L’utopia offensiva del Psg

La costruzione di un formidabile attacco, con gli arrivi di Neymar e Mbappé, è una sfida intrigante per i parigini: si può, e come, dominare in Europa?

In questi giorni sta circolando con insistenza sul web un’irreale formazione del Paris Saint-Germain, schierata con lo schema 3-5-7, a evidenziare l’enorme materiale offensivo tra le mani di Emery. I nuovi arrivi Neymar e Mbappé, immediatamente balzati in testa alla classifica dei trasferimenti più costosi di sempre, si aggiungono ai già presenti Cavani, Di María, Draxler, Pastore e Lucas. È evidente come una squadra dal potenziale così smisurato non può nascondere le proprie ambizioni, anche in ottica Champions, ma al tempo stesso lascia scoperte alcune questioni: riuscirà Emery a distribuire con equilibrio tutta la qualità di cui dispone? Saranno sufficienti le prestazioni del reparto offensivo per vincere le partite? Quale potrà essere la reazione della squadra ai periodi di difficoltà?

Come si schiera

La prima incognita è di tipo puramente organizzativo, e questo articolo di Squawka è particolarmente esplicativo in tal senso. L’arrivo del brasiliano, oltre a garantire una serie interminabile di vantaggi, ha anche un’altra conseguenza: nelle varie opzioni di sistema di gioco tra cui Emery sarà chiamato a scegliere, non ve ne è neppure una che non costringa alla panchina almeno un nome di spicco. È esattamente questo il senso lato del pezzo di Greg Johnson: che sia 4-3-3, 4-2-3-1 o 4-2-2-2, il Psg che ci abitueremo a osservare avrà sempre qualche pezzo pregiato in panchina. E se il concetto era già ben chiaro con l’arrivo di Neymar, possiamo considerarlo ancora più assodato con quello successivo di Mbappé: i loro nomi rappresenteranno i due terzi del tridente. La casella mancante, per referenze, continuità e in un certo senso anche simbolicità, è destinata a Cavani. Uno che dopo quattro stagioni di Ligue 1 con il Psg ha ben chiari i propri limiti e le proprie qualità. L’uruguaiano non è mai stato né mai sarà la stella di questa squadra, ma il suo contributo è sempre più prezioso anno dopo anno – specialmente da quando non c’è più Ibrahimovic; per questo è difficile pensare che Emery decida di farne a meno.

Gli inizi parigini di Neymar

Per fare chiarezza sulle gerarchie per cui potrebbe optare è necessario guardare al centrocampo. Oggi gli interpreti arruolabili come mezzali sono quattro (Verratti, Rabiot, Pastore e Nkunku), con il solito Thiago Motta nelle vesti di mediano davanti alla difesa, e non è così impensabile che Di María (il massimo indiziato a lasciare il posto a Mbappé nei tre davanti) possa essere arretrato per andare ad occupare la casella lasciata vacante da Matuidi. È una posizione che in carriera ha già ricoperto in più occasioni, peraltro registrando un ottimo profitto. Dovremmo piuttosto chiederci quanto sia effettivamente sensato trasformare Mbappé in ala destra, o comunque forzarlo in una zona del campo in cui non ha mai brillato né più semplicemente dimostrato di trovarsi a suo agio (anzi, nelle 10 partite giocate sulla fascia destra il suo score parla di appena un gol ed un assist). Le opzioni principali per il futuro sono tre: un 4-3-3 molto offensivo, con Neymar e Mbappé (adattato) al fianco di Cavani, con Di María mezzala sinistra, Verratti playmaker e Rabiot alla sua destra; un 4-3-3 meno offensivo, con il centrocampo invariato e il tridente Neymar-Mbappé-Di Maria, dunque senza Cavani; un 4-4-2 esageratamente offensivo con Verratti e Rabiot in mediana, Neymar-Di Maria sulle fasce e Cavani avanti con Mbappé a girargli attorno un po’ come con Falcao al Monaco.

Il portiere scelto come titolare è Alphonse Areola. Il blocco difensivo è qualitativamente all’altezza di quello avanzato: Thiago Silva e Marquinhos le garanzie, il Kimpembe di cui sopra la pianticella da coltivare; Alves e Meunier sono sufficientemente esperti per evitare preoccupazioni per l’out di destra, e a sinistra Kurzawa e Yuri completeranno in questo ordine gerarchico il quartetto davanti ad Areola. In tutto questo ci sono Draxler e Lucas, esclusi eccellenti rimasti a Parigi nonostante le voci di mercato. Senza dimenticare chi la squadra dovrà plasmarla. Nella sua prima annata al Psg, Emery ha messo in luce tutte le difficoltà che un allenatore proveniente da una realtà inferiore può trovarsi a dover fronteggiare in un club che tutti gli anni parte con l’obiettivo di vincere la Champions: la difficoltà nel relazionarsi con giocatori di un certo livello; la tensione costantemente alle stelle; i margini di errore ridotti al minimo; il frastuono della sconfitta inaspettata, seguito da polemiche enfatizzate e ingigantite da una quantità di media ben superiore. Da parte sua è lecito aspettarsi una nuova dimensione nel corso di questa stagione: la necessità di un anno di adattamento può parzialmente giustificare il fallimento tecnico, due gli precluderebbero senza il minimo dubbio la possibilità di avere una terza chance.

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Cosa abbiamo visto

Le prime uscite ufficiali del Psg ci hanno già detto molto sulla strada intrapresa, e non solo per i risultati sul campo (4/4 vittorie, 14 reti segnate e appena 2 subite). La squadra di Emery ha dimostrato fin da subito di voler fare del controllo del gioco una prerogativa essenziale: la media di possesso palla mantenuta nei primi 360 minuti, che sfiora il 70%, è eloquente in questo senso. Da sottolineare è anche l’impatto di Neymar nell’economia del gioco, visto e considerato che nelle due gare in cui il brasiliano è stato più brillante (la seconda, contro il Guingamp, e la terza, contro il Tolosa) l’intera squadra ha espresso le prestazioni migliori sia in termini di godibilità che di numeri – 22 tiri in media quando O’Ney ha reso al meglio, 15 nelle altre due gare. E non è tutto, anzi. Tra i dati più significativi ci sono la media di passaggi chiave, ben 5 (!) per partita, o le percentuali di duelli vinti e di tiri nello specchio, entrambe stabili sul 70%. La sua incisività, in sostanza, ha avuto l’effetto che tutti si aspettavano.

Ma quello che abbiamo potuto osservare sino ad ora non è solo il Psg di Neymar. Hanno convinto le prestazioni di Cavani (a segno in tutte le partite e già a quota cinque reti), hanno convinto Pastore e Rabiot, ha convinto l’inizio di Dani Alves che già a luglio si era fatto apprezzare per questo gol contro il Monaco. Il fatto che la distribuzione delle responsabilità in fase offensiva sia stata sin qui piuttosto omogenea è un aspetto da non sottovalutare, e si inserisce in un percorso di de-accentramento del singolo che a Parigi è in corso dal momento in cui è andato via Ibrahimovic: oggi, nonostante il peso specifico esercitato da Neymar e quello che eserciterà Mbappé, il Psg è una squadra che sul campo si muove collettivamente e con discreto equilibrio. Un esempio lampante di questo concetto ce lo serve il primo gol della gara contro il Guingamp, che più precisamente consiste in un autogol ad opera di Ikoko. Nel momento in cui il Psg perde il possesso a causa di un passaggio sbagliato nei pressi della trequarti avversaria, la squadra sale in modo fluido e compatto, e può portare immediatamente pressione agli avversari. Quindi, quando Ikoko è costretto ad appoggiarsi al suo portiere, nell’area del Guingamp ci sono già quattro giocatori del Psg. Il risultato? Il difensore congolese sotto pressione calibra male il passaggio, e segna nella sua stessa porta.

Di contro, analizzando le sole due reti subite sin qui (entrambe nella gara contro il Tolosa) emerge l’unico dettaglio preoccupante, ossia l’elemento distrazione. Nel primo caso Kurzawa compie un grave errore posizionale e si lascia alle spalle Max Gradel, che può colpire indisturbato su un cross proveniente dalla fascia opposta (rete dello 0-1); nel secondo Thiago Silva interviene in ritardo sullo stacco aereo di Julien che incorna un suggerimento da calcio d’angolo (rete del 3-2). È chiaro che servirà del tempo per verificare la sostenibilità del progetto (e non è mai troppo tardi per dover far fronte a problematiche in corso d’opera), ma le premesse per quanto mostrato fin qui in Ligue 1 sono decisamente positive.

 

Prospettive

I dubbi più rilevanti, a prescindere da quanto visto ad agosto, sono due: innanzitutto nessuno ha la certezza che Emery riuscirà a riscattarsi sul piano gestionale e a dare equilibrio con continuità ad una squadra piena di grandi giocatori; secondariamente, non è affatto sicuro che gli stessi giocatori riusciranno a mantenere la continuità di rendimento necessaria e un livello di prestazione sufficientemente alto nei momenti clou. Anche se è obiettivamente vero che il Psg che abbiamo oggi davanti agli occhi è una squadra attrezzata per vincere tutto: rispetto agli scorsi quattro o cinque anni ci sono Neymar e Mbappé, due tra i giocatori che più di tutti sono in grado di spostare gli equilibri al giorno d’oggi – di fatto il prototipo di giocatore che a Parigi è mancato dall’addio di Ibra. Ci sono anche i primi cenni di una rivoluzione generazionale, che è ciò che serviva ed è anche una delle motivazioni che un anno fa hanno spinto i piani alti a dare il benservito a Blanc per sposare il progetto Emery.

Il percorso di avvicinamento alla Champions sarà delicatissimo per il tecnico francese, che è stato inserito in un girone abbordabile: c’è il Bayern di Ancelotti, sì, ma anche Celtic e Anderlecht. È altamente probabile che proprio dalle prime gare europee (e in particolare da quelle contro i tedeschi) trarremo le indicazioni più influenti sul livello di equilibrio, affiatamento e competitività raggiunto dal Psg – tutti requisiti fondamentali per poter ambire ad un risultato soddisfacente. Quello che possiamo affermare oggi senza pericolo è che i frutti dell’operato della società saranno sufficienti per tornare a conquistare l’egemonia in Francia per molti anni. Ma la sensazione è che per portare a Parigi la Champions con la forza dell’identità (ovvero come il Real degli ultimi due anni, o come il Barça di Guardiola e Luis Enrique) servirà ancora un anno di semi-transizione. Un anno in cui poter ancora accettare la superiorità di chi lotta al vertice (quello vero) da decenni, di chi ha un organico compatto da più tempo e di chi parte con le certezze invece che con la consapevolezza di doverne trovare e consolidare. Nell’attesa del completamento di un processo che è sì all’ultimo step, ma non può ancora dirsi concluso.