L’evoluzione di Coutinho

A Liverpool il brasiliano ha definito la sua identità e si è consacrato. Adesso, da leader, può aspirare ad un upgrade: il Barça.

Il primo accostamento del nome di Coutinho al Barcellona avvenne a fine marzo, in coincidenza di un altro avvicendamento in chiave mercato tutt’altro che banale. La primavera era nella sua fase embrionale, le voci sul futuro di Neymar stavano iniziando velatamente a diffondersi, e l’ipotesi che il compagno di Nazionale, trasferendosi in Catalogna, potesse fungere o da consolatore o da vero e proprio rimpiazzo acquistava credibilità giorno dopo giorno. Oggi che Neymar la Catalogna l’ha già lasciata la parte di Coutinho è decisamente più chiara: consolare O’Ney non serve più, mentre serve come il pane qualcuno che lo sostituisca. Per capire se il giocatore del Liverpool può essere in grado di prenderne in mano quantomeno una parte delle responsabilità, però, è necessario fare qualche passo indietro.

Il coraggio di cambiare

Seguire le tappe della sua carriera, pur apparentemente banale, può dirci molto sul processo evolutivo del brasiliano. Quando mette piede sul suolo inglese, che rispetto a quello della sua terra è decisamente più freddo e formale, Coutinho non ha ancora compiuto 21 anni. È reduce da due anni e mezzo trascorsi in orbita Inter (di cui sei mesi in prestito all’Espanyol, nella seconda parte della stagione 2011/12), raramente ha ricevuto fiducia e ancor più raramente occasioni per ripagarla. Al termine dell’esperienza in nerazzurro, per rendere l’idea di quanto il suo profilo fosse ritenuto ancora acerbo, il registro delle presenze ne conta 47, per un’anonima media di 66’/gara.

Liverpool's Brazilian midfielder Philippe Coutinho celebrates after scoring their second goal during the English Premier League football match between Liverpool and Everton at Anfield in Liverpool, north west England on April 1, 2017. / AFP PHOTO / Paul ELLIS / RESTRICTED TO EDITORIAL USE. No use with unauthorized audio, video, data, fixture lists, club/league logos or 'live' services. Online in-match use limited to 75 images, no video emulation. No use in betting, games or single club/league/player publications. / (Photo credit should read PAUL ELLIS/AFP/Getty Images)

In questo contesto, tanto carico di pressioni e di interrogativi sul suo conto, Coutinho coglie al volo una possibilità, e lo fa prendendo una decisione drastica: saluta Milano, tutto quel poco che era riuscito a costruire in termini di credibilità esterna, e si trasferisce a Liverpool. Il primo dubbio in merito alla scelta sorge spontaneo immediatamente dopo aver ragionato su quelli che furono i suoi limiti in Italia, e su cosa gli abbia impedito di sbocciare in Serie A. In prima linea svettano indubbiamente le rinomate complessità tattiche del campionato italiano: la grande attenzione richiesta a ogni singolo nel far parte di una manovra coordinata, in cui gli strappi devono essere accompagnati con rigore; la cura del lavoro di reparto, a costo di sacrificare parte delle proprie caratteristiche; la minuziosa preparazione di schemi generali premeditati, o lo studio dell’avversario.

Tutti dettagli che ad un giocatore estroso come Coutinho, proveniente da una realtà tanto diversa e ad un’età tanto complessa, non hanno indubbiamente giovato. Tra le ragioni che sono sempre state riconosciute all’unanimità come “fondanti” nel suo addio all’Inter, però, ve n’è anche un’altra. La ha ricordata lo stesso Ausilio lo scorso gennaio: «non era pronto fisicamente», sono state le testuali parole del diesse nerazzurro. Ed è assolutamente vero: il brasiliano, la cui struttura fisica tutt’ora non è particolarmente degna di nota, era decisamente mingherlino. Eppure nel gennaio del 2013 si trasferì in Inghilterra, in Premier League, il campionato che al giorno d’oggi esalta la potenza atletica e le doti aerobiche più di qualunque altro. Già allora Coutinho era un giocatore molto rapido nello stretto, aveva dimostrato di avere colpi non comuni ed era considerato promettente così come due anni prima, quando fu l’Inter ad acquistarlo dal Vasco de Gama. Però il suo talento non concedeva margini di studio, tanto brillava in modo quasi estemporaneo: si accendeva per una gara, due nei periodi di forma, salvo poi spegnersi tra la scarsa considerazione riposta nei suoi confronti e uno stato d’animo che faticava a spiccare il volo. La scelta di cambiare aria in modo così netto, lanciandosi in un contesto che sulla carta pare tutt’altro che quello ideale, è estremamente coraggiosa, e si pone in netto contrasto con la personalità mostrata dal brasiliano nei suoi anni italiani. Il Coutinho che arriva a Liverpool è un giocatore acerbo e ancora da svezzare in quanto a collocazione tattica, ma al contrario di quanto l’opinione comune è sempre stata portata a credere può vantare già basi più che discrete da un punto di vista mentale: è la sicurezza con cui ha voluto scommettere su se stesso che lo prova.

Inter Milan's Brazilian midfielder Philippe Coutinho Correia (L) challenges for the ball with Tottenham's defender Alan Hutton during their UEFA Champions League football match at San Siro stadium in Milan on October 20, 2010. AFP PHOTO / GIUSEPPE CACACE (Photo credit should read GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)

Se pensiamo oggi alla garra con cui interpreta la partita e la accostiamo al suo personaggio, alla sua immagine, la sensazione è che i due aspetti risultino molto più sovrapponibili rispetto a qualche anno fa. Dimostrazione questa di come Liverpool – e il Liverpool – gli siano serviti per sviluppare un’identità forte e soprattutto propria, unica. Il tutto però, ed è bene tenerlo a mente, non sarebbe successo se non fosse stato per quella scelta: senza il coraggio di cambiare (e di rischiare) Coutinho non sarebbe Coutinho.

Come è cambiato The Little Magician

Certo è che il coraggio non basta, non può bastare: tra quel Coutinho e quello che conosciamo oggi stanno in mezzo anni di dedizione, di adattamento e di sacrifici. Il primo fattore da prendere in analisi per spiegare la sua evoluzione riguarda senza dubbio la posizione ricoperta sul campo, che al pari di quanto accaduto ad altri giocatori offensivi negli ultimi anni (Bernardeschi e Dybala su tutti, per guardare in Italia) ha rivestito un’importanza centrale anche nel suo caso. Nel corso della prima stagione all’Inter (2010/11) il brasiliano fu utilizzato sia da Benitez che da Leonardo come ala sinistra, e anche nei sei mesi di quella successiva non venne spostato praticamente mai da quella posizione. Tra i lati positivi c’era sicuramente il fatto che fosse in grado di creare superiorità numerica in accentramento, ma la gracilità del suo fisico rendeva semplice recuperarlo anche nel giro di pochi metri nonostante la sua rapidità: di conseguenza faticava oltremisura per arrivare al tiro, e le sole 5 reti segnate con la maglia dell’Inter (peraltro mai decisive) spiegano in maniera piuttosto chiara il concetto. Soprattutto perché, a posteriori, possiamo tenere bene a mente alcune delle esibizioni del suo destro in Premier come testimonianza di quanto le condizioni incidano sul rendimento.

A proposito del suo destro: una compilation dei 10 migliori centri con la maglia del Liverpool.

La controprova del caso sarebbero i sei mesi di prestito in Catalogna, all’Espanyol: lì, nell’arco di 16 gare, Coutinho segnò 5 reti partendo sempre da posizioni decentrate, proprio come a Milano. Come si spiega? Ovviamente con la dovuta contestualizzazione: innanzitutto la batteria offensiva della squadra, allora guidata da Mauricio Pochettino, era già ben amalgamata; secondo, l’ambiente in cui poté calarsi era ben diverso rispetto alla esigente (e in perpetua, confusa rivoluzione) Milano nerazzurra, ragion per cui i margini di errore, e dunque di rischio, erano più ampi. La derivazione naturale per un giocatore con le sue caratteristiche è elementare: laddove c’è qualità più rischio equivale a più divertimento, ad una maggiore efficacia e a maggiori apprezzamenti, quindi a maggiore fiducia. E il cerchio va avanti a mo’ di eterno ritorno nietzschiano fino a quando il prestito non finisce e il brasiliano deve tornare alla base.

Il primo a schierare con una certa continuità Coutinho nel ruolo che lo ha reso Coutinho, ironia della sorte, è stato lo stesso Stramaccioni che qualche mese dopo diede il via libera alla sua cessione. Quando arrivò a Liverpool Rodgers non comprese immediatamente le sue necessità tattiche e, complice anche la compresenza in rosa di Suarez, Sturridge e Sterling, non poté permettersi di stravolgere la struttura della squadra per far giocare trequartista un 20enne che in fondo, fino a quel momento, aveva dimostrato davvero poco. Dall’annata successiva in ogni caso la posizione in campo di Coutinho (che a fine 2014 viene soprannominato dai suoi stessi tifosi “Little Magician”, inglese per “O’Mago”) viene definita sempre con maggiore precisione, e allo stesso tempo i suoi compiti nelle varie fasi di gioco acquisiscono sempre maggiore centralità. Una panoramica completa dell’evoluzione vissuta a Liverpool in termini di influenza è fornita da questa tabella di Squawka, che mette a confronto le quattro stagioni inglesi del brasiliano tenendo conto di diversi parametri. Una prima differenza salta all’occhio osservando la parte dedicata ai passaggi: il cambiamento più consistente dimostrato da Coutinho negli ultimi anni (gli ultimi due in particolare) è rappresentato senza ombra di dubbio dallo sviluppo delle sue doti associative, e le statistiche ad ampio raggio lo dimostrano.

HONG KONG, HONG KONG - JULY 22: Liverpool FC midfielder Philippe Coutinho (L) competes for the ball with Leicester City FC defender Danny Simpson during the Premier League Asia Trophy match between Liverpool FC and Leicester City FC at Hong Kong Stadium on July 22 2017, in Hong Kong, Hong Kong. (Photo by Victor Fraile/Getty Images)

Nella sua prima stagione fu impiegato soprattutto in modo tale da far risaltare le sue doti offensive, mentre dalla seconda in avanti si è ritagliato anche una grossa fetta delle responsabilità in termini di creazione di gioco; oggi, dopo aver modellato le sue caratteristiche alla prepotenza della Premier League, ha raggiunto l’equilibrio ideale, e nell’economia del Liverpool di Klopp è nettamente il giocatore più influente. In una seconda tabella realizzata con Squawka possiamo osservare come il livello di performance raggiunto dal brasiliano sia per distacco il maggiore tra quelli dei suoi compagni di squadra (1269 il totale secondo parametri di vario genere; il secondo dei Reds è Matip, con 860, seguito da Lovren, Wijnaldum e Firmino), e il terzo in tutto il campionato. Tra agosto 2016 e maggio 2017 ha messo insieme ben 58 occasioni create, raggiungendo il picco più alto da quando è a Liverpool, segnando anche 13 reti (quando il suo massimo era di 8, raggiunto al termine della stagione precedente). Eppure centrare la porta non è ciò che Coutinho preferisce fare; lo si nota sul campo, ma ce lo suggerisce anche la descrizione che fa di se stesso: «mi servo spesso del mio corpo per nascondere la palla, è una delle cose che mi piace fare di più. Adoro dribblare, fa parte del mio ruolo nella squadra: [attraverso il dribbling] cerco di trovare spazi per i miei compagni di squadra». A tal proposito è proprio la capacità di coniugare all’interno di una sola partita più abilità (il tiro dalla distanza, il passaggio smarcante, l’intercetto), di metterle a disposizione del collettivo e di sfruttarle al momento giusto, che rende Coutinho un giocatore tanto atipico quanto funzionale, quasi fondamentale.

Per farlo sono necessarie qualità cerebrali non comuni, e Coutinho è riuscito a svilupparle in tempi piuttosto brevi diventando una garanzia già attorno ai 24 anni. E continua a migliorare: nella stagione appena passata, ad esempio, ha registrato tre record che dicono molto sulla sua crescita. Ha raggiunto il miglio risultato nella percentuale riferita ai passaggi (84%, non era mai andato sopra l’81), in quella riferita ai tiri (55%) e in quella riferita ai take-ons (64%, ben quattro punti in più rispetto al precedente massimale). Non è tutto, perché tra i dati più significativi sta anche la responsabilità che si è accollato in fase di costruzione: oggi i suoi passaggi sono mediamente di 18,3 metri, mentre fino ad un anno fa alla stessa voce il valore arrivava a fatica a 17. Nell’intervista di FourFourTwo di cui sopra è già presente un estratto Coutinho rispose così ad una domanda molto interessante («come fai ad avere un senso di decision-making così sviluppato?»): «non penso ci sia un segreto per questo, si tratta di fare pratica. Penso che i centrocampisti offensivi debbano giocare divertendosi – voglio dire: dribblare velocemente, smuovere la partita – e solo allenandosi su questo puoi trovarti nelle condizioni mentali per essere creativo. In ogni caso per creare spazio, sia per te che per i tuoi compagni, devi soprattutto correre tanto».

 

LIVERPOOL, ENGLAND - MAY 21:  Philippe Coutinho of Liverpool during the Premier League match between Liverpool and Middlesbrough at Anfield on May 21, 2017 in Liverpool, England.  (Photo by Jan Kruger/Getty Images)

Fra i tanti che ne hanno illustrato egregiamente la trasformazione, il suo stesso tecnico Brendan Rodgers è probabilmente quello che ha colto più nel segno. È successo ad aprile 2015, quando usò queste parole in una conferenza stampa postpartita: «Coutinho è un ragazzo che ha sempre avuto le capacità, ma adesso è diventato più forte, più consapevole dal punto di vista tattico. Penso sia evidente da come orchestra il nostro gioco». Oggi, a distanza di oltre due anni, quando Jurgen Klopp parla di lui dice soltanto una cosa: «non si vende». Chissà perché.

Coutinho al Camp Nou

Purtroppo per lo stesso Klopp (e per le decine di migliaia di supporters dei Reds), con tutta probabilità Coutinho volerà a Barcellona in parziale sostituzione di Neymar. Innanzitutto una breve considerazione sul prezzo del cartellino: per quanto la sua crescita sia stata esponenziale e continua, in un contesto di mercato “normale” Coutinho non può valere 80 milioni di euro – che sarebbe la cifra messa sul piatto dal Barça. Ma dal momento in cui cambiano i parametri, e le cifre inseguono una logica dettata esclusivamente dall’accorciarsi dei tempi e dalla pochezza delle risorse offerte dal mercato, allora a quel punto Coutinho vale assolutamente 80 milioni di euro. E forse anche qualcosa in più.

Parlando invece di collocazione sul campo, è assai improbabile che in Catalogna abbiano in mente di applicare un ripristino al brasiliano per schierarlo come ala sinistra del tridente al posto di Neymar. Coutinho ha dimostrato di incidere maggiormente in posizione più accentrata, sostanzialmente traendo vantaggio da situazioni posizionali opposte rispetto a quelle che Neymar – alla continua ricerca dell’ampiezza sul lato sinistro del campo – ha sempre tentato di procurarsi. Oltretutto negli anni ha affinato un discreto senso di posizionamento in fase di non possesso, che contro avversari di media caratura gli consente di schermarne la fase di costruzione. Va da sé che agendo lateralmente questa sua caratteristica in fase difensiva diverrebbe pressoché inutile, e anzi, faticherebbe enormemente per rincorrere terzini ed esterni che nella maggior parte dei casi avrebbero un fisico e un passo nettamente superiori ai suoi.


 A sinistra la heatmap di Coutinho, a destra quella di Neymar. Risulta evidente anche ad un primo confronto come la porzione di campo occupata mediamente da Coutinho tenda al centro del campo ben più di quanto non faccia quella di O’Ney.

Riportare Coutinho alle origini sarebbe rischioso anche per un eventuale sovraccarico mentale: oggi può dare delle garanzie di assoluto livello in determinate posizioni di campo, ma schierarlo stabilmente in un ruolo che è stato suo solo saltuariamente quattro anni fa (quello di ala sinistra) potrebbe addirittura rivelarsi controproducente, fargli perdere sicurezza. Oggi l’ex Inter ha delle certezze e una identità ben definita, ed è proprio in virtù di ciò che ci stupiremmo se Valverde dovesse dirottarlo sulla fascia. Piuttosto potrebbe ritagliarsi un posto a fianco di Busquets, imparando il mestiere da Iniesta: partirebbe alle spalle di Rakitic, ma nulla vieta che in un futuro nemmeno troppo lontano possa scavalcarlo nelle gerarchie. Ciascuno dei centrocampisti del Barça (tranne lo stesso Rakitic) vanta una percentuale in precisione dei passaggi nettamente superiore alla sua, ma il brasiliano ha dalla sua una attenuante più che valida: la filosofia di gioco di Klopp, basata su verticalizzazioni continue e su un blocco offensivo che spesso e volentieri si slega in velocità dal resto della squadra diventando quasi autonomo. L’unico problema del Coutinho-mezzala sarebbe semmai la scarsa efficacia in fase difensiva, dove pecca più per naturali limiti fisici che per effettiva forza di volontà.

Un’altra ipotesi, che ad ora appare la migliore per rapporto plausibilità/valorizzazione delle caratteristiche del giocatore, potrebbe essere quella di trequartista alle spalle dell’intoccabile duo Suarez-Messi; in una struttura tattica di questo tipo, però, l’uruguaiano potrebbe trovare qualche difficoltà in più. Tutto dipenderà in sostanza da come Valverde vorrà organizzare il suo Barcellona.