Il posto di Simone Verdi

Nel presente, ma anche nel futuro prossimo. Punti di forza e punti deboli di un giocatore dalle caratteristiche difficili da inquadrare.
di Claudio Pellecchia

Il tema ricorrente, quando si parla di Simone Verdi, riguarda il suo essere naturalmente ambidestro. Dei sei gol segnati finora in campionato (già pareggiato il suo massimo in carriera in Serie A con 8 presenze in meno rispetto al 2016/17) tre sono stati realizzati con il destro e altrettanti con il sinistro (e su 16 reti complessive nella massima serie il rapporto è 9/7); soprattutto, la soluzione con il piede che non sarebbe il “suo” – per così dire – viene adottata in relazione a una scelta precisa: tradotto, Verdi calcia anche di sinistro come opzione migliore in relazione al singolo momento e non perché costretto ad affrettare la conclusione (come dimostra questo gol al Milan). Un dettaglio che, unito ad una shot accuracy poco sotto il 45% in carriera, a una notevole qualità di calcio e a una capacità di coordinazione favorita dal perfetto bilanciamento del suo baricentro (come in occasione della splendida rete contro la Sampdoria nella scorsa stagione), lo rende un giocatore che non ha uno o più termini di paragone.

Nella gara contro il Crotone dello scorso 4 novembre, Simone Verdi è diventato il primo giocatore nella storia della Serie A ad aver realizzato una doppietta su punizione calciando con entrambi i piedi. In passato solo Hernanes aveva sfiorato un simile record: nella stagione 2014/15 il brasiliano era stato capace di andare a segno su calcio piazzato sia di destro che di sinistro, ma non nella stessa gara

Limitarsi solo alla dimensione balistica non è comunque utile a capire che giocatore sia Verdi a 25 anni, visto che è difficile descriverlo attraverso strumenti narrativi fortemente standardizzati, ed è altrettanto difficile trovargli una collocazione tattica precisa – in linea teorica la sua multidimensionalità gli consentirebbe di ricoprire ogni ruolo nella metà campo offensiva, senza spiccare in nessuno di essi. Probabilmente ha ragione Maurizio Sarri, che potrebbe essere (di nuovo) il suo prossimo allenatore, quando dice che Verdi «è un calciatore straordinario, con un grande talento ma con un pizzico di incapacità di fare la differenza rispetto alle doti che ha». La sua fisicità relativa (un metro e 73 per 63 chili, appena il 30% di contrasti vinti nelle ultime due stagioni) e le sue doti nell’uno contro uno (costantemente oltre il 60% di dribbling riusciti da quando veste il rossoblù), lascerebbero immaginare un giocatore naturalmente propenso a giocare a testa alta e a guardare sempre in avanti, uno che forza la giocata anche quando non sarebbe necessario farlo: e invece in questi anni abbiamo imparato a conoscerlo ed apprezzarlo per l’associatività delle sue giocate (nel 2017/18 siamo già a quota cinque assist e 27 passaggi chiave, a fronte delle 46 occasioni create nell’intera scorsa stagione) e la capacità di agire all’interno di un collettivo dai movimenti codificati, senza per questo rinunciare alle iniziative personali. Il suo saper fare tutto senza doversi preoccupare di spostare il pallone su un piede o sull’altro, poi, lo rende potenzialmente immarcabile nell’ultimo terzo di campo, tanto in fase di conclusione quanto in quella di rifinitura, compensando parzialmente gli endemici difetti nell’occupazione dello spazio e degli inserimenti senza palla.

Questo gol contro l’Udinese ai tempi del Carpi è la perfetta sintesi delle difficoltà di marcare uno come Verdi negli ultimi 16-20 metri di campo: la sua capacità di calciare indifferentemente di destro e di sinistro rende estremamente credibile il campionario di finte e controfinte usato per crearsi lo spazio per la conclusione

Non deve perciò stupire che negli ultimi anni i suoi allenatori abbiano sperimentato più volte alla ricerca della posizione in cui massimizzare l’impatto delle sue prestazioni. Nell’Empoli di Sarri, incardinato sui principi di un 4-3-1-2 piuttosto rigido, è l’elemento di raccordo alle spalle dei due attaccanti: un ruolo in cui non riesce a esprimersi al meglio soprattutto a causa delle sue (mancate) letture off the ball e una certa riluttanza nell’interpretazione corretta del pressing sul portatore di palla quando l’azione degli avversari parte dai difensori. Alla fine della seconda stagione con i toscani, tuttavia, i dividendi sono comunque abbastanza buoni (26 presenze – di cui 16 da titolare – un gol, un assist e 25 key passes) da valergli una dimenticabile parentesi nella Liga con l’Eibar prima del prestito a gennaio al Carpi (tre reti in totale) e del trasferimento a titolo definitivo al Bologna che taglia definitivamente il cordone ombelicale che lo legava al Milan, squadra che lo aveva formato e con cui aveva disputato appena due partite in Coppa Italia nel 2009/10 prima ancora di diventare maggiorenne. Donadoni per ovviare alle inevitabili difficoltà contro difensori molto più alti e forti di lui, decide di allontanarlo dall’area di rigore e lo sposta verso la linea laterale per sfruttarne le skills in fase di consolidamento del possesso e di trasmissione del pallone da un lato all’altro del campo, rendendolo di fatto il perno attorno cui ruota l’intero sistema offensivo della sua squadra: che giochi a destra o a sinistra, il compito di Verdi è tagliare dall’esterno verso l’interno per ricevere palla tra le linee e disorganizzare la rotazione difensiva in funzione del moto continuo dei suoi compagni. E, in situazioni difesa schierata e di spazi intasati, cercare la giocata risolutiva, magari attraverso il tiro da fuori.

Le heatmap relative alle partite di Verdi in Napoli-Empoli (stagione 2014/15, a sinistra), Napoli-Bologna (stagione 2016/17, al centro) e Bologna-Crotone (stagione 2017/18, a sinistra) mostrano le diverse zone d’incidenza del giocatore in relazione al suo utilizzo: nelle due occasioni contro i partenopei, pur trovando il gol in entrambe, se l’è cavata meglio quando ha potuto agire alle spalle di due riferimenti fissi, quando ha dovuto costantemente arretrare il suo raggio d’azione per ricevere palloni giocabili. La sua azione è, invece, molto più continua anche dal punto di vista qualitativo quando può giostrare in fascia per poi tagliare verso il centro e sfruttare la naturale propensione a calciare di destro e/o di sinistro per rifinire o concludere in prima persona

«Il Bologna non è la Juventus, il Napoli o il Milan. Quando uno riceve questi interessamenti deve cogliere l’occasione per migliorare. Del resto è umano che tutti sognino in grande, dall’operaio che vuole diventare caporeparto al calciatore che legittimamente pensa di arrivare al top. Personalmente, spero che queste voci diano lo stimolo a Simone per fare sempre meglio, e a noi motivo di lavorare per diventare, un giorno, come il Napoli o il Milan». In queste parole di Donadoni, oltre alla rassegnazione relativa al dover rinunciare al suo giocatore migliore, è condensata la conditio sine qua non affinché Verdi possa ritagliarsi il giusto spazio anche in una realtà di alto profilo. Il fatto che, similmente al discorso fatto per la sua posizione ideale, si stia parlando un giocatore adattabile tanto a squadre che hanno necessità di soluzioni estemporanee per ovviare a una fase offensiva al momento stagnante (come l’Inter che però, stando alle parole di Luciano Spalletti, «non ha i 30 milioni per poterselo permettere») quanto a quelle che, come il Napoli, hanno bisogno di una variante di tipo concettuale, influenzerà notevolmente la percezione del suo impatto nella nuova realtà, tanto più a campionato in corso e senza un fisiologico periodo di adattamento.

Se il colore dell’immediato futuro sarà l’azzurro, l’aver già giocato agli ordini di Sarri non potrà essere considerato un punto di partenza privilegiato: un po’ perché lo stesso tecnico ha optato per un sistema offensivo profondamente diverso rispetto a quello dei comuni trascorsi empolesi, un po’ perché questo sistema richiede una capacità di attacco degli spazi che Verdi non ha ancora sviluppato del tutto (ma il suo essere naturalmente associativo nelle giocate potrà influenzare positivamente la curva di apprendimento in tal senso). Al contempo, però, è necessario sottolineare come la sua atipicità e la sua capacità di interpretare diversi ruoli all’interno dello stesso spartito siano i motivi per cui sia stato scelto: lecito aspettarsi che Verdi sia in grado di surrogarsi a tutti gli interpreti del tridente partenopeo, altrettanto aspettarsi che lo faccia a modo suo senza snaturare le sue peculiarità. Da questo punto di vista molto interessante si rivelerà il contributo che sarà in grado di apportare quando sarà chiamato a fare le veci, alternativamente, di Insigne e Callejón: nel primo caso l’interpretazione sarà maggiormente tendente all’improvvisazione e alla ricerca della superiorità numerica attraverso l’uno contro uno piuttosto che solo e soltanto all’interno del triangolo completato da Hamsik e Mario Rui/Ghoulam, nel secondo la fascia destra potrà essere utilizzata come una superficie alternativa di sviluppo della manovra e non più come un “territorio di caccia” riservato agli incursori che arrivano dalle retrovie. Difficile, invece, almeno per il momento, immaginarlo fin da subito come primo cambio di Mertens: il belga, infatti, è l’unico a godere della libertà di derogare dallo spartito predefinito in ragione delle sue doti tecniche che gli consentono di creare dal nulla potenziali situazioni di vantaggio per sé e per gli altri. Una qualità che sappiamo appartenere anche a Verdi che, però, questa libertà dovrà essere in grado di conquistarsela sul campo. E l’intero girone di ritorno potrebbe non bastare.

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