Perché il Chelsea vuole Carroll?

La punta del West Ham ha 29 anni, e non raggiunge la doppia cifra da otto. Eppure per gli inglesi può valere ancora venti milioni di sterline.

Venti milioni di sterline, l’equivalente di poco meno di ventitré milioni di euro: è la cifra che – secondo il Guardian – il Chelsea sarebbe disposto ad investire per portare Andy Carroll all’ombra di Stamford Bridge. La difficoltà di Morata e Batsuahyi sono le premesse, e descrivono un Chelsea che là davanti qualche problema lo ha. Eppure è lecito chiedersi: si può davvero credere che un giocatore come Carroll, che va per i trent’anni e da otto anni non supera la doppia cifra, possa rendersi utile alla causa? È lo stesso Guardian a chiederselo, quantomeno fra le righe: «Il suo non è il genere di profilo su cui il Chelsea usa puntare, considerata la sua tendenza agli infortuni e il fatto che rivenderlo comporterebbe una minusvalenza». Poi però l’autore del pezzo, Dominic Fifield, continua con una tesi dubbia: «La squadra sta faticando a convertire in rete le occasioni da gol, e Conte crede che Carroll possa arricchirla da questo punto di vista».

C’è bisogno dei gol delle punte, insomma. Ed eccoci al punto: Carroll, di gol, ne ha segnati 32 nelle ultime sei stagioni. Un dato che non si esaurisce di per sé, ma che se abbinato al suo stile di gioco offre la percezione di un centravanti vecchio-stampo che oltre al gioco di sponda, alla coordinazione spettacolare una tantum e alla fisicità in area, almeno allo stato attuale, non sa andare. Basti pensare che nella prima parte della stagione in corso, l’unica voce delle statistiche offensive di Carroll che supera l’unità è quella riferita alle palle perse. Il che significa un’utilità pressoché nulla in passaggi chiave, dribbling, calci piazzati ottenuti. È in sostanza un attaccante monotematico, che – anche per via dei numerosi infortuni che lo hanno frenato – serve poco alla squadra se non in determinati momenti della gara.

In tutto questo c’è David Moyes, manager degli Hammers, che ad una domanda sull’eventuale partenza di Carroll risponde: «Non voglio indebolirmi». Frase di circostanza, può darsi, ma che in un certo senso alimenta la tesi di Fifield sul Guardian. Riflettendo più in generale, ciò che colpisce è l’approccio quasi protettivo che gli inglesi riservano ai propri giocatori. Per fare un parallelo: chi in Italia etichetterebbe Cerci, Sau, ma anche Destro, Eder, come giocatori da venti milioni di euro? Quella sulla differenza tra i casi è una questione ampia, profonda, che parte dal calcio ma che si intreccia con la cultura. Quanti inglesi, ad esempio, vanno a giocare nel continente? Gli unici casi riscontrati in Italia negli ultimi anni sono quelli di Hart, di Richards, di Cole e Morrison – più o meno tutti rivelatisi flop.

Cose che capiamo dal video: di testa la prende sempre lui, segna solo da dentro l’area, sa usare il fisico per intimorire gli avversari.

La Nazionale inglese è l’unica a schierare sempre o quasi undici giocatori militanti nella massima lega del Paese, mentre Spagna, Francia, Germania attingono dalla Premier con la stessa percentuale con cui pescano nei propri dintorni. La verità è che gli inglesi fanno volentieri a meno di cambiare ambiente: è l’ideale autarchico che da sempre li contraddistingue a frenarli. Ed è anche per questo, probabilmente, che un ex promessa come Carroll viene troppo apprezzata oltremanica; perché, in fin dei conti, gli inglesi sanno bene che in qualsiasi altro luogo nessuno ne capirebbe il significato.