Spanish Premier League

La recente storia del campionato inglese ha registrato una massiccia presenza di calciatori spagnoli, diventata, nel tempo, quasi una necessità.

Grazie agli ultimi arrivi del calciomercato estivo (Kiko Femenía, Sandro Ramírez, Vicente Iborra, Roque Mesa, Alvaro Morata, Mikel Merino e Jesé Rodríguez) e due neopromossi (Bruno Saltor e Jesús Gámez), il numero dei calciatori spagnoli ad avere giocato almeno un minuto in Premier League nelle ultime dieci stagioni ha toccato quota cento. Una cifra enorme che dice molto su quella che è una presenza sempre maggiore nel campionato più ricco del mondo: superando le minoranze sudamericane, francesi, belghe o quelle più tradizionali come irlandesi e scozzesi, adesso quella spagnola è la seconda nazionalità più presente in Premier, dietro solo a quella inglese. Attualmente gli spagnoli sono 31 (comprensivi di Diego Costa, che però a gennaio andrà via dal Chelsea), l’8,8% del totale degli stranieri. Per loro c’è spazio praticamente ovunque: quindici squadre su venti ne hanno almeno uno nella propria rosa.

FBL-ENG-PR-SWANSEA-WEST BROM

L’escalation del modello spagnolo sul suolo inglese è un processo che nasce da lontano, e che in realtà non va esattamente di pari passo con l’internazionalizzazione di un Paese sempre più meltin pot. Il pioniere fu Emilio Aldecoa, un attaccante basco che abbandonò la Spagna durante il periodo della Guerra Civil negli anni ’40 per approdare prima al Wolverhampton e poi al Coventry. Poi, in tempi decisamente più recenti, è impossibile non ricordare Nayim, centrocampista iberico di fede musulmana che Terry Venables, dopo l’esperienza di Barcellona, volle portare con sé al Tottenham, facendolo diventare il primo spagnolo a esordire nella neonata Premier League. Pochi anni dopo, nel 1995, il presidente del Wigan Dave Whelan convinse tre calciatori spagnoli a firmare per il suo club, allora in terza serie. L’arrivo di Roberto Martínez, Jesus Seba e Isidro Diaz nella piccola cittadina del Lancashire non passò inosservato: i tre, subito soprannominati The Three Amigos, prendendo spunto da un film del 1986 con Chevy Chase, furono accolti con curiosità e stupore, tanto che erroneamente molti tifosi, ancora impreparati, iniziarono a indossare dei grossi sombreri messicani. In realtà, oltre a diventare i primi calciatori spagnoli a disputare la Fa Cup, i tre scavarono un solco molto importante per il movimento spagnolo, contribuendo non poco alla risalita dei Latics: tanto che nel 2009 il club scelse proprio “Bob” Martínez (l’attuale selezionatore della Nazionale belga) come allenatore.

Da quel momento in poi il calcio inglese cominciò ad accogliere a poco a poco altri rappresentanti del calcio iberico, per lo più buoni giocatori sul finire della loro carriera: nel 1998 Albert Ferrer scelse il Chelsea prima di appendere le scarpette al chiodo, attratto da un ricco contratto. Appena qualche anno più tardi un andaluso si ritrovò a far parte del team degli Invincibles: José Antonio Reyes era il numero 9 dell’Arsenal campione d’Inghilterra nel 2004. In contemporanea con gli anni d’oro del calcio iberico, le colonie spagnole si diffusero rapidamente un po’ dovunque, soprattutto grazie all’arrivo di tanti allenatori spagnoli: oltre a Martínez, che con il Wigan riuscì anche a vincere una Fa Cup nel 2013 sconfiggendo in finale il più quotato Manchester City, Rafa Benítez, Juande Ramos, Pepe Mel, Quique Sánchez Flores, Aitor Karanka e Pep Guardiola. Quella che inizialmente era una presenza quasi accidentale e marginale, nel corso degli anni è divenuta quasi voluta e necessaria.

Newcastle United v Tottenham Hotspur - Premier League

L’importazione dalla Spagna, infatti, si è fatta sempre più pregiata: niente più trentacinquenni sulla via del tramonto, la gran parte dei prodotti del calcio iberico sbarcati Oltremanica è gente al top della carriera che ha finito poi per influenzare e per certi versi rivoluzionare il modo di vedere il calcio dei club inglesi. A partire dalle realtà più distaccate, come quella dello Swansea, dove Martínez, Rodgers e Laudrup diedero vita ad uno degli esperimenti tattici più azzeccati dell’ultimo ventennio, lo Swansealona. In totale erano sette gli spagnoli nella rosa del team gallese che riuscirono a condurre la matricola fino in Europa League, grazie al successo in Coppa di Lega, diventando l’autentica sorpresa del quadriennio 2010-2014. In quel caso non servì affatto spendere una fortuna per ottenere un rendimento simile: Àngel Rangel, ad esempio, fu pescato nel Terrassa in terza serie spagnola, mentre Michu, l’inaspettato terminale offensivo capace di superare quota 20 gol stagionali, era stato acquistato per un paio di milioni di sterline dal Rayo Vallecano. Uno dei segreti di questo exploit fu senz’altro il possesso palla ragionato e avvolgente, marchio di fabbrica della squadra.

Superato lo storico complesso di inferiorità, tra la Premier League e i calciatori spagnoli si è così instaurato un rapporto di convenienza reciproca: pensiamo ad esempio alla grandissima domanda di fantasisti, pass-masters e assist-man di cui un campionato fisico come quello inglese ha fortemente bisogno e contemporaneamente alla voglia, da parte dei migliori talenti iberici, di potersi confrontare in campionato completamente diverso dal proprio, completando così il loro processo di maturazione professionale. Da Mikel Arteta e Xabi Alonso (coetanei e amici fin dall’infanzia, ritrovatisi per anni rivali nel Merseyside derby), a Cesc Fàbregas, Santi Cazorla, Juan Mata, David Silva e Ander Herrera. C’è spazio anche i portieri (Pepe Reina e David De Gea su tutti), per gli attaccanti (vedi Fernando Torres, che prima del Chelsea ha passato i suoi anni migliori al Liverpool) e per i difensori come Cesar Azpilicueta, fresco candidato al premio di Giocatore dell’anno per la stagione appena conclusa e pedina apprezzatissima da tutti i suoi allenatori. Così tanto che Mourinho, in passato, azzardò che un team di Azpilicueta avrebbe senz’altro vinto la Champions League. A parte qualche caso isolato, per quasi tutti gli spagnoli l’esperienza inglese ha riservato dei feedback positivi e i flop sono stati davvero rarissimi (Roberto Soldado? Borja Bastón?).

Manchester City v Crystal Palace - Premier League

La presenza di calciatori spagnoli nelle rose dei campioni ormai è divenuta una costante, e non certo una casualità: nel Manchester City 2013/14 erano in quattro (Alvaro Negredo, Jesús Navas, Javi García e David Silva), nel Chelsea di Conte addirittura in cinque (Diego Costa, Cesar Azpilicueta Marcos Alonso, Cesc Fabregas e Pedro), e assolutamente protagonisti del successo finale. Attualmente si è formata una nuova filiale spagnola nel nord del Paese, a Newcastle, dove Rafa Benítez sta sviluppando il suo secondo ciclo inglese dopo quello trascorso a Liverpool tra il 2004 ed il 2010: i Magpies, nella gara dello scorso 10 settembre contro lo Swansea, hanno schierato ben cinque spagnoli (Jesús Gámez, Javier Manquillo, Mikel Merino, Ayoze Pérez e Joselu) nell’undici iniziale.

Finché il modello spagnolo sarà così funzionale, non necessitando quasi più di lunghi periodi di adattamento, l’impressione è che l’esodo rimarrà ancora numeroso per i prossimi anni: per i migliori prospetti della Liga, infatti, nel caso in cui non finiscano in orbita Barcellona, Real Madrid o Atlético, la destinazione preferita resta sempre la Premier League. In tutto ciò non si è ancora deciso di dare un taglio alla possibilità per i club anglosassoni di strappare i giovani più promettenti dalle rispettive cantere prima ancora che diventino maggiorenni, ed inglobarli nelle loro academies. Dopo aver già acquistato Brahim Díaz dalle giovanili del Malaga e Manu García da quelle dello Sporting Gijon, il Manchester City dell’attuale board tutto catalano ha chiuso recentemente anche per Nabil Touaizi, talento ispano-marocchino in forza al Valencia, mettendo a frutto le sviluppatissime reti di scouting presenti in Spagna. In casi del genere, come testimoniato da numerosi casi passati riguardanti altre squadre (Héctor Bellerín e Suso, per fare due nomi), resistere alle proposte dei ricchi club inglesi è sempre più difficile.