Perché lo spogliatoio del City è di forma circolare

di Redazione Undici
29 Agosto 2017

La seconda stagione di Pep Guardiola a Manchester è cominciata con due vittorie e un pareggio: un buon inizio per mettersi alle spalle un’annata senza successi, la prima della sua carriera. Quasi uno shock per l’allenatore spagnolo, che a fine stagione ha ammesso: «In un grande club sarei stato licenziato: in sei mesi al Barcellona o al Bayern Monaco se non vinci sei fuori. Lì tu devi vincere, non ti danno una seconda chance. A Manchester mi hanno dato una seconda possibilità». Va da sé che Guardiola, per sfruttarla al meglio, ha cercato di curare ogni minimo aspetto per creare un gruppo vincente: non solo un’importante campagna acquisti da quasi 250 milioni di euro — con Mendy, Walker e Bernardo Silva acquisti più cari — ma anche dettagli meno appariscenti, come la nuova forma dello spogliatoio.

In estate alcune strutture dell’Etihad Stadium sono state rinnovate, e tra queste c’è lo spogliatoio: Guardiola ha voluto che fosse di forma circolare, per evitare il sorgere di gruppetti all’interno della squadra. Il messaggio sottinteso è che tutti i giocatori hanno lo stesso status, e nessuno merita specifici privilegi. L’ammodernamento dello spogliatoio passa anche dall’idroterapia, bagni di ghiaccio, docce a luci fluorescenti. Inoltre, una nuova area hospitality permette a tifosi vip di assistere al passaggio dei giocatori nel tunnel d’ingresso al campo tramite una vetrata.

Un tour nel nuovo spogliatoio del City

Il tema dei gruppetti in Inghilterra è molto avvertito, soprattutto in Nazionale: hanno fatto scalpore le parole di Rio Ferdinand alla vigilia di Euro 2016, quando ha indicato nel formarsi di spaccature nel gruppo una delle cause che hanno determinato i recenti flop internazionali dei Tre Leoni. «La prima volta che sono arrivato in Nazionale», ha ricordato l’ex difensore dello United, «Alan Shearer aveva un tavolo con i suoi amici. Poi c’era un tavolo del Liverpool, uno dello United, e uno di chi restava, come me che ero al West Ham. La nostra generazione di giocatori non è mai diventata un collettivo».

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