Le certezze di Immobile

Nessuno, in Europa, segna quanto lui: quanto c'è della Lazio, e della stabilità trovata nella squadra, nel gran momento dell'attaccante biancoceleste.

L’infatuazione di un allenatore per il proprio centravanti dipende essenzialmente da due aspetti molto immediati: il primo è relativo all’influenza che questo riesce ad esercitare sul risultato, il secondo dall’atteggiamento dimostrato nei confronti del collettivo. Da un lato i gol, i rigori conquistati, le espulsioni procurate; dall’altro la leadership, la comunicatività, l’altruismo. Due sfere simbiotiche, imprescindibili l’una dall’altra, la cui compresenza garantisce il feeling ideale tra l’attaccante e chi gli dà facoltà di esprimersi. Ed è curioso come riflessioni su un legame di questo tipo, da qualsiasi lato si tenti di analizzarlo, rimandino per eccellenza ad una coppia in particolare: Inzaghi in panchina e Immobile col nove sulle spalle. Il loro, da poco più di un anno a questa parte, è un rapporto di interdipendenza nitido, in crescita costante, ed estremamente redditizio. Un rapporto che origina dall’esatto combaciare di quelle due sfere nell’identità di Immobile, che oggi è più definita, più matura. Per la prima volta da quando ha compiuto vent’anni, ha iniziato il campionato con la stessa maglia con cui aveva concluso quello precedente, trovando stabilità e costruendo certezze: per la squadra, tra le più belle realtà del campionato, e per se stesso, che tra tutte le competizioni ha segnato di più in Europa (17 reti, due in più di Aubameyang e Messi, più la miglior media gol con uno ogni 58,6 minuti).

C’è una frase che, quasi quanto i fatti, riesce a restituire l’immagine di cosa significhi Ciro Immobile oggi, e non è un caso che sia stato lo stesso Inzaghi ad averla pronunciata. «In un anno è difficile che uno riesca a calarsi in una realtà grande come la Lazio, Ciro è stato bravissimo e ora non a caso è stato nominato come uno dei nostri tre capitani». Il salto di dimensione, da un Immobile 1.0 ad un Immobile 2.0, è evidente soprattutto sotto questo aspetto: quello di oggi è un attaccante più maturo, più pronto a farsi carico di responsabilità perché più libero dal peso di dover dimostrare in prima persona. Le 26 reti messe a segno nel corso della stagione 2016/17 sono il passepartout che gli consente, oggi, di scendere in campo con maggiore consapevolezza e quindi con maggiore serenità. In una Lazio rivoluzionata dalle vicende di mercato, privata di Biglia e di Keita, Immobile ha rappresentato e rappresenta un faro sia simbolicamente che nella praticità. Per la prima volta, alla soglia dei 28 anni, si trova a dover rappresentare la sostanza di una squadra che di fatto è costruita sulle sue qualità. Non più un personaggio di grande rilievo, come a Pescara con Zeman o a Torino con Ventura, ma il vero e proprio protagonista.

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Con il chiaro intento di esaltarne le doti, Inzaghi ha adottato alcuni accorgimenti significativi: Milinkovic-Savic tende a mantenere un baricentro più basso di una decina di metri, ad esempio, e sulle fasce trovano posto solo e soltanto giocatori di corsa e poco propensi al dribbling creativo. Per non parlare di Luis Alberto, la cui esplosione è impattata con tempismo ideale con la necessità di un partner per lo stesso Immobile. L’assenza forzata di Felipe Anderson, out per infortunio e mai a disposizione da agosto, ha contribuito a concentrare sulle vie centrali la quasi totalità delle aspettative di realizzazione: ben 16 delle 24 reti segnate in A dalla Lazio sono state messe a segno dai due giocatori offensivi più utilizzati (Immobile e Luis Alberto, appunto); un totale che sfiora il 70%. Il solo Immobile con le sue 13 si assesta oltre il 50% delle segnature di squadra, cifre che difficilmente saranno mantenute fino a maggio (l’anno scorso le sue 23 valsero il 30% delle reti della Lazio) ma che al contempo, oggi, sono chiara espressione del suo processo di definizione. Non solo: l’Immobile 2016/17 era un buon cecchino, e centrava lo specchio nel 61% dei casi in cui arrivava al tiro; quello delle prime gare di quest’anno prende bene la mira nel 76% dei casi.

Per focalizzarsi sul discorso inerente alle sue qualità, emerse nelle ultime settimane come mai prima d’ora, è utile recuperare un estratto dell’intervista pubblicata sul numero 14 di Undici. Nell’occasione, parlando del ruolo dell’attaccante, Immobile spiegò che «un fattore importante è la coordinazione: devi capire dove correre e come concludere e poi farlo il più velocemente possibile». Fece riferimento anche ad altre prerogative, ma quella della coordinazione fu senza dubbio la più intrigante. Quella che, a pensarci bene, sembra in grado di definirlo con maggiore unicità tra le qualità atletiche. È alto Immobile, e nonostante un fisico piazzato riesce a combinare alla tecnica in protezione della palla una agilità pungente; ce lo sta mostrando in questi prime settimane di campionato più di quanto non avesse mai fatto. In questo gol segnato contro il Verona, ad esempio, passa tra due avversari in poco meno di un secondo senza perdere il contatto visivo con palla e porta. E infatti, quando si trova a dover calciare, sa già come farlo. Nella stessa intervista dice che «con i ritmi di oggi è impensabile riuscire a stoppare la palla dentro l’area, guardarsi intorno e calciare», sottintendendo come un buon attaccante debba essere sufficientemente coordinato per fare le tre cose nel giro di pochi istanti, per non dire pochissimi. Una dimostrazione pratica di come Immobile sia sufficientemente coordinato è data dalla rete contro la Juventus: l’inserimento a testa alta e il destro caricato con i tempi giusti sono poco meno di un marchio di fabbrica, e dicono molto anche della sua intesa con Luis Alberto. Se è vero che nel giro di pochi mesi le sue caratteristiche generali sono rimaste tali e quali, è vero anche che la superiorità fisica mostrata sino ad ora sta rappresentando un plusvalore significativo anche rispetto ad un anno fa.

Il gol del pari contro la Juventus

Coordinazione e agilità sono attributi propri del profilo di Immobile, ma non bastano per descriverlo. Anzi, ce ne sono almeno altri due che oggi meritano di essere considerati come primari. Innanzitutto la velocità, l’allungo sui venti metri e oltre. Il 3-5-1-1 di Inzaghi fa sì che il suo centravanti sia chiamato in continuazione a coprire distanze medio-lunghe ad alta velocità, e a tal proposito stupisce come Immobile riesca a coniugare una straordinaria generosità in fase di schermatura alle cavalcate verso l’area avversaria a ogni possesso riconquistato (esempio lampante: la gara dell’Allianz Stadium dove, peraltro, come in quattro delle precedenti sette gare, ha registrato il record di top sprinter). Altra caratteristica fondamentale all’interno del suo bagaglio fisico è la forza nei duelli, che da agosto ad oggi ha quasi sempre vinto. Lo aiuta un senso della posizione migliorato con l’esperienza, e che ha avuto modo di sfruttare anche in chiave realizzativa con un pizzico di opportunismo: il riferimento, naturalmente, è al gol che ha deciso la gara di Marassi contro il Genoa. Nel caso specifico è evidente l’errore in disimpegno di Gentiletti, ma non è un caso che Immobile si trovi al posto giusto per approfittarne. L’area di campo di sua competenza è vasta per scelta del suo stesso allenatore, che rispetto ad un anno fa gli sta garantendo maggiore libertà di spaziare su tutto il fronte offensivo, e lui sta crescendo moltissimo sotto il profilo dell’occupazione territoriale. Anche questo è un aspetto da tenere presente quando parliamo del concetto di maturazione, così come è importante osservare un netto incremento dei numeri relativi ai suoi dribbling: il valore registrato durante la stagione 2016/17 è pari al 42%, mentre oggi ne completa con successo oltre il 60%. Segnale, questo, che ci suggerisce soprattutto come sin qui sia stato messo frequentemente nelle condizioni migliori per affrontare gli avversari – ossia a campo aperto.

Come in questo caso

Mai come nella stagione in corso Immobile era arrivato al tiro con questa frequenza: nel 2013/14 con il Torino registrò 3,1 tiri/gara in media, al primo anno di Lazio ha toccato quota 3,8; oggi calcia verso la porta quasi 5 volte a partita. Ancora una volta in chiave teorica viene da chiedersi quanto la Lazio dipenda effettivamente dai suoi numeri, e viceversa se Immobile sarà in grado di mantenersi su livelli soddisfacenti anche quando, per forza di cose, il piano-gara di Inzaghi dovrà essere adattato alle esigenze. Mettendo da un lato le ipotesi, in ogni caso, è inevitabile osservare come la sua prolificità, oltre ad essere emblema di una maturità in via di definizione, rappresenti un caso piuttosto singolare nell’economia del campionato. Ed è anche il carattere sentimentale, innocente del profilo di Immobile a distanziarlo dagli altri attaccanti del nostro campionato; un aspetto che lo rende quasi un corpo estraneo, unico. Ha meno appeal e più responsabilità di Icardi, di Higuaín, di Dzeko, ma soprattutto vive uno stato di forma che ha sempre più le sembianze di una linea di continuità con il passato. Oggi Immobile è immerso nella fase finale di un impegnativo processo di conferma, e non c’è posto migliore di quella che può chiamare casa per portarlo a termine.

 

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