Si può uccidere uno sport dominandolo?

È il problema della Norvegia con lo sci di fondo: lo domina, e a Pyeongchang l'ha dimostrato come mai prima. Il problema è che lo domina troppo.

I Giochi olimpici invernali di Pyeongchang, in Corea del Sud, sono stati i Giochi “della Norvegia”. Nella storia delle Olimpiadi non era mai successo, infatti, che una Nazionale vincesse tante medaglie quante ne hanno collezionate i norvegesi quest’anno: sono state 39, divise tra 14 ori, 14 argenti, e 11 bronzi. Anche la Germania, arrivata seconda, ha fatto un grande percorso: ma si è fermata a 31 medaglie, anche se di queste 14, come la Norvegia, erano d’oro.

La disciplina in cui la Norvegia ha schiacciato gli avversari, che è anche quella in cui ha vinto, in rapporto, più medaglie rispetto al suo totale, è lo sci di fondo (cross-country skiing, in inglese): il medagliere norvegese contava, in questo caso, 14 podi, di cui 7 ori, 4 argenti e 3 bronzi. A questo proposito, a Pyeongchang la Norvegia ha realizzato un altro record: quello della fondista – appunto – Marit Bjørgen, che ha vinto 5 medaglie in varie specialità di sci di fondo ed è diventata l’atleta olimpica più decorata di sempre, toccando quota 15.

In un interessante articolo il New York Times ha fatto luce sulle conseguenze potenzialmente disastrose che questo successo rischia di avere sullo sci di fondo: più la Norvegia domina, insomma, meno persone vorranno praticare lo sport, in altri Paesi. È un dato che è stato notato anche a livello televisivo: Jurg Capol, direttore marketing della International Ski Federation, ha detto che dal 2011, quando l’ascesa norvegese al dominio totale dello sport è iniziata, gli ascolti televisivi a livello europeo sono calati del 40 per cento. «Se l’atleta del tuo Paese continua a finire 23esimo», ha spiegato, «in quel Paese è probabile che smetterai di guardare le gare». Oltre alle Olimpiadi coreane, c’è un altro buon esempio di quanto la Norvegia sia, al momento, la dominatrice assoluta dello sport: sono i Campionati mondiali di sci nordico del 2017, tenutisi in Finlandia, in cui la Norvegia femminile ha vinto tutti gli ori disponibili nei 5 eventi di sci di fondo (e in totale, 9 su 18, contando anche le altre medaglie).

Il fondista classe 1996 Johannes Klæbo sul traguardo

Come sempre nello sport, spiega sempre il New York Times, quando si analizza il successo di uno sport va considerato anche un elemento antropologico e culturale: in Norvegia la neve è una costante per molti mesi ogni anno, e l’utilizzo degli sci – soprattutto di fondo – è diffusissimo nella popolazione fino dalla giovane età. E c’è anche una questione economica se molti atleti scelgono di impegnarsi in questa disciplina: essendo quella in cui la nazione ha più successo, girano molti soldi tramite grandi sponsor: banche nazionali, perfino compagnie petrolifere, materia prima di cui i mari intorno alla Norvegia sono ricchissimi.

Ma la Norvegia sta facendo qualcosa per evitare di “uccidere” lo sport che sta dominando: il quotidiano statunitense lo chiama «una versione sportiva del Piano Marshall». Ogni anno da 7 anni invita fondisti da tutto il mondo per dei “training camp” della durata di una settimana. Certo una settimana non è molto, ma qualcosa. «Sentiamo una responsabilità verso la comunità internazionale», ha detto Erik Roste, Presidente della Federazione sciistica norvegese, «e vogliamo essere aperti. Vogliamo condividere le nostre conoscenze». Un altro “training camp”, oltre a quello per gli sciatori, è offerto anche agli allenatori.

Una delle stelle delle Olimpiadi di Pyeongchang è stato Johannes Klæbo: classe 1996, nato a Trondheim, ha conquistato 3 ori ai suoi primi Giochi nello sprint, nello sprint a squadre e nella staffetta. Di lui ha detto Fredrik Aukland, un commentatore sportivo norvegese: «Poteva diventare un grande calciatore, poteva essere famoso in ogni sport che avesse scelto. Ma ha scelto lo sci di fondo perché è lo sport più popolare».

 

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