L’Inter del nuovo corso viene da una settimana che l’ha vista prima pareggiare con una prestazione impeccabile contro la Juventus e poi cadere malamente contro l’Udinese dopo una vittoria a dir poco sofferta in Coppa Italia contro il Pordenone. Prenderemo queste partite come esempio principale per capire la rivoluzione invisibile con cui Spalletti ha portato la stessa rosa dello scorso anno alla momentanea conquista della zona Champions pur non dimenticando i difetti che potrebbero rallentare il percorso nerazzurro in campionato.
Andiamo con ordine: l’Inter viene da una stagione a dir poco turbolenta che ha visto avvicendarsi in panchina ben 3 allenatori e una serie di risultati altalenanti: molto male all’inizio con De Boer, un exploit natalizio con Pioli in cui sembrava in grado di ambire alle posizioni più alte, un tracollo primaverile e una serie di risultati anonimi sotto la guida di Vecchi che li porta fuori da ogni competizione europea.
La dirigenza decide, con un po’ di delusione da parte dei tifosi ma con molta intelligenza, di portare avanti la rosa su cui molto avevano investito la stagione precedente e di affidare la panchina a Luciano Spalletti. Il resto è storia recente: 17 partite giocate, 12 vinte, 1 persa, terza miglior difesa del campionato, meglio della Juventus.
Proprio la difesa è stata, dagli esperti, la componente del nuovo corso più analizzata e indicata come la chiave di questa serie di successi. Più generale ci si è spesso concentrati su singoli aspetti o giocatori per spiegare questo exploit: le parate di Handanovic, la sorpresa Skriniar, l’esplosione di D’Ambrosio e il ritorno di Santon, la catena Vecino-Valero già collaudata dai tempi della Fiorentina, gli strappi di Perisic e l’indomabile Icardi. Tutti aspetti molto veri ma che non spiegano il quadro generale che ha reso tutto ciò possibile: ovvero che Spalletti non ha cambiato niente.
Andando nel dettaglio, effettivamente molte sono le cose in comune in termini di schieramento iniziale rispetto al girone di ritorno dell’annata precedente: sia Pioli che Vecchi nelle ultime due partite di campionato hanno alternato il 4-3-3 al 4-2-3-1, prediligendo quest’ultimo. Comune all’anno scorso è il tridente offensivo composto da Candreva, Perisic e Icardi; comune all’anno scorso è l’impiego di un centrocampo a 3 (nel 4-2-3-1 nella trequarti operava João Mario, come avviene attualmente); comune alla stagione precedente infine è l’utilizzo di una difesa a 4 con praticamente gli stessi interpreti.
La differenza sta nell’aggiunta di nuovi interpreti (Skriniar, Borja Valero e Vecino) che hanno saputo integrarsi alla perfezione grazie, appunto, alla stabilità continuativa garantita da Spalletti.
I risultati finora ottenuti però lasciano presagire una variazione rispetto alla scorsa fallimentare stagione, come se il tecnico toscano in qualche modo fosse riuscito ad ottimizzare le risorse già presenti con Pioli. Per osservare in che modo Spalletti sia riuscito a migliorare in così poco tempo, proviamo ora a dividere le recenti prestazioni reparto per reparto, per poi cercare di capire come sia cambiata la struttura globale della squadra.
Il modo in cui attacca l’Inter di Spalletti può dividersi in due tipologie, a seconda della situazione in cui si trova non appena recuperano palla: se c’è la possibilità di attaccare gli spazi in campo aperto con una fase di transizione offensiva, l’Inter solitamente impiega i 3 giocatori offensivi in maniera molto efficace. Le due ali Candreva e Perisic immediatamente dopo il recupero della palla attaccano in profondità lo spazio laterale lasciato libero dai terzini avversari e uno dei due viene servito da un compagno con un lancio lungo. Nello stesso momento, Icardi si fa trovare in zona avanzata per leggere la situazione e tagliare improvvisamente verso l’area di rigore, abilità in cui particolarmente eccelle, in modo da essere servito dall’ala. Questo schema, che è piuttosto semplice da descrivere, richiede un elevato tasso tecnico: in questo caso, l’abilità di lancio lungo del difensore/centrocampista nerazzurro, le capacità di lettura e di attaccare gli spazi dei tre attaccanti e la bravura delle ali nell’effettuare cross puntuali.
È vero che il taglio a zigzag è lo schema più elementare per una punta alla ricerca di smarcarsi, ma è interessante notare la qualità di questo movimento. Icardi infatti non si muove nello spazio non appena questo viene lasciato scoperto da Bonucci. Invece l’argentino segue il difensore milanista per qualche passo dandogli la sensazione di correre sulla stessa diagonale e quindi di essere marcato. Questo condiziona il movimento di Musacchio, che intuisce il pericolo ma non può far nulla. A differenza del pensiero comune, infatti, l’anticipo ai danni di Icardi avrebbe messo i due difensori sulla stessa linea. Il numero 22 si troverebbe con la visuale coperta, avendo la difficoltà di un intervento fronte alla porta da effettuare in una frazione di secondo, e soprattutto lasciando completamente scoperto il secondo palo dove sopraggiungeva Perisic. Il movimento perfetto di Icardi in questo senso è uno scacco matto che lo porta il 90% delle volte a colpire la palla senza che il marcatore abbia delle colpe effettive. L’errore infatti non sta nel lasciare Icardi libero per i motivi sopracitati, bisogna invece ricercarlo nel posizionamento precedente a questo frame, quando i due centrali avrebbero dovuto aprirsi a fisarmonica e farsi trovare non in linea e non così vicini.
Oltre alle capacità tecniche, schemi di questo tipo richiedono un certo tipo di posizionamento iniziale, e qui si nota l’attenzione ai dettagli di Spalletti. È l’allenatore che, al fine di dare maggior certezza e consapevolezza ai giocatori, deve guidare le tre punte a posizionarsi difensivamente nel giusto punto (né troppo alti né troppo bassi), in modo da determinare in maniera chiara i giusti punti di innesco della transizione. Il ruolo dell’allenatore in questo caso è di dare maggior libertà di azione agli attaccanti, una volta certi di poter attaccare senza patemi d’animo. Questo dettaglio può fare la differenza nella mente dei giocatori, e può essere critico nel separare un allenatore mediocre da uno ben più preparato.
Il secondo stile offensivo dell’Inter si basa invece su una situazione in cui si deve affrontare una difesa schierata. In questo caso, la squadra di Spalletti si comporta in una maniera che si può definire (forzatamente) anti-estetica. La manovra nerazzurra infatti ha poco a che fare con la ricerca di uno stile di gioco palla a terra come quello napoletano oppure con una ricerca ossessiva del cambio gioco più rapido possibile come nel caso della Juventus. L’impressione che dà la squadra di Spalletti è che cerchi semplicemente di posizionare nelle giuste zone e in gran quantità i giocatori offensivi. Non è sorprendente infatti osservare l’Inter portare palla nella trequarti avversaria con tre uomini che vanno ad occupare l’area, a volte creando dei pericolosi 3 vs 3. Anche in questo caso, lo schema può sembrare elementare, ma nel mondo della tattica l’apparenza non è altro che la punta di un iceberg composto da dettagli su dettagli. Dal lato tattico infatti, inserire i giusti giocatori negli spazi corretti richiede un pesante lavoro da parte dello staff tattico; dal lato tecnico, invece, è richiesta una elevata abilità nell’effettuare cross radenti e pericolosi, oltre a un’eccellente capacità di inserirsi coi giusti tempi.
Emblematico è il posizionamento di Perisic durante i cross provenienti dalla fascia opposta: il croato infatti non va quasi mai ad attaccare il secondo palo nel caso in cui Icardi non dovesse arrivare sul pallone, bensì resta qualche metro più indietro ad attendere una eventuale comoda seconda palla. In questo modo, Spalletti abbina una esigenza tattica (l’enorme vantaggio derivante da una seconda palla conquistata all’interno dell’area avversaria e uno schermo a protezione della eventuale ripartenza avversaria già piazzato ) con una esigenza tecnica (la velocità di esecuzione di tiro del croato). Et voilà.
Questo tipo di impostazione offensiva, molto ordinata e cruda, detta i tempi e le movenze di tutto il resto della squadra.
Il lavoro del centrocampo di Spalletti, ad esempio, passa spesso inosservato, o meglio, viene elogiato per motivi sostanzialmente neutrali come la famosa catena di fraseggio Borja Valero-Vecino. É vero che i due sanno dialogare molto bene e che spesso riescono a far saltare una marcatura grazie a strette triangolazioni. Ma è anche vero che l’azione nerazzurra si sviluppa raramente al centro del campo, che la catena con frequenza di passaggio più elevata è quella composta da Candreva – D’Ambrosio e che le azioni più pericolose sono quelle che nascono da un lancio lungo piuttosto che da un filtrante. Non è un caso che sia Vecino che Valero abbiano delle statistiche sugli assist e i goal molto basse e che paradossalmente D’Ambrosio conti più assist e goal dei due messi assieme.
Questo non a discredito, sia chiaro. Solo per sottolineare come la loro fondamentale importanza sia quella di creare e occupare spazi senza palla creando un elastico che corre a ritmi incessanti tra difesa e attacco fino al momento in cui la partita si sblocca. Solo allora subentrano le qualità tecniche di palleggio che Spalletti usa per addormentare il gioco e far respirare i suoi uomini.
Il compito (e pregio) del centrocampo di Spalletti è quello di essere presente in ogni momento dell’azione, sempre pronto ad offrire una linea di passaggio e a lavorare sulle seconde palle in fase offensiva, sempre attento alle marcature e all’interdizione in fase difensiva. In questo modo si permette ai due reparti di lavorare con assoluta efficienza e di garantire una costanza fisica durante tutti i 90 minuti per continui e violenti strappi che colgono gli avversari impotenti. Non è un caso che l’Inter abbia sbloccato quasi tutte le partite più complicate negli ultimi minuti di gara.
Nell’ultima parte di un match molto combattuto come Inter-Cagliari sono proprio gli strappi degli esterni e – ancora una volta – il posizionamento molto alto di Brozovic a determinare il match in favore dei nerazzurri. Come vediamo in questo caso è bastata una sgambata di Candreva e Perisic a far saltare completamente ogni linea di blocco cagliaritana. L’esterno e il centrocampista croato si ritrovano completamente soli e non marcati nello spazio di un paio di secondi, con i centrocampisti sardi sulle gambe e incapaci di rincorrerli dopo 70 minuti.
Quando il mister si trova di fronte ad una squadra che crea blocchi difficili da superare sulle fasce, sono subito pronti gli inserimenti di Brozovic e Joao Mario la cui scarsa disciplina dal punto di vista tattico viene colmata dal ripiegamento delle ali così che siano liberi di creare occasioni in maniera improvvisa da qualsiasi parte del campo si trovino.
In questa azione si può vedere come Brozovic sia lontano dalla sua zona di competenza: così facendo, Borja Valero – le cui competenze difensive sono diverse da quelle di Gagliardini – si trova a dover accorciare (come farebbe in qualsiasi caso), ma lasciando alle sue spalle un potenziale 3 vs 2 nella fascia opposta. Un traversone preciso potrebbe creare problemi. Tuttavia, un’eventuale recupero palla (tra l’altro probabile in questa occasione dato che l’Inter stava cercando di sovraffollare l’area) avrebbe aumentato le possibilità di attaccare in zona centrale.
Questa facilità di copertura e apertura di spazi da parte del centrocampo permette alla difesa di Spalletti di lavorare con assoluta tranquillità: sempre in raddoppio, linea alta e salda, pochi interventi in scivolata – unica squadra senza cartellini rossi. Da una difesa disastrata e spesso oltremodo criticata si è passati una delle migliori difese del campionato senza la necessità di cambiare gli interpreti eccezion fatta per Skriniar, la cui esplosione non è dovuta a qualità tecniche ‘straordinarie’ quanto alle giuste qualità inserite nel giusto meccanismo. Ad aiutare è anche l’unico accorgimento veramente visibile a primo impatto che Spalletti ha attuato nei suoi primi sei mesi, ossia il blocco completo dei terzini. Nonostante i numeri, i terzini superano raramente la metà campo e quando lo fanno lo fanno solo per una sovrapposizione parziale all’esterno, ossia senza arrivare mai sul fondo per crossare. Solo a D’Ambrosio è consentito qualche strappo verso il centro del campo quando la squadra è bloccata, per confondere gli avversari.
Juventus Inter è stata una partita tatticamente perfetta per entrambi gli allenatori. Il meccanismo difensivo dell’Inter è impeccabile e per questo Massimiliano Allegri è costretto a lavorare solamente sulla fascia di Cuadrado, la famosa variabile impazzita, nella speranza di un colpo improvviso che sblocchi la partita vista l’impossibilità di sviluppare l’azione in qualsiasi altra parte del campo. Questa slide è esemplificativa di un equilibrio tattico incredibile. Il blocco di Santon che non partecipa all’azione offensiva sembra un dettaglio ma cambia completamente l’esito dell’azione: Cuadrado in velocità in ripartenza non è abbastanza vicino al suo diretto marcatore per saltarlo nell’uno contro uno dove eccelle, è costretto ad aspettare la sovrapposizione della mezzala (Khedira) che però è arginato da Borja Valero, deve attendere ancora per la sovrapposizione di De Sciglio ma quando questa arriva Perisic ha avuto il tempo di ripiegare e Santon può coprire la fascia. Non ci sono linee di passaggio e un’azione che di solito porta la Juventus a creare occasioni da goal è completamente bloccata. Il colombiano è costretto ad un cross azzardato con nessuno dentro all’area e un 5vs3. Il fatto che Mandzukic poi sovrasterà D’Ambrosio da fermo e colpirà la traversa è anzitutto un aspetto tecnico (e non tattico) inevitabile ed è preferibile e meno efficace di un colpo di testa o di un inserimento rapido e incontrollabile.
Ecco, a tirare le somme questo è stato davvero l’unico accorgimento sostanziale in termini tattici adottato da Spalletti: il comportamento dei terzini.
Se questo aspetto spesso ha portato finora a soluzioni vincenti, i terzini attuali restano pur sempre quelli che nella stagione passata hanno contribuito alla débâcle in campionato (la dirigenza ha anche provato ad aumentare la qualità del ruolo con dei nuovi acquisti, a proposito). Così dunque possono capitare partite come la sconfitta con l’Udinese, dove è bastato affrontare una compagine fisicamente in forma per soffrire gli stessi strappi che i nerazzurri sono soliti usare per scardinare le difese avversarie.
Dopo l’ottima prestazione con la Juventus, Santon ha affrontato gli avversari friulani dell’Udinese con un piglio molto più aggressivo, cercando spesso di anticipare la mossa dell’avversario per dare il via ad azioni pericolose piuttosto che schermare con intelligenza e ripartire al momento giusto. Caratteristica, quella dell’anticipo, che non è nelle corde del giocatore e che, sebbene invitante in certi momenti della partita può portare a delle sviste costose. Ad esempio il secondo goal di Barak, dove il terzino sale molto alto alla ricerca di una sovrapposizione dimenticando di controllare se Perisic fosse in zona per supportare l’uscita alta ed il conseguente spazio lasciato libero.
Partite come quest’ultima fanno in modo, paradossalmente, di apprezzare ancor di più il lavoro svolto dal tecnico di Certaldo in questo delicato aspetto.
Chiari quindi appaiono i meriti del lavoro di Spalletti: normalizzare il più possibile il potenziale non sfruttato l’anno precedente. Il resto è solamente una spasmodica attenzione ai dettagli, una visione di gruppo e mai di reparto, la capacità di costruire un gioco non basato sulla creazione di occasioni ma sulla solidità e il saper aspettare. Un allenatore che è passato inosservato, che non ha preteso stravolgimenti, che ha saputo lavorare di fino oliando i meccanismi piuttosto che comprando un nuovo motore.
Certo, avrà bisogno di più di qualche accorgimento sul lungo periodo per via di schemi statici, di maggior numero di competizione e conseguente calo fisico (come probabilmente dimostrato dalla recente “settimana nera”). Ciò non toglie che l’Inter in questo momento è in grado di lottare per le primissime posizioni del campionato. Per il futuro c’è tempo.