragazzo che ha la testa sulle spalle. È determinato in quello che fa, ha le caratteristiche giuste per arrivare».