Perché Kakà non andò al City nel 2009

Il brasiliano svela a FourFourTwo i motivi del mancato addio al Milan.
di Redazione Undici 30 Novembre 2017 alle 17:00

«L’affare del secolo è sul filo di lana. Ma Kakà non è più solo. Se andrà al Manchester City, sarà accompagnato dai mugugni dei tifosi del Milan, che ieri hanno manifestato sotto la sede sociale di Via Turati». Le parole riportate sono prese da una pagina di Repubblica, datata 16 gennaio 2009. Quello che sarebbe potuto essere “l’affare del secolo” sfumò a causa del giocatore brasiliano, poco convinto dall’ipotesi trasferimento. Lo stesso Kakà ricorda oggi a FourFourTwo la frenesia di quei giorni.

Kakà al Milan e i suoi gol migliori

L’ex numero 22 rossonero ha ricordato: «Ero seduto a casa e il telefono suonò. Posso ricordarlo chiaramente. Era mio padre che sembrava nervosamente eccitato. Poi mi raccontò dell’interesse del City, che aveva fatto una grossa offerta per me. Prima che potessi rispondere aggiunse che il Milan era pronto ad accettare l’offerta. Non avevamo idea che il City fosse interessato finché non fecero un’offerta ufficiale ai rossoneri». Quella che si profilava era una nuova, esaltante avventura, «un nuovo capitolo», come lo definisce il brasiliano, che però ebbe delle ripercussioni in campo causate dallo stress psicologico. «Ero agitato e scosso emozionalmente. Mi ricordo che giocavamo in casa contro la Fiorentina a San Siro, proprio nel mezzo della negoziazione e tutta quella situazione rimaneva nella mia testa durante la gara. Non riuscivo a concentrarmi, giocai male. Ricordo i tifosi del Milan gridare “Non svenderti, Kakà. Non svenderti, Kakà”».

L’abbraccio dei compagni al termine della gara, l’intervista di Pato che parla di un suo possibile addio

La famiglia ebbe un peso importante nella decisione. Le discussioni con Caroline, con i fratelli e i genitori, giorni e giorni di ragionamenti sulla scelta migliore da fare. Allora il Milan era allenato da Carlo Ancelotti: «Ovviamente il mister era a conoscenza di quanto stava succedendo, ma non ha mai detto nulla che potesse suonare come un tentativo di persuadermi in un modo o nell’altro. Non ha mai suggerito che dovessi restare o lasciare il club, si è sempre avvicinato a me per chiedermi come mi sentivo, se avevo bisogno di un aiuto o cose del genere. Carlo ha dimostrato la personalità per aiutarmi con l’accordo, ma al tempo stesso ha controllato la situazione in modo da assicurare che non danneggiasse la squadra».

Ma come reagiva il pubblico rispetto a questa grande operazione di mercato che stava per profilarsi? «La gente si chiedeva perché mai stessi anche soltanto prendendo in considerazione di andare in Inghilterra? Era semplice rispondere, perché il Milan aveva accettato l’offerta per me. Quando il tuo club accetta, le cose cambiano completamente. Se il Milan avesse rifiutato sarebbe stato tutto diverso. Se avessero rilasciato un comunicato dove dicevano:”‘Kaka non è in vendita”, non ci sarebbe stata cifra capace di convincermi. Io stavo bene, ero felice».

AC Milan's supporters hold posters reading "Vendesi" (for sale) and a flag reading "Kaka" during the Italian Serie A football match between AC Milan and Sampdoria at San Siro Stadium in Milan on April 12, 2015. AFP PHOTO / GIUSEPPE CACACE (Photo credit should read GIUSEPPE CACACE/AFP/Getty Images)

L’unica cosa di cui si poteva essere sicuri al tempo è che la situazione tra i due club e il giocatore era difficile per entrambi. «Gennaio non era il miglior momento per comprare o vendere un calciatore. Mentre, per me, era comunque difficile cambiare in quel periodo. Andare in un campionato e una nazione diversa, con una nuova lingua e cultura. Essere parte di un progetto ambizioso come quello. Non sapevo molto del City al tempo, conoscevo solo le informazioni base. Sapevo che lo sceicco Mansour aveva rilevato il club e che aveva intenzione di costruire comprando i maggiori giocatori al mondo. Ma non era la squadra che tutti conosciamo oggi. Ancora non era la squadra capace di combattere per grandi trofei in patria e in Europa».

Le negoziazioni tra il City e il giocatore erano andate avanti e arrivarono al punto in cui dovevano essere definiti soltanto alcuni numeri. Mancava soltanto la parola del giocatore. «Quelle discussioni con il City furono importanti perché mi permisero di capire veramente dove puntava il loro progetto. Chi c’era oltre me, quali altri giocatori sarebbero arrivati, quali erano gli obiettivi a breve e lungo termine». Kakà si ritrovò a ragionare su come sarebbe stata la sua vita una volta andato in Inghilterra, come avrebbero vissuto i bambini e la moglie una volta cambiata casa. «Pregare mi ha sempre aiutato tantissimo, in quel periodo soprattutto, mi ha aiutato a trovare il giusto equilibrio nella mia vita. Soprattuto, mi ha aiutato a trovare la pace nelle mie decisioni».

Athens, GREECE: AC Milan's Brazilian midfielder Kaka poses with the trophy at the end of the Champions League final football match against Liverpool, at the Olympic Stadium, in Athens, 23 May 2007. AC Milan won 2-1. AFP PHOTO / MUSTAFA OZER (Photo credit should read MUSTAFA OZER/AFP/Getty Images)

«Alla fine sono giunto alla conclusione che non era il momento giusto per me per andare al City e la ragione principale era l’incertezza dietro il processo di costruzione della squadra. Non era chiaro come sarebbe stato ricostruito il team, non ero sicuro. I tifosi del Milan mi amavano, e mi amano ancora ed è una cosa reciproca. Non posso sapere se, il giorno in cui sono venuti fin sotto casa per chiedermi di restare, le cose sarebbero andate diversamente. Ma fu un qualcosa di incredibile, una sensazione unica. Devo dire che i tifosi ebbero una parte importante, mi hanno aiutato a scegliere di rimanere al Milan».

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