Sulla fine di Montella

Che colpe l'allenatore, che colpe la società, e che futuro per il Milan?

Cervello collettivo

Mi sono spesso chiesto cosa faccia cambiare umore a una squadra in modo così radicale: è un meccanismo affascinante e per niente legato al calcio, quello di un’intelligenza collettiva chiamata “spogliatoio” che spesso in modo slegato dalla volontà più razionale decide di unirsi e giocare bene, giocare male, essere tristi, essere cattivi, essere nervosi, essere spensierati. Nella stagione appena passata, l’Inter di Pioli avrebbe meritato di essere studiata attentamente e da esperti internazionali di neurologia e antropologia. Quest’anno, il Milan di Montella ha rischiato di ribaltare altrettanto drasticamente il bel gioco e lo spirito vincente che aveva portato una squadra estremamente più mediocre al ritorno in Europa, qualche mese fa.

Non penso che Montella sia, o sia stato, un cattivo allenatore. Penso piuttosto che sia stato un allenatore andato in confusione, e troppo legato a giocatori che forse avrebbe dovuto sacrificare – Suso e Kalinic soprattutto. Ma penso che il vero responsabile del fallimento del Milan di questa prima metà di stagione sia quel cervello collettivo che non è stato in grado di reggere la pressione, di amalgamarsi a dovere, di adattarsi forse a un’idea di gioco non perfetta, di sapere di poter vincere. Ho parlato con abbastanza allenatori e giocatori, in questi anni, per sapere che sono rarissimi i casi in cui le prestazioni di una squadra sono condizionate esclusivamente dal modello di gioco. Montella non ce l’aveva, o meglio l’aveva perso, ma l’impressione è che avesse dimenticato, ancora prima, a convincere i suoi giocatori a essere capaci di vincere. È triste quando si è costretti esonerare un uomo con la faccia già triste, ma è stato giusto, e saggio, così. (Davide Coppo)

FBL-ITA-SERIEA-INTER-AC MILAN-DERBY

Le responsabilità dei restanti

La nave non aveva più una rotta. Anzi, quest’anno non l’ha mai avuta. Quindi è giusto che a pagare sia il comandante. Ma non dev’essere considerato l’unico responsabile. Montella ha colpe innegabili e lo dicono statistiche negative, da record: gli stessi punti di Chievo e Bologna dopo 14 giornate di campionato; aver perso sistematicamente contro le squadre di fascia alta; il Milan che in Serie A non segna in casa dal 20 settembre contro la Spal (due rigori tra l’altro) e in generale una sensazione di afasia tattica e confusione mentale che, dopo oltre 4 mesi di stagione, non sono più accettabili per una squadra che si era posta l’obiettivo del quarto posto. Obiettivo che a meno di miracoli o cataclismi è già volato via.

Si possono però sollevare parecchi dubbi sui tempi e sui modi della gestione manageriale e comunicativa del rapporto tra Montella e i vertici societari. Che l’allenatore non fosse per il duo Fassone/Mirabelli l’uomo giusto è un’evidenza emersa più volte anche quando le cose non andavano (così) male. Che il Milan abbia avuto abboccamenti con Antonio Conte in primavera e nelle recenti settimane, nonostante le smentite , è altrettanto risaputo. La sensazione è quindi che questo esonero arrivi non solo per i risultati ma anche per un dubbio di fondo che avvolgeva la figura di Montella, un allenatore che dopo la passata stagione iniziata e finita con mille alibi (rosa manifestamente inferiore alle prime quattro squadre, annate precedenti disastrose, cambi di proprietà in corsa) si è trovato catapultato in una realtà con pressioni alle stelle dopo una campagna acquisti da 200 milioni di euro e l’obiettivo di riportare il Milan tra le grandi del campionato e nell’Europa che conta.

Col senno di poi è sempre facile parlare. Ma il mercato del Milan e le sue anche divertenti fanfare social hanno ammantato quella che era una grandissima e rischiosissima scommessa (cambiare metà rosa, iniziare a luglio coi preliminari di Europa League, comprare buoni giocatori di prospettiva eccezion fatta per Biglia e Bonucci e soprattutto legarsi finanziariamente all’accesso alla prossima Champions come ipoteca di sostenibilità economica) con una patina di esaltazione e ottimismo eccessivi. Il risultato, tra un “passiamo ora alle cose formali” e una pacca data in diretta Facebook, è stato quello di far passare un messaggio sfrontato e un po’ guascone. La realtà ha poi presentato il conto e di questo Fassone e Mirabelli dovranno prima o poi risponderne. Perché tolto il parafulmine Montella e messa la foglia di fico Gattuso – dopo le tragicomiche esperienze Inzaghi e Brocchi in panchina c’è il terrore di un altro psicodramma simile – adesso il carico di responsabilità è quasi tutto sulle loro spalle. E su quelle dei giocatori, chiamati a far vedere – a parte qualche luminosa eccezione, vedi Cutrone – di non essere gli spettri che si sono aggirati in campo fino a oggi. (Federico Thoman)

FC Bayern v AC Milan - 2017 International Champions Cup China

Una scommessa per l’Europa

Magari non sarà stata determinata all’insegna del “meglio tardi che mai”, come ha più o meno twittato Carlos Bacca con migliore tempismo di quello spesso esibito in area di rigore. Vero è che una decisione che arriva a oltre due mesi dai primi scricchiolii, consumati anche con esternazioni societarie a mezzo stampa, potrebbe portare facilmente a credere che di tempo prezioso se ne sia perso eccome, per un cambio che appariva ineluttabile da settimane.

Eppure può darsi che l’esonero di Montella sia stato ponderato per diventare effettivo in un momento più appropriato e saggio di quanto non appaia. Perché se sull’Aeroplanino aleggiava palesemente e da tempo un’aria da dead man walking, e se Fassone e Mirabelli hanno rotto gli indugi adesso, proprio adesso, dopo un Milan-Torino che, in fin dei conti, non rappresenta neanche la performance più terribile di questo primo scorcio di stagione rossonero, può essere un indizio sulle intenzioni e sui diktat riguardo agli obiettivi della società da qui a maggio.

Montella viene esonerato dopo il pari contro il Torino ma anche, più pragmaticamente, a tre giorni da Milan-Austria Vienna. Ovvero, più o meno un minuto e mezzo dopo la qualificazione ai sedicesimi di Europa League, da primi nel girone. Il sospetto che la dirigenza rossonera abbia schiacciato il bottone alla prima occasione utile dopo il pass per i sedicesimi è palpabile, e legittima la sensazione che Fassone e Mirabelli non abbiano voluto correre il benché minimo rischio di complicare anche solo di una virgola il girone europeo, prima che fosse in ghiaccio. Di qui la considerazione è semplice: per il Milan, distante 11 punti (potenzialmente 14) dal quarto posto in campionato, l’obiettivo principale è diventato da settimane, anche abbastanza apertamente, quell’Europa League che se vinta dà il biglietto per la Champions. Può darsi sia per questo che il cambio in panchina, da tempo ineluttabile, si materializzi proprio adesso e non prima, anche a costo di ulteriori punti persi in campionato: il Milan degli oltre 200 milioni di campagna acquisti, e degli oltre 300 di debito con il fondo Elliott, deve a questo punto vincere l’Europa League. Apparso chiaro da un po’, non potevano esserci margini di rischio di compromettere anche il percorso europeo con una scelta drastica. Diventata inevitabile, a qualificazione conquistata, e con tre mesi a disposizione per lavorare con un nuovo allenatore, prima di tornare in campo per i sedicesimi. (Ezio Azzolini)

AC Milan v Bologna FC - Serie A

Una scelta sbagliata

Il Milan quest’anno ha sempre perso quando ha affrontato le attuali prime sei squadre in classifica e ha quasi sempre vinto contro squadre meno attrezzate: l’impressione è che con l’autogestione dei giocatori, o con un computer che si fosse limitato a scegliere di volta in volta la formazione, i risultati sarebbero stati più o meno gli stessi, sia in campionato che in Europa League. Questa, più che le scelte tattiche o la distanza dal quarto posto, sembra una motivazione sufficiente per l’esonero di Montella, che pure la scorsa stagione si era conquistato un minimo di credibilità diventando il primo allenatore del Milan portato in trionfo per un sesto posto: nei quattro mesi passati dall’esordio stagionale in Romania all’annuncio dell’addio la squadra non è migliorata e nemmeno si è segnalata per qualche guizzo vitale che potesse far sperare per il futuro, limitandosi a vincere o a perdere quasi per inerzia. L’ultimo gol su azione in casa in Serie A risale al 17 settembre: era ancora estate.

La scelta di Gattuso, discutibile quanto prevedibile, conferma come la panchina della Primavera del Milan sia ormai una sala d’attesa per vecchie glorie da ripescare in caso di emergenza. Il momento può anche essere quello giusto, considerato che da qui alla sosta di gennaio il calendario è tutt’altro che proibitivo e può servire al nuovo allenatore a trovare un po’ di tranquillità per il resto della stagione, ma è comunque bizzarro che, alla ricerca del famigerato “traghettatore”, la società si affidi, ancora una volta come nella tarda epoca berlusconiana, a un ex giocatore rossonero: giusto per ricordare i risultati delle ultime intuizioni, oggi Leonardo allena in Turchia, Brocchi è nello staff di Capello in Cina, Inzaghi è in Serie B e Seedorf dribbla suo figlio su Instagram. Gattuso, a differenza dei predecessori, se non altro ha già allenato tra i professionisti, ma analizzare il suo curriculum, tormentato anche per colpe non sue, non ha troppo senso: i tifosi, a giudicare dalle prime reazioni, si aspettano soprattutto la riedizione dei calcioni rifilati a Dybala in allenamento ai tempi del Palermo. Resta da vedere se il tecnico che ha costruito il suo Pisa sulla fase difensiva sia in grado di risvegliare lo sterile attacco del Milan. Forse sarebbe stato meglio affidarsi a qualcuno di più esperto, considerando che, anche tralasciando il campionato, ci sono da affrontare Europa League e una Coppa Italia che potrebbe passare per un derby. (Marco Maioli)

 

Immagini Getty Images