Prima di sorprendere allenatore, tifosi e addetti ai lavori, Luis Alberto Romero Alconchel ha dovuto superare l’esame più complesso: convincere se stesso. Sono trascorsi nove mesi dal momento che ha definito «il peggiore della mia carriera». Arrivato alla Lazio nell’ultimo giorno di mercato per sostituire Antonio Candreva, a fine gennaio 2017 ha racimolato solo 5 presenze. Nel 4-3-3 impostato da Simone Inzaghi nella prima parte della stagione passata, fatica a trovare spazio, chiuso nel ruolo di esterno alto da Keita a sinistra e Felipe Anderson a destra. Nella sfida casalinga contro l’Atalanta del 15 gennaio 2017 in pochi colgono lo spoiler di ciò che succederà a distanza di qualche mese: Luis Alberto gioca titolare in appoggio a Immobile in un 3-5-1-1 molto simile all’attuale, ma che in quella precisa giornata non lascia ricordi indelebili. Gioca 55 minuti senza particolari sussulti, colpisce un palo esterno di sinistro, mostra di avere i piedi buoni, ma è intermittente e non incide.
Per rivederlo titolare bisognerà attendere la penultima di campionato, ma nel frattempo Luis ha intrapreso un percorso personale che, con il passare del tempo, lo condurrà al momento di massima esaltazione tecnica. Si affida a Juan Carlos Álvarez Campillo, mental coach che lavora con il ct spagnolo Lopetegui, perché crede di non essere più all’altezza e pensa addirittura di smettere di giocare a calcio: «Vedevo tutto nero, ero bloccato. È Campillo che mi ha fatto capire, non ero cosciente delle mie qualità. Ora ci credo e rischio di più. Faccio cose che prima non avevo il coraggio di fare», ha rivelato a Marca il 13 settembre scorso. La sincera ammissione del ds Igli Tare a fine agosto di quest’anno chiarisce molto sulle ragioni: «Lo scorso anno ha faticato un po’ per colpa sua, ma anche per colpa nostra: non ci siamo capiti bene». Il riferimento non può che essere al ruolo e alle caratteristiche del ragazzo, ora valorizzate appieno dallo spartito tattico della Lazio attuale.
Ora Luis Alberto è capace di qualsiasi cosa, il suo rendimento è nettamente al di sopra sia del giocatore ammirato nel suo anno in prestito al Barcellona B (2012/13), sia della versione 2015/16, quando vestiva la maglia del Deportivo La Coruña. Tra le due esperienze colleziona 9 spezzoni di Premier League con il Liverpool (che lo acquista per 8 milioni di euro a 20 anni) e la stagione con il Malaga, dove non lega con l’allenatore Javi Gracia. Per ritrovare tracce del talento di Luis Alberto bisogna dunque riavvolgere il nastro indietro di due anni, quando, sotto la guida di Victor Sánchez, incanta il Riazor: «Il miglior Luis Alberto lo si può vedere quando ha libertà di movimento, così può partire dal settore sinistro del campo. A Malaga si era visto qualcosa, ma soprattutto a La Coruña andò piuttosto bene», è il parere di Miguel Quintana, giornalista di Ecos del Balón. Il feeling stabilito con un centravanti molto bravo ad attaccare la profondità come Lucas Pérez è una delle ragioni del suo ottimo impatto in Galizia: «La coppia con Pérez funzionò a meraviglia proprio perché lui giocava parecchio avanti, da numero 10 più o meno, ma anche a sinistra, da esterno, con movimenti a venire dentro al campo. Al Deportivo aveva sì Lucas Pérez, ma anche Mosquera era un ottimo sodale», spiega ancora Quintana. Nulla in confronto a quanto sta producendo insieme a Ciro Immobile, con cui l’affiatamento fa quasi impressione. Una spiegazione, ancora una volta, la fornisce proprio Luis Alberto: «Nemmeno al Deportivo ho raggiunto questo livello: apparivo 20 minuti a partita, creavo 1 o 2 occasioni. Ora sono molto più completo, anche difensivamente». Mentalmente riesce a stare più a lungo dentro la partita, sentendosi più coinvolto in entrambe le fasi di gioco, consapevole di incidere.
Simone Inzaghi lo ha capito e quest’anno lo ha schierato titolare 10 volte su 10. Stesso numero di presenze della stagione scorsa, solo che dalla sera della Supercoppa con la Juventus alla gara con il Sassuolo ha accumulato 828 minuti contro i 382 di tutto il 2016/17. «È diventato imprescindibile, è un giocatore di qualità e anche di quantità: in questo inizio di stagione della Lazio c’è molto di lui», ha riconosciuto il tecnico piacentino e la dimostrazione sta nei 10.48 chilometri che in media ha percorso nelle 7 gare di campionato fin qui giocate. E pensare che nel corso del precampionato era stato provato in cabina di regia, vertice basso di centrocampo, in attesa dell’arrivo di Lucas Leiva, e non aveva per niente sfigurato. Nella trasferta di Europa League ad Arnhem contro il Vitesse ricopre tre ruoli nell’arco dello stesso incontro: seconda punta; trequartista dietro a Caicedo e Immobile; regista davanti alla difesa. Per ottenere il meglio dall’andaluso però è necessario metterlo nelle condizioni di rendere al massimo, garantendogli piena libertà. Così lui offre sempre una soluzione di passaggio centralmente a Lucas Leiva, venendosi a prendere il pallone, oppure sulla banda sinistra dove spesso si allarga e può giovarsi del contributo di Milinkovic-Savic. Il serbo attira a sé avversari, consentendogli di portare a spasso la palla, puntare l’uomo e svolgere il ruolo di playmaker offensivo. Una seconda punta ma anche un enganche, l’elemento che fa da raccordo fra centrocampo e Immobile, uno che fa della gestione delle pause la sua cifra stilistica.
L’utilità non cede mai il passo all’autocompiacimento. Il dribbling nello stretto è spesso esaltato dagli eleganti tocchi di suola che gli permettono di scegliere i giusti tempi della giocata, il momento esatto in cui si apre lo spazio tra le linee o in profondità. Rallenta, valuta, e se la situazione lo richiede, strappa o serve assist al bacio, con i giri contati. Le sue pause non sono mai casuali perché danno la possibilità ai compagni di arrivare a sostegno della ripartenza, e a lui di ricominciare disponendo di più soluzioni di passaggio. Sa di poter contare sull’ampiezza che garantiscono Lulic o Lukaku sull’out sinistro e Basta o Marusic a destra. Abbina un tasso tecnico molto elevato a un dinamismo quasi inaspettato, come quando, nel primo tempo della partita contro il Genoa a Marassi, ha lasciato al palo Rossettini, superandolo con una accelerazione sulla sinistra, lato panchine, che ha reso evidente l’eccellente condizione fisica che lo sta accompagnando. È un’arma preziosa anche per i calci d’angolo, che batte a spiovere, spesso cercando la porta, e che hanno propiziato già due gol. La cornice tattica in cui si trova a operare ne esalta le virtù: «Ha bisogno del fraseggio, è un calciatore associativo che ama dialogare, con i compagni vicino. Combina molto bene, ha visione di gioco, è creativo con la palla tra i piedi e ha la qualità tecnica per incidere sul piano realizzativo», sottolinea Miguel Quintana.
Tra i partner con cui ha stabilito un’intesa sopraffina negli anni va citato Gerard Deulofeu nell’anno al Barça B, quello in cui l’allenatore Eusebio Sacristán lo schiera molto spesso come falso nueve ottenendo in cambio 11 gol e 17 assist. Il suo movimento a uscire apre gli spazi alla corsa di Deulofeu e Dongou, quando invece tocca ad Araujo giocare centravanti, lui scala a sinistra. Ora Simone Inzaghi, con il prossimo rientro di Felipe Anderson, può regalare a Luis un altra possibile partnership di alta qualità. Probabilmente costringendo il brasiliano a partire qualche metro più indietro, sacrificandolo a destra a tutta fascia come avvenuto qualche volta nel campionato scorso. L’esplosione definitiva di Luis Alberto è stata frenata negli anni passati probabilmente proprio dalla poca autostima, da una percezione di sé fluttuante. Nessuno avrebbe attribuito tanta fragilità a uno che a 19 anni, alla sua prima al Bernabéu, con naturalezza si è presentato con un tunnel a Khedira. Ora però tutto è cambiato, Luis ha finalmente scoperto di cosa è capace.