Il tema ricorrente, quando si parla delle caratteristiche di Simone Verdi, riguarda il suo essere naturalmente ambidestro. Dei sei gol segnati finora in campionato (già pareggiato il suo massimo in carriera in Serie A con 8 presenze in meno rispetto al 2016/17) tre sono stati realizzati con il destro e altrettanti con il sinistro (e su 16 reti complessive nella massima serie il rapporto è 9/7); soprattutto, la soluzione con il piede debole – per così dire – viene adottata in relazione a una scelta precisa: tradotto, Verdi calcia anche di sinistro come opzione migliore in relazione al singolo momento e non perché costretto ad affrettare la conclusione (come dimostra questo gol al Milan). Un dettaglio che, unito ad una shot accuracy poco sotto il 45% in carriera, a una notevole qualità di calcio e a una capacità di coordinazione favorita dal perfetto bilanciamento del suo baricentro (come in occasione della splendida rete contro la Sampdoria nella scorsa stagione), lo rende un giocatore potenzialmente unico nel suo genere.
Nella gara contro il Crotone dello scorso 4 novembre, Simone Verdi è diventato il primo giocatore nella storia della Serie A ad aver realizzato una doppietta su punizione calciando con entrambi i piedi. In passato solo Hernanes aveva sfiorato un simile record: nella stagione 2014/15 il brasiliano era stato capace di andare a segno su calcio piazzato sia di destro che di sinistro, ma non nella stessa gara
Limitarsi alle capacità balistiche non rende pienamente l’idea di che tipo di giocatore sia Verdi a 25 anni: è difficile farlo rientrare in una precisa categoria, ed è altrettanto difficile trovargli una collocazione tattica precisa – in linea teorica la sua multidimensionalità gli consentirebbe di ricoprire ogni ruolo della trequarti offensiva, senza spiccare in nessuno di essi. Probabilmente ha ragione Maurizio Sarri, che potrebbe essere il suo prossimo allenatore, quando dice che Verdi «è un calciatore straordinario, con un grande talento ma con un pizzico di incapacità di fare la differenza rispetto alle doti che ha». La sua fisicità relativa (un metro e 73 per 63 chili, appena il 30% di contrasti vinti nelle ultime due stagioni) e le sue doti nell’uno contro uno (costantemente oltre il 60% di dribbling riusciti da quando veste il rossoblù), lascerebbero immaginare un giocatore naturalmente propenso alla giocata immediata e verticale: in realtà le difficoltà di conduzione della transizione e una scarsa esplosività nei primi metri hanno accentuato l’associatività delle sue giocate (nel 2017/18 siamo già a quota cinque assist e 27 passaggi chiave, a fronte delle 46 occasioni create nell’intera scorsa stagione) e la capacità di agire all’interno di un collettivo dai movimenti codificati, senza per questo rinunciare alle iniziative personali. Il suo essere ambidestro, poi, lo rende totalmente imprevedibile nell’ultimo terzo di campo, tanto in fase di conclusione quanto in quella di rifinitura, compensando parzialmente gli endemici difetti nell’occupazione dello spazio e degli inserimenti senza palla.
Questo gol contro l’Udinese ai tempi del Carpi è la perfetta sintesi delle difficoltà di marcare uno come Verdi negli ultimi 16-20 metri di campo: la sua capacità di calciare indifferentemente di destro e di sinistro rende estremamente credibile il campionario di finte e controfinte usato per crearsi lo spazio per la conclusione
Non deve perciò stupire che negli ultimi anni i suoi allenatori abbiano sperimentato più volte alla ricerca della posizione in cui massimizzare l’impatto delle sue prestazioni. Nell’Empoli di Sarri, incardinato sui principi del 4-3-1-2, si alterna con Saponara nel ruolo di trequartista dietro le punte, pagando rispetto al “rivale” la minore propensione nella lettura dello spazio da attaccare senza palla e una certa passività in fase di non possesso (appena un’azione difensiva di media a partita): a fine anno i dividendi sono comunque buoni (26 presenze – di cui 16 da titolare – un gol, un assist e 25 key passes) e gli valgono una dimenticabile parentesi nella Liga con l’Eibar (9 presenze) prima del prestito a gennaio al Carpi (tre reti in otto gare) che convince il Bologna a pagare al Milan il milione e mezzo di euro necessario a riscattare il suo cartellino. Donadoni, dopo averlo inizialmente impostato da falso nueve (constatando ben presto le inevitabili difficoltà contro difensori molto più fisici di lui), decide di spostarlo in fascia per sfruttarne le qualità in fase di consolidamento del possesso e di costruzione della manovra, rendendolo di fatto il vero e proprio regista offensivo della sua squadra: che giochi a destra o a sinistra, il compito di Verdi è accentrarsi per ricevere palla tra le linee e liberare lo spazio attaccabile dal terzino di riferimento, azionato dalla successiva verticalizzazione. E, in situazioni difesa schierata e di spazi intasati, cercare la giocata risolutiva, magari attraverso il tiro da fuori.
Le heatmap relative alle partite di Verdi in Napoli-Empoli (stagione 2014/15, a sinistra), Napoli-Bologna (stagione 2016/17, al centro) e Bologna-Crotone (stagione 2017/18, a sinistra) mostrano le diverse zone d’incidenza del giocatore in relazione al suo utilizzo: nelle due occasioni contro i partenopei, pur trovando il gol in entrambe, se l’è cavata meglio quando ha potuto agire alle spalle di due riferimenti fissi piuttosto che da centravanti atipico, quando ha dovuto costantemente arretrare il suo raggio d’azione per ricevere palloni giocabili. La sua azione è, invece, molto più continua anche dal punto di vista qualitativo quando può giostrare in fascia per poi accentrarsi e sfruttare la naturale propensione a calciare con entrambi i piedi per rifinire o concludere in prima persona
«Il Bologna non è la Juventus, il Napoli o il Milan. Quando uno riceve questi interessamenti deve cogliere l’occasione per migliorare. Del resto è umano che tutti sognino in grande, dall’operaio che vuole diventare caporeparto al calciatore che legittimamente pensa di arrivare al top. Personalmente, spero che queste voci diano lo stimolo a Simone per fare sempre meglio, e a noi motivo di lavorare per diventare, un giorno, come il Napoli o il Milan». In queste parole di Donadoni, oltre alla rassegnazione relativa al dover rinunciare al suo giocatore migliore, è condensata la conditio sine qua non affinché Verdi possa ritagliarsi il giusto spazio anche in una realtà di alto profilo. Il fatto che, similmente al discorso fatto per la sua posizione ideale, si stia parlando un giocatore adattabile tanto a squadre che hanno necessità di soluzioni estemporanee per ovviare a una fase offensiva al momento stagnante (come l’Inter che però, stando alle parole di Luciano Spalletti, «non ha i 30 milioni per poterselo permettere») quanto a quelle che, come il Napoli, hanno bisogno di una variante di tipo concettuale, influenzerà notevolmente la percezione del suo impatto nella nuova realtà, tanto più a campionato in corso e senza un fisiologico periodo di adattamento.
Se il colore dell’immediato futuro sarà l’azzurro, l’aver già giocato agli ordini di Sarri non potrà essere considerato un punto di partenza privilegiato: un po’ perché lo stesso tecnico ha optato per un sistema offensivo profondamente diverso rispetto a quello dei comuni trascorsi empolesi, un po’ perché questo sistema richiede una capacità di attacco degli spazi che Verdi non ha ancora sviluppato del tutto (ma il suo essere naturalmente associativo nelle giocate potrà influenzare positivamente la curva di apprendimento in tal senso). Al contempo, però, è necessario sottolineare come la sua atipicità e la sua capacità di interpretare diversi ruoli all’interno dello stesso spartito siano i motivi per cui sia stato scelto: lecito aspettarsi che Verdi sia in grado di surrogarsi a tutti gli interpreti del tridente partenopeo, altrettanto aspettarsi che lo faccia a modo suo senza snaturare le sue qualità migliori. Da questo punto di vista molto interessante si rivelerà il contributo che sarà in grado di apportare quando sarà chiamato a fare le veci, alternativamente, di Insigne e Callejón: nel primo caso l’interpretazione sarà maggiormente tendente all’improvvisazione e alla ricerca della superiorità numerica attraverso l’uno contro uno piuttosto che azionando il triangolo completato da Hamsik e Mario Rui/Ghoulam, nel secondo la fascia destra potrà essere utilizzata come zona privilegiata di costruzione della manovra e non più solo in fase di finalizzazione come accade con lo spagnolo. Difficile, invece, almeno per il momento, immaginarlo fin da subito come primo cambio di Mertens: il belga, infatti, è l’unico a godere della libertà di derogare dallo spartito predefinito in ragione delle sue doti tecniche che gli consentono di creare dal nulla potenziali situazioni di vantaggio per sé e per gli altri. Un qualità propria anche di Verdi che, però, questa libertà dovrà essere in grado di conquistarsela sul campo. E l’intero girone di ritorno potrebbe non bastare.