Il gol realizzato al Chelsea a fine settembre è un’illustrazione dinamica di Kevin De Bruyne, e per dinamica si intende letteralmente non statica. Bastano pochi secondi per riconoscere la sua comprensione del gioco, la sua consapevolezza, la sua forza, ma anche perché si percepiscano potenzialità infinite e spazi vuoti, ancora da riempire – come se fosse un gioco di enigmistica, che è sempre divertente e sorprendente colorare le aree col puntino e da una massa informe viene fuori un disegno compiuto, definito. È un discorso di cambiamento in atto che vale per il calcio di De Bruyne, ma si estende anche all’evoluzione del gioco in senso assoluto. Perché il modo di stare in campo del 26enne belga del Man City potrebbe condurre a uno stravolgimento delle convenzioni tattiche, del codice dei ruoli.
Come per tutte le grandi trasformazioni calcistiche, è una questione di spazi e tempi che cambiano, si dilatano, o si restringono. La manovra del City non è veloce perché non potrebbe esserlo, il Chelsea è schierato, e Otamendi porta palla in attesa che si renda disponibile un’opzione di passaggio interessante. De Bruyne si muove alle spalle del centrocampo avversario, la posizione è quella classica della mezzala, ma si evolve con immediatezza; in un attimo Kevin ribalta l’azione e la sua interpretazione, si trasforma in un esterno a piede invertito entrato nel campo per creare superiorità numerica, allora tocca il pallone di prima e poi punta l’area avversaria, convergendo da sinistra verso il centro.
La squadra si muove per lui, tutti attaccano la porta, Gabriel Jesus si fa dettare il gioco a due e poi arriva il tiro di sinistro in diagonale, forte, preciso. I compagni di De Bruyne hanno lavorato in maniera codificata perché si aprisse lo squarcio giusto, De Bruyne ha cambiato passo, e ideato e condotto e concluso l’azione in meno di quattro secondi. Spazi e tempi che cambiano, appunto.
Nessuno giocatore del Chelsea legge la giocata di De Bruyne, o magari tiene il suo stesso ritmo di corsa
Non c’è nulla di particolarmente artificioso in quest’azione, ed è una costante nella carriera di Kevin De Bruyne. In un vecchio articolo pubblicato su Undici ad aprile 2016, intitolato “Il calcio semplice di De Bruyne”,si legge: «In campo è un elogio dell’essenziale. Velocità di esecuzione, tanto di piede quanto di pensiero. Peculiarità presenti fin dalla giovane età». L’accessibilità tecnica di De Bruyne, però, è solo apparente: la sua struttura fisica è armoniosa, potente eppure leggera, la sua qualità nel trattamento del pallone gli permette di correre a buona velocità senza mai perdere il controllo della sfera ma anche dei movimenti intorno a lui. Per tutte queste motivazioni, nel suo gioco c’è una caratteristica di completezza assoluta, esclusiva, che probabilmente non ha eguali in Europa. Il primo ad esserne consapevole è il suo tecnico, Pep Guardiola.
Che stravede per lui, tanto da definirlo, in un’intervista di qualche settimana fa, «uno dei migliori giocatori che abbia mai allenato». In base al discorso che stiamo portando avanti, però, c’è una frase recente con un peso specifico ancora più alto: «Kevin è un calciatore che può fare tutto, assolutamente tutto». Sabato, nello show del City contro lo Stoke, alla 100esima partita con la maglia Sky blues, De Bruyne ha dato splendidamente ragione al suo allenatore.
Un video di un minuto, quattro gol costruiti in maniera diversa da De Bruyne: due passaggi chiave e due assist vincenti (dopo un recupero palla in pressing e un anticipo)
Ancora in un precedente articolo sulle caratteristiche dei centrocampisti moderni, si legge: «La chiave dell’odierna versatilità di questi giocatori sta tutta nella continua e costante ricerca della multidimensionalità, in un progressivo affrancamento dalla fissità di compiti, ruoli e posizioni. Non più specialisti cui demandare una specifica funzione all’interno del sistema, ma universali in grado di interpretare allo stesso modo la doppia fase senza snaturarsi o sacrificare le peculiarità del proprio stile». È una perfetta descrizione di ciò che sta diventando Kevin De Bruyne. Guardiola, lungo la sua esperienza al Manchester City, ha deciso di trasformare il belga in un calciatore capace di interpretare il ruolo di mezzala secondo concetti tattici di assoluta modernità. È la nuova frontiera dell’interno, è l’implementazione di una qualità creativa superiore in una zona di campo in cui avviene la costruzione della manovra, non solo la sua rifinitura – senza rinunciare a un supporto in fase di non possesso. L’impatto potenziale di questo nuovo De Bruyne è talmente fragoroso che c’è il pericolo concreto di sottovalutare la portata del cambiamento che rappresenta, di farsi sfuggire e quindi di non celebrare una vera e propria rivoluzione.
I numeri e le immagini del miglioramento continuo di KDB sono talmente potenti che questo rischio di minimizzazione si sta sciogliendo gradualmente, che sembra quasi non poter essere altrimenti. Il belga è il primo giocatore della Premier 2017/18 per occasioni create (26, con 5 assist decisivi e 21 passaggi chiave), ha una percentuale di take-ons positivi pari al 75% ed è il miglior assistman assoluto della lega fin dal suo esordio con il City, nel settembre 2015. Jonathan Wilson, a fine settembre, ha scritto di De Bruyne utilizzando le metafore della valvola e del burattinaio: «Può segnare, può creare occasioni, ma è anche un calciatore-valvola, in grado di aumentare o diminuire la pressione, dettare la profondità e il ritmo del gioco. In una squadra ricca di talento creativo, è il gran burattinaio che comanda letteralmente lo show». Pochi giorni prima, il Guardian gli ha dedicato una monografia in occasione della prestazione assoluta contro il Liverpool, questa è la frase più significativa: «Il cuore della partita spavalda e spregiudicata del City è stato Kevin De Bruyne, un calciatore che cattura gli occhi a ogni giocata».
Qualità di calcio e lettura avanzata del gioco, praticamente da fermo
Il percorso di crescita di De Bruyne sembra essersi incanalato dentro una traiettoria perfetta, nel senso che è esattamente come dovrebbe essere e tutti siamo pienamente concordi su di lui. La sua nuova dimensione di campo ha portato a un aumento delle attribuzioni di gioco e quindi delle responsabilità rispetto al sistema (e quindi ai risultati) del Manchester City – un top club che punta a vincere tutto, e che ne ha le possibilità. Kevin De Bruyne, a 26 anni, viene riconosciuto e raccontato come un protagonista assoluto, e probabilmente questa è la prima volta che il suo status è davvero all’altezza della promessa del suo talento. La sensazione è che anche lui stesso stia godendo di questa condizione nuova, che si senta esaltato piuttosto che schiacciato della pressione tattica ed emotiva di un ruolo centrale, dominante. Non è mai stato così determinante e continuo come in questo avvio di stagione, dà l’impressione di essere sereno e consapevole, anzi chiede sempre di più a sé stesso, è molto autocritico, come in occasione di Manchester City-Shakhtar Donetsk – nelle interviste del postpartita ha dichiarato che la sua prestazione «non è stata la migliore possibile», eppure il gol del vantaggio l’ha segnato proprio lui, con una gran conclusione da fuori area.
Non è esagerato affermare che De Bruyne stia ultimando la costruzione della sua maturità nel miglior modo possibile. Grazie all’incontro con Guardiola, un tecnico che coltiva e insieme razionalizza il talento, ha trovato un compromesso tattico che gli permette di assecondare tutte le sue caratteristiche, quelle genetiche e quelle sviluppate lungo il suo percorso di formazione. Il fuoriclasse belga continua a esercitare la genialità del suo appoggio avanzato (una volta ha dichiarato: «Sono sempre alla ricerca del passaggio perfetto, quello che ti permette di creare un’occasione da gol»), ma può anche preferire un’altra soluzione, ad esempio alzare il ritmo, accendere la sua corsa e tagliare le linee avversarie palla al piede, un’abilità maturata durante gli anni da esterno offensivo e da trequartista. Il football di De Bruyne, oggi, consiste essenzialmente nell’arte della scelta: individuare e realizzare la miglior giocata possibile, tra le mille proposte del suo campionario, in base alla lettura della situazione in campo. La sua grandezza sta nel fatto che la sua miglior giocata possibile è quasi sempre quella giusta, per la squadra e pure per appagare un certo gusto estetico.
È bello poter pensare che questa microrivoluzione, micro perché interna al pianeta De Bruyne, stia portando un giocatore alla consacrazione definitiva, direttamente nel club esclusivo dei migliori al mondo. Ed è ancora più suggestivo immaginare che questa rivoluzione possa estendersi, riesca a diventare anche macro, finisca per avvicinare calciatori dalle caratteristiche puramente creative a un’interpretazione moderna del ruolo di mezzala. Il nuovo De Bruyne è un esperimento riuscito ma ancora in corso, non siamo ancora in grado di tracciare i suoi limiti eppure già sappiamo che la sua crescita potrebbe rappresentare un punto di svolta abbastanza importante, addirittura per la percezione storica del gioco. Nel frattempo la cosa da fare è mettersi comodi e godersi lo spettacolo del suo calcio, scoprire per l’ennesima volta che è sempre divertente e sorprendente colorare le aree col puntino per vedere il disegno che viene fuori.