La notte dell’Imperatore

Una rissa, l'addio alla Nazionale turca, il possibile ritorno al Galatasaray: Fatih Terim è davvero arrivato al passo d'addio?

Istanbul. Che sia un addio di quelli veri, senza rimpianti né ritorni di fiamma, non lo si può dire con certezza. Del resto, sono quasi 25 anni che Fatih Terim ha la Turchia, e la Turchia è di Fatih Terim. Tre periodi da ct, 116 partite dal 1993, quando alcuni dei suoi giocatori di oggi non erano neppure nati. In un’epopea di allontanamenti necessari, per stanchezza o ambizione, e di eterni ritorni, neppure lui stesso, l’Imperatore, può essere sicuro che il 26 luglio sia stato l’ultimo giorno alla guida della sua Nazionale. Nonostante abbia allevato frotte di calciatori, dalla generazione trionfante degli Hakan Sukur e Hasan Sas fino ai ventenni di oggi, Emre Mor e Cengiz Under, il ‘vecchio leone’ deve ancora compiere 64 anni, e non sembra sazio di prede. Perciò, quando qualche ora fa la Federazione turca ha ufficializzato la separazione, su Twitter i tifosi del Galatasaray gli davano già un prematuro bentornato, vedendo la luce fuori dal tunnel di sconfitte e umiliazioni. L’ultima, una settimana fa, li ha portati a un clamoroso addio all’Europa League nei preliminari dei preliminari, contro gli  svedesi dell’Ostersunds, che con tutti i loro abitanti non riempirebbero lo stadio della squadra turca. E poco importa se invece i giallorossi di Istanbul appaiono vicini a un altro ritorno sulla loro panchina, quello di Mircea Lucescu. Perché in fondo, prima ancora che uomo di tattica e scelte tecniche, per i suoi tifosi è questo Fatih Terim: un vate, un condottiero, il leader carismatico da cui i turchi amano tanto farsi guidare.

Turkey's national soccer team coach Fatih Terim speaks to journalist during their training session at the National Training Grounds in Ta'Qali, outside Valletta, Malta, 07 September 2007. Turkey will play against Malta 08 September 2007.AFP PHOTO/MUSTAFA OZER (Photo credit should read MUSTAFA OZER/AFP/Getty Images)

Negli splendori come nelle miserie, tra trionfi sportivi e tonfi di stile, tra l’Imperatore e la Turchia c’è sempre stata un’osmosi profonda. Già nel soprannome, segno della nostalgia di ambizioni che furono, e a ondate ci si illude siano ancora. L’uno trova nell’altra la propria comfort zone, incapace di liberarsi del provincialismo ma insieme capace di allargare i confini della provincia. Una nazione intera che lo ama e lo odia, ma più lo ama, anche nei difetti e nelle arroganze, in cui forse si riconosce, e che come lui vorrebbe potersi consentire. Per spiegare questo addio – o arrivederci – bisogna partire dalla fine. «Una separazione è opportuna per entrambe le parti», ha spiegato la Federazione in un secco comunicato. In Turchia, non servono troppe spiegazioni. Il clima, attorno a Terim, si era fatto pesante. Una cappa, soprattutto fuori dal campo. In un paio di mesi, la sua immagine è stata travolta da scandali che alla fine hanno reso scomodo persino lui. Una decina di giorni fa, siti e tv di tutto il Paese erano inondati della notizia di una rissa notturna in mezzo ai vacanzieri di Alacati, sulla costa egea, in cui Terim era coinvolto insieme a suo genero, proprietario di un ristorante, con un commerciante ‘rivale’ ed ex dirigente della Federazione turca. Il ct, poi denunciato, si è difeso spiegando di non aver avuto intenzioni aggressive, ma di essere andato a difendere la sorella del genero da presunti abusi, giurando di essere pronto a farlo di nuovo. Comunque, una storiaccia.

Solo poche settimane prima, era stato trascinato nelle polemiche che hanno portato l’ex capitano Arda Turan, suo pupillo, ad annunciare un addio prematuro e burrascoso alla Turchia: una rissa – un’altra – solo sfiorata, ma non per questo meno grave. Turan che sull’aereo della Nazionale aggredisce verbalmente – furiosamente, raccontano i testimoni – un giornalista veterano, accusandolo di aver scritto un anno prima (sic!) di presunti litigi tra spogliatoio e Federazione sui premi da pagare ai giocatori all’Europeo di Francia. Una mini-rivolta guidata proprio dal capitano, in una competizione poi assai deludente. Lì, Turan ha deciso di andarsene. Mi dispiace ma non mi pento, un vero uomo difende sempre il suo onore, fu la sua sostanziale giustificazione in conferenza stampa: non troppo lontana da quella del suo mentore dopo la rissa di Alacati. Ora, se ne va anche Terim.

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Dalle ceneri, la Turchia potrebbe rinascere. Magari non subito al Mondiale russo, ma la nuova generazione ha talento e sembra adatta a un calcio diverso, con meno fisico e forse meno grinta, ma più rapido e tecnico (per dire: i gioiellini Under e Mor, futuri perni del gioco d’attacco, pesano 130 kg in due). Non il calcio di Terim, si direbbe. Ma prima che vengano i tempi e gli uomini nuovi, l’Imperatore non sembra pronto ad abdicare. Forse sarà il ritorno al suo altro eterno amore, che come un orfano pare aspettarlo trepidante sull’uscio: il Galatasaray (dove per radiomercato, in un’ennesima giravolta del destino, potrebbe pure tornare Arda Turan). O forse altro. Perché comunque, Fatih Terim resta ancora l’uomo più vincente e amato del calcio turco. Anche quando lo prendono in giro, come si fa con un vecchio amico. In Turchia c’è un’espressione che tutti conoscono e citano, quando si parla lui. Fonte inesauribile di meme sul web e chiacchierate davanti a un tè, è una frase estrapolata da una storica conferenza stampa, in un inglese sgangherato, ma col sorriso: “What can I do sometimes?”.

Del resto, non è la prima volta che lo danno per finito. In una carriera sempre a mille, e quindi spesso fuori giri, gli eccessi non gli sono mancati. Tipo quando, nel novembre 2005, avrebbe spinto i suoi giocatori a prendere a calci gli avversari nei minuti finali dello spareggio perso con la Svizzera per andare ai Mondiali di Germania. «Picchiateli con la forza di Allah», lo sentirono urlare a bordo campo, rivolto soprattutto al fedelissimo Emre Belozoglu, l’ex Inter ora capitano della rivelazione Basaksehir. Poi ci furono risse furiose negli spogliatoi, ricorsi e squalifiche. Condanne, ma anche sorrisi ammiccanti: «È la Turchia. È Fatih Terim».

Due istantanee possono riassumere una carriera per cuori forti. Con i club, l’unico trofeo continentale mai vinto da una squadra turca, la Coppa Uefa del suo Galatasaray nel maggio del 2000 contro l’Arsenal. Manco a dirlo, nel modo più emozionante. Ai rigori, dopo 120 minuti tra legni e salvataggi sulla linea, come quello di Taffarel su colpo di testa ravvicinato Henry. Con la Nazionale, la lista delle prime volte di successo sarebbe lunga: gli Europei del 1996, rinascita di una nazione che allora vantava la partecipazione a un solo Mondiale, quello del 1954; quelli del 2008, dove il sogno si fermò solo in una storica semifinale contro la Germania. Ma forse, è l’ultimo risultato quello che oggi viene più da ricordare, perché non è amarcord ma storia recente: “Il miracolo dell’Imperatore”, nei titoli dei giornali, e non solo turchi. Il modo rocambolesco in cui la Turchia ha agganciato la qualificazione a Euro 2016: tenace e fortunoso, grazie una punizione a un minuto dalla fine di Selcuk Inan, nel combinato disposto con la sorprendete sconfitta casalinga della Lettonia con il Kazakistan. All’ultimo respiro, alla maniera di Terim. L’Imperatore non è arrivato lì per caso. Se una cosa non gli manca, è l’autostima. Quel soprannome diventato un’icona, per esempio. «Me l’hanno dato i tifosi», ha raccontato lui, prima di aggiungere vanitoso: «Fa piacere. Ma il mio nome è Fatih Terim».

LENS, FRANCE - JUNE 20: Head Coach Fatih Terim of Turkey talks to the media during the Turkey Press Conference at the Stade Bollaert-Delelis on June 20, 2016 in Lens, France. (Photo by Handout/UEFA via Getty Images)

 

Le biografie più accreditate suggeriscono però che, dopo la vittoria della Coppa Uefa, se lo sia dato da solo, quell’appellativo capace di trasformare l’allenatore in condottiero, con una fascinazione neo-ottomana antesignana di tempi e uomini che verranno solo poi. Come Recep Tayyip Erdogan, oggi padrone della Turchia, con cui Terim, non allergico al potere, si fa ritrarre appena può. Anche se lui, l’Imperatore, c’era già prima, negli anni Novanta, quando il presidente era ancora un giovane politico in ascesa e pure con i suoi guai. Nel frattempo, sono passati vent’anni e le origini del soprannome si sono perse nella leggenda, con gli apologeti a dire che già lo chiamavano così da giocatore, quando, libero dai piedi buoni, guidava il Galatasaray e la Nazionale.

Anche se, racconta Ridvan Dilmen, ex stella del calcio turco e oggi il commentatore forse più influente del Paese, il vero soprannome di Terim negli anni Settanta era ‘Samantha’, come la protagonista dell’allora popolare sitcom americana Vita da strega, per tutti i palloni ‘magicamente’ salvati sulla linea di porta. C’è poi la sua figura un po’ caricaturale, a metà tra santone della panchina e Oronzo Canà. Un ossesso a bordo campo –un’impresa rinchiuderlo nell’area tecnica – tra saltelli e gesti plateali: una pacchia per i telecronisti e in fondo una fortuna anche per lui, di cui pochi all’estero si sono scordati dopo averlo visto in tv. I completi spesso impeccabili che però sembrano una gabbia, mentre le sue urla assordano pure l’ala opposta. “L’imperatore sudato”, lo definì qualcuno in Italia, dove a distanza di 15 anni resta un idolo a Firenze (con lui si vide il miglior calcio della Viola moderna, si romanza ancora oggi) e un bluff per la Milano rossonera. Certo, risultati a parte, l’avventura italiana fu cruciale per cementarne la leggenda in patria e affinarne il brand. A vederlo da fuori, oggi Terim appare un po’ sbiadito, opaco. Eppure, non ancora sazio. Nell’attesa di conferme, per adesso c’è solo un freddo comunicato a scandire un finale senza emozioni. Ma non sembra poter essere questo l’ultimo addio dell’Imperatore.

 

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