«Non rinneghiamo mai la nostra identità, contro qualsiasi avversario. A noi piace tenere il possesso del pallone, dominare le partite»: è una dichiarazione di Paulo Fonseca, allenatore dello Shakhtar Donetsk. Le sue parole raccontano in maniera esatta il calcio praticato dalla squadra ucraina, riproducono l’esperienza visiva di un match della capolista della Prem’er-Liha. I prossimi avversari della Roma in Champions League hanno dei principi di gioco chiari, riconoscibili, utilizzano un sistema che aderisce perfettamente alle caratteristiche dei giocatori. È una corrispondenza che va oltre il discorso semplicistico del modello tattico ritagliato sugli uomini a disposizione: l’intero progetto dello Shakhtar è simbiosi e in osmosi con le idee del tecnico portoghese, con il suo calcio corale eppure individualista, che tende a razionalizzare il talento senza comprimerlo in maniera eccessiva. È un approccio ideologico integrativo e complementare alla politica di reclutamento dello Shakhtar, un club storicamente incline all’importazione della qualità grezza, allo sviluppo di calciatori giovani e soprattutto sudamericani, di campioni potenziali da mentalizzare rispetto alla funzionalità del gioco.
In un’intervista rilasciata a Panenka, ripresa anche nel numero 19 di Undici, Mircea Lucescu descrive così il mondo dello Shakhtar Donetsk: «C’erano ragazzi che partivano, altri che arrivavano, prestavamo attenzione ad ogni dettaglio. La maggior soddisfazione dei miei dodici anni in Ucraina è stato vedere cinque nostri ex calciatori diventare titolari nella nazionale brasiliana. Il talento senza educazione non è sufficiente, un fuoriclasse deve saper prendere le migliori decisioni. Fernandinho, Willian, Alex Teixeira e Douglas Costa sono degli esempi perfetti, erano grandi promesse e sono diventati giocatori completi. Il momento più importante per un calciatore è tra i 18 e 21 anni, e io non ho mai messo i risultati al primo posto: volevo costruire una squadra, formare i giovani basandomi sui miei principi di gioco offensivo». È lo Shakhtar di ieri, è praticamente lo Shakhtar di oggi. La transizione tra Lucescu e Paulo Fonseca è percettibile, ma in realtà è una continuità naturale, che condivide gli stessi concetti di riferimento.
Una transizione positiva dello Shakhtar: costruzione bassa, apertura sul lato debole e creazione della superiorità numerica. Lo sviluppo successivo è un riassuunto delle elevate qualità tecniche e creative degli uomini di Fonseca.
La premessa sul progetto-Shakhtar è fondamentale per l’analisi rispetto a ciò che avviene in campo. La squadra ucraina è programmata per riconoscere e incrementare il talento del suo organico, e allora cerca di esaltarlo, punta tutto sulla tecnica dei suoi uomini offensivi, sulla valorizzazione della loro qualità attraverso l’attribuzione delle responsabilità creative. Il 4-2-3-1 di Fonseca poggia su due concetti di base: la costruzione bassa, per attirare il pressing, e la successiva ricerca dell’uomo libero tra le linee. L’obiettivo è creare situazioni di scompenso numerico nella difesa avversaria, in modo che gli elementi con maggiore tecnica possano giocare il pallone con una certa libertà, e vengano messi in condizione di cercare il duello individuale. È una scelta di efficacia, non di estetica: lo Shakhtar è la terza squadra della Champions per rapporto tra dribbling riusciti e tentati (74%), quindi si esprime al massimo quando riesce ad innescare i suoi calciatori migliori in situazioni di uno contro uno.
Lo sviluppo applicativo di queste idee avviene attraverso un procedimento che prevede la forzatura del possesso palla iniziale. La costruzione coinvolge il portiere Pyatov, i due centrali in posizione allargata e i componenti del doble pivote Fred-Stepanenko, che si abbassano a turno per aumentare le linee di passaggio disponibili. Le direttrici successive conducono ai terzini , sempre altissimi e con i piedi sulla linea laterale, oppure ai movimenti combinati dei tre trequartisti brasiliani. In base allo sviluppo dell’azione, gli esterni Marlos e Bernard possono entrare all’interno del campo per cercare combinazioni in spazi stretti, oppure continuano a lavorare in ampiezza, in coppia con i terzini. Taison è l’hub creativo alle spalle dell’unica punta, parte dalla posizione centrale e spazia lungo tutto il fronte offensivo per creare superiorità posizionale. Facundo Ferreyra, infine, interpreta il ruolo composito di centravanti associativo, in grado di arretrare per legare i reparti ma anche di attaccare l’area di rigore, così da garantire una certa profondità al gioco.
L’atteggiamento dello Shakhtar è decisamente offensivo, richiede molto dal punto di vista fisico, ogni manovra d’attacco “porta” almeno sette calciatori nella metà campo avversaria. Partendo da questi presupposti tattici, la fase passiva deve essere necessariamente basata su distanze ridotte, organizzata secondo un’idea di reparti compatti nei momenti di difesa posizionale. L’unico modo per limitare gli squilibri arretrati, soprattutto contro avversari di grande qualità, è recuperare velocemente il pallone, magari in una zona di campo avanzata, in modo da non concedere spazi dietro la linea difensiva. Ovviamente si tratta un’operazione non sempre facile, non sempre possibile: non è un caso che lo Shakhtar, tra le squadre che hanno superato i gironi di Champions, sia quella che ha concesso il maggior numero di conclusioni nello specchio (33).
Lo Shakhtar e Paulo Fonseca camminano su un terreno stabile, conosciuto, eppure scivoloso. Il loro approccio al gioco non è negoziabile, gli avversari sono secondari rispetto all’impostazione della partita. O meglio: l’impostazione della partita prescinde dalla forza e dalle caratteristiche degli avversari. In un pezzo di Espn pubblicato dopo il match in casa del Manchester City, Gabriele Marcotti scrive: «La maggior parte delle squadre che affrontano Guardiola utilizzano una strategia basata su densità difensiva e contropiede. Lo Shakhtar, invece, ha deciso di fare le cose diversamente: ha lasciato inalterato il suo gioco, ha deciso di occuparsi del pallone dopo averlo recuperato. Fonseca ha provato a sfruttare comunque la tecnica dei suoi artisti (il terzino Ismaily e i trequartisti brasiliani), di praticare un calcio di pazienza e qualità. Finché la squadra ha avuto avuto le energie fisiche e mentali necessarie, il dispositivo ha funzionato. E ha messo in difficoltà il Manchester City, forse ha mostrato al mondo come affrontare una squadra così forte, al di là del risultato finale».
Abbozzare una preview della partita di questa sera contro la Roma parte essenzialmente da qui. La squadra di Di Francesco, per poter coltivare l’ambizione di un risultato positivo a Kharkhiv (dal 2017 lo Shakhtar utilizza lo stadio del Metalist per le partite casalinghe), dovrà essere in grado di organizzare un meccanismo di pressing continuo, puntuale, ma soprattutto preciso, per limitare i rifornimenti agli uomini offensivi. In questo modo, potrà neutralizzare la manovra dello Shakhtar, potrà costringerlo a un possesso circoscritto, o comunque meno pericoloso. Dal punto di vista della fase d’attacco, la Roma può pensare di sorprendere gli uomini di Fonseca con azioni estemporanee, con iniziative singole o collettive che partano da movimenti in grado di forzare il modello tattico. La difesa ucraina – stasera dovrebbe essere composta dagli interpreti titolari: Butko, Krivtsov, Khotcholava e Ismaily – non è fondata su valori assoluti molto alti, la forza sta nel dispositivo più che nelle individualità, allora le letture non sono sempre impeccabili, soprattutto in caso di giocate che spezzano le linee consolidate.
Una verticalizzazione improvvisa, che asseconda un contro-movimento di Mertens e l’inserimento di Insigne nello spazio di mezzo: come superare il 4-4-2 posizionale dello Shakhtar
La Roma dovrà disegnare una prestazione di grande rispetto, di estrema attenzione: lo Shakhtar è una squadra con un’identità di gioco definita e definitiva, in grado di mettere in difficoltà qualsiasi avversario in determinati periodi di gioco. Una delle perplessità legata agli uomini di Fonseca potrebbe essere quella della condizione atletica, del resto la pausa invernale del calcio ucraino è terminata solo nell’ultimo week-end. Anche per questo, Di Francesco e i suoi calciatori potrebbero pensare a un piano partita composito, per determinare il contesto e il risultato: una prima parte di pressione intelligente, in modo da disinnescare il possesso verticale e prosciugare le energie dello Shakhtar; dopo, una seconda parte più dominante, in cui far prevalere una qualità individuale più alta e spalmata in maniera più proporzionata su tutti i reparti. Il primo posto nel girone permette e permetterà alla Roma di giocarsi le sue chance sui 180′, con il ritorno all’Olimpico. Uno status decisamente favorevole, a patto di non offrire allo Shakhtar le condizioni per poter esprimere la grande risorsa a disposizione di Fonseca e del suo sistema: il talento, ovviamente. Quando si parla di Shakhtar, tutto comincia e finisce proprio qui, proprio così.