Il più grande scandalo di abusi sessuali nella storia dello sport

È quello che sta uscendo adesso nel mondo della ginnastica Usa, ma se ne sta parlando ancora poco.

«Molti di voi mi conoscono come una giovane donna felice, sorridente e piena di vitalità, ma ultimamente mi sentivo un po’ in frantumi […]. Ora non ho più paura di raccontare la mia storia. Anche io sono una delle tante sopravvissute che è stata abusata da Larry Nassar». L’immagine della ragazzina che sorride con l’oro olimpico al collo, quella della piccolissima ginnasta – appena 143 cm di altezza – che aveva incantato mezzo mondo e forse di più con i suoi volteggi, è stata   schiacciata dalla potenza di una denuncia per abusi sessuali. Con un lungo post sui suoi profili social, Simone Biles ha rivelato di essere stata una delle tante atlete vittime di Larry Nassar, l’ex medico della Nazionale Usa di ginnastica.

La giovanissima Simone, 20 anni, è solo la punta dell’iceberg dell’intero panorama sportivo americano macchiato dalle perversioni di personaggi come Larry Nassar. Uno che per quasi trent’anni è stato tra i medici più importanti e famosi della Usa Gymnastics, ma dallo scorso dicembre sta scontando sessant’anni di carcere per tre capi di accusa legati alla pornografia infantile. Lui stesso si era dichiarato colpevole la scorsa estate – per quelli che in realtà erano sette capi d’imputazione – e a breve comincerà il processo per le violenze, per il quale rischia l’ergastolo dato che gli sono imputate oltre 100 accuse di aggressione sessuale. La storia di Nassar per associazione di idee potrebbe rientrare nel discorso sullo scandalo degli abusi sessuali scoppiato a Hollywood e allargatosi a macchia d’olio in decine di altri campi, sfruttando anche l’autostrada dei social media e del movimento #MeToo. Ma lo scandalo di violenze sessuali nella ginnastica Usa ha tante di quelle sfumature che dovrebbe avere uno spazio tutto suo nella nostra testa. Perché non è circoscritto a un solo uomo. È un po’ più grande di così, un bel po’: il nome di Nassar si inserisce in un sistema, quello degli sport olimpici negli Stati Uniti, che da decenni copre quelli come l’ex medico della Nazionale di ginnastica.

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Larissa Boyce e Alexis Alvarado, entrambe vittime di Larry Nassar, in tribunale in Michigan (Jeff Kowalski/Afp/Getty Images)

 

Le inchieste giornalistiche

Almeno 368 giovani atleti e atlete hanno subito abusi da parte di allenatori, medici, dirigenti. Dal livello amatoriale a quello olimpicoNel settembre 2016 un’inchiesta dell’Indianapolis Star ha rivelato che negli ultimi vent’anni almeno 368 giovani atleti e atlete hanno subito abusi da parte di allenatori, medici, dirigenti. Dal livello amatoriale a quello olimpico. Ci sono bambine fotografate nude dai coach, quattordicenni molestati dai personal trainer, ragazzine di cui gli allenatori hanno abusato fisicamente. E in questo clima la federazione di ginnastica statunitense avrebbe trattato con scetticismo molte accuse – sbagliato pensare sia un problema da declinare solo al femminile, anche se è la maggioranza – che, di fatto, erano poco più che bambini. Un’altra inchiesta, stavolta del Washington Post, allarga ancora di più il tiro. Lo spettro degli abusi comprende 290 tra allenatori, membri dello staff e dirigenti sportivi di 15 discipline diverse, per un periodo che va dal 1982 a oggi. Quasi trentasei anni. Secondo il WaPo, dopo decine e decine di interviste, analisi di documenti e accuse, uno dei problemi principali è che nello sport americano la cultura dominante mette in primo piano i risultati e i premi, allontanando, sullo sfondo, la salvaguardia degli atleti. Una cultura in cui una medaglia d’oro ha la priorità anche sulla tutela dei minori. In un articolo su questo tema pubblicato sulla Gazzetta dello Sport circa un anno fa, Massimo Lopes Pegna scriveva: «Sul banco degli imputati ci sono insegnanti considerati intoccabili e dai curriculum gloriosi. La pedofilia nelle palestre, spesso certificate dalla federazione Usa, è un virus maledetto, che ha contagiato l’America in lungo e in largo. Ed esiste la convinzione che questo tipo di crimini sia stato coperto dalla federazione della ginnastica Usa per paura degli scandali o per il timore di dire addio alle medaglie mondiali e olimpiche». Come se non bastasse, in gioco ci sono anche cifre discretamente consistenti provenienti dagli sponsor, da tutte quelle aziende che non hanno intenzione di associare il loro marchio a una Nazionale che si macchia di certi orrori.

Tra l’altro, non sarebbe nemmeno un problema legati ai soli Stati Uniti, come testimoniano i casi di violenza denunciati nel resto del mondo: dal Regno Unito – dove di casi di allenatori sotto inchiesta ce ne sono parecchi – a Hong Kong, dove più di 70 atleti hanno rilasciato una dichiarazione per chiedere al governo e alle autorità sportive del Paese di migliorare le misure per proteggere gli sportivi più giovani dagli abusi sessuali, fino all’esempio storico di Nadia Comaneci, costretta a diventare l’amante del terzogenito di Ceausescu in Romania. Ma da una costa all’altra degli States, le notizie che vengono fuori ogni giorno negli ultimi mesi stanno costruendo un mosaico inquietante, che potrebbe facilmente essere il più grande scandalo sessuale nella storia dello sport.

<> on January 16, 2018 in Lansing, Michigan.
Jade Capua testimonia in tribunale in Michigan (Scott Olson/Getty Images)

 

Nascondere le prove

«Non si può ottenere uno come Nassar», ha detto Rachael Denhollander, un’altra vittima del medico, «cioè un pedofilo in grado di abusare di ragazzine, senza una base culturale che glielo consente».

Per anni i vertici dello sport Usa, a cominciare dal Comitato Olimpico degli Stati Uniti (Usoc) – il vertice della piramide – hanno nascosto la polvere sotto il tappeto. Come nel caso di McKayla Maroney, altro oro olimpico della ginnastica Usa, che ha presentato una causa contro la stessa Usoc e la Usa Gymnastics, accusando i due enti di voler nascondere gli abusi sessuali di Larry Nassar (ancora lui!) facendole firmare un accordo “confidenziale e di non divulgazione” in cambio di 1,25 milioni di dollari come risarcimento per pagare la terapia psicologica. E anche se si volessero considerare soltanto le accuse ai danni di Nassar ci sarebbero altre centinaia di storie come questa.

Quando, invece, i vertici dello sport Usa non hanno provato a insabbiare tutto intervenendo in prima persona, c’era un intero clima di omertà e connivenza a proteggere il coach di turno. Un lungo articolo di Espn che ripercorre la storia degli abusi di Larry Nassar spiega come il medico, fin dall’inizio della sua carriera, abbia avuto sempre campo libero per perpetrare abusi sulle giovani ginnaste. È il caso della Twistars, la palestra di John Geddert, uno dei più famosi allenatori di ginnastica della Nazione. Caratterialmente due poli opposti, severo e senza scrupoli il coach, gentile e accogliente il medico, bastone e carota. Dopo sessioni di allenamento a base di paura e tensione, le atlete andavano nella stanza sul retro con Nassar a cercare conforto. Di quel che vi trovavano, Geddert era sicuramente consapevole, stando alle accuse di alcune vittime. Per capire il clima di omertà è sufficiente riportare le parole che una delle ragazze ha riferito a Espn: «Almeno in parte, ciò che ha permesso tutto questo è che John [Geddert] faceva a pezzi i corpi e gli animi delle giovani atlete, e Larry era lì per aggiustarli».

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Larry Nassar in tribunale il 16 gennaio (Geoff Robins/Afp/Getty Images)

In generale, se la prima e più evidente falla nel sistema è rappresentata dall’assenza di controlli della federazione su coach e staff, e in generale dalla mancanza di una qualsiasi forma di prevenzione – qualcosa sta cambiando negli ultimi tempi –, il ruolo e il potere lasciato nelle mani degli allenatori è decisamente troppo grande. È un problema soprattutto di sport come la ginnastica, e di ogni disciplina individuale, in cui l’aspetto psicologico dell’atleta è determinante: il potere di persuasione che può avere un coach sull’allievo è sconfinato. Gli stessi genitori del ragazzo – o della ragazza – talvolta scelgono di affidarsi totalmente all’allenatore se non hanno familiarità con la disciplina, fino a consentire al Larry Nassar di turno di chiudersi in una stanza con una ragazzina appena teenager per testare l’elasticità del suo corpo ancora in piena fase di sviluppo. Tutto questo è immerso in un contesto di sport ipercompetitivo dove, magari, ci sono in palio medaglie olimpiche, e dove anche la stessa vittima potrebbe essere spinta a sopprimere ogni tentativo di denuncia.

Vengono chiamati solo atleti: sono solo un mezzo per raggiungere l’obiettivo, la medaglia, il risultato. Eppure nella maggior parte di casi si tratta di persone che vanno dai 6 ai 15 anniUn dettaglio, inoltre, inquadra perfettamente il livello di alienazione che un determinato contesto può creare attorno ai ragazzi. Nell’inchiesta del Washington Post viene intervistato, tra gli altri, Victor Vieth, legale esperto in materia di crimini sessuali, che ha studiato diversi casi di violenze sui minori in cui non le accuse dei ragazzi sono state ignorate o nascoste. Vieth ha notato, in allenatori e medici sportivi, un’insolita riluttanza nell’utilizzare la parola “children”, ragazzi. Vengono chiamati solo atleti: sono solo un mezzo per raggiungere l’obiettivo, la medaglia, il risultato. Eppure nella maggior parte di casi si tratta di persone che vanno dai 6 ai 15 anni: sono bambini o al più ragazzi, iniziare a chiamarli per quel che sono potrebbe essere un primo passo. «Bisogna fare attenzione», ha detto Vieth al Washington Post, «l’organizzazione degli sport olimpici degli Stati Uniti conta 320mila ragazzi, e bisogna guardarli e considerarli prima ragazzi, poi atleti».

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John Geddert alle Olimpiadi di Londra nel 2012 (Jamie Squire/Getty Images)

 

Indignarsi è un primo passo

Prima c’è stata l’inchiesta dell’Indianapolis Star, poi il Washington Post, poi a ruota anche gli altri media. Eppure il caso degli abusi sessuali nello sport è tornato a galla solo dopo il post di Simone Biles. Ci è voluta una campionessa olimpica per rimettere sulla bocca di tutti – anche se forse solo per poco tempo – il nome di Larry Nassar, massimo esponente di un sistema malato che per anni si è difeso infangando molte storie, alcune terribili. Perché non se ne parla a ciclo continuo fino al raggiungimento di una soluzione? Dov’è il buco, nella storia? Un’idea se l’è fatta Bryan Armen Graham, giornalista del Guardian: «Il problema non è la copertura mediatica: il giornalismo è un business, se le persone si preoccupano di qualcosa allora sarà più seguita. È vero che si tratta di uno sport che ha poco seguito al di fuori delle Olimpiadi, ma la chiave del discorso è che l’abuso di donne è normalizzato nella nostra società. In certi casi riusciamo ad accettare che le donne siano vittimizzate, quindi non è sorprendente quando accade. È una forma subconscia di cancellazione. Il problema, quindi, non sono i media, ma siamo noi, che non siamo in grado di dare al più grande scandalo di abusi sessuali nella storia dello sport il peso e le attenzioni che merita».