Far West Corsica

Violenze, tragedie, misteriose scomparse: storia del calcio corso, e del perché è predominato dal terrore.

Dopo aver dichiarato l’indipendenza della Corsica, nel 1755 Pasquale Paoli decise di spostare sulla fronte la benda che fino ad allora aveva coperto gli occhi del Moro raffigurato sulla bandiera corsa. Lo fece perché voleva che l’isola fosse libera di guardare di fronte a sé, scegliendo da sola la direzione da prendere. Per questo fondò la Repubblica democratica corsa e la dotò di una Costituzione modernissima, anticipando di trent’anni la Rivoluzione francese e la Dichiarazione dei diritti dell’uomo. Le speranze di Paoli però vennero presto infrante dalle truppe francesi, che conquistarono l’isola nel 1769. Senza modificare la bandiera, Luigi XV mise nuovamente la benda sugli occhi del popolo corso, che da allora accusa Parigi di avergli sottratto la libertà e il benessere. Perché la Corsica, oggi, non è un’isola felice: il tasso di disoccupazione è superiore al 10% (più alto di un punto rispetto alla media nazionale) e una famiglia su cinque vive sotto il livello di povertà. Il turismo, da solo, non riesce a sostenere la traballante economia dell’isola, che negli ultimi anni ha visto cadere sotto i colpi della crisi anche i suoi due principali club calcistici, l’SC Bastia sulla costa est e l’AC Ajaccio sulla costa ovest.

Separatismo calcistico

Nella loro storia Ajaccio e Bastia non hanno vinto praticamente nulla. Oggi l’Ajaccio milita in Ligue 2, mentre il Bastia gioca addirittura in National 3, la quinta divisione del calcio transalpino. Il palmarès vuoto, però, non è mai stato un problema per i tifosi corsi. Perché tra ultras fuori controllo, giocatori scomparsi nel nulla e presidenti terroristi, in Corsica non c’è bisogno di vincere le partite per non annoiarsi. Sull’isola si può perdere, a condizione che si rispetti una sola, semplice regola: far capire agli avversari, alle loro tifoserie e agli arbitri che non sono i benvenuti. Perché la Corsica «n’est pas Française».

Il calcio corso è un altro sport rispetto a quello continentale. Ajaccio e Bastia sono gestiti come attività a conduzione familiare, lontani anni luce dallo show-biz parigino-qatariota e dal lusso monegasco. La ragione di questa differenza  è che sull’isola non è il denaro a muovere il pallone, come succede in Francia, ma è la politica a farlo. Il nazionalismo corso domina il sistema calcistico locale e spesso ciò che succede sugli spalti è più importante di quello che accade in campo. Gli stadi di Ajaccio e Bastia sono i palcoscenici ideali per ricordare a tutti che l’autonomia dalla Francia resta in cima alla lista dei desideri della maggioranza dei corsi (come dimostrano le recenti elezioni territoriali). I tifosi però non si limitano a manifestare i loro sentimenti con semplici coreografie (come accade a Barcellona, per esempio) ma trasformano le partite in vere e proprie guerriglie urbane. Perché l’ala estrema del separatismo corso ha due indirizzi precisi: la curva est dello Stade Armand Cesari di Bastia e l’elegante sede sociale dell’Ajaccio.

Tifosi dell’Ajaccio nel 2004

La costa est

Gli anni d’oro dell’SC Bastia sono stati quelli a cavallo tra il 1970 ed il 1980. Nella stagione ‘76-‘77 il Bastia lottò a lungo per il titolo di campione di Francia, arrivando terzo e qualificandosi per la Coppa Uefa. Per affrontare al meglio la sfida europea, il club acquistò Johnny Rep dal Valencia e, anche grazie ai suoi gol, raggiunse la finale contro il PSV Eindhoven. La sconfitta contro gli olandesi non rallentò l’ascesa del Bastia, che nel 1981 vinse la Coppa di Francia contro il Saint Etienne, conquistando il primo e unico trofeo della sua storia. Dopo quel trionfo al Parco dei Principi, l’SC Bastia venne inghiottito dall’anonimato della Ligue 2. Da allora, la squadra riappare agli onori della cronaca solo a causa dei teppisti che controllano lo Stade Cesari (o Furiani, dal nome del quartiere in cui sorge l’impianto). Se fino agli anni ’70 i tifosi locali si limitarono ad assaltare le auto su cui viaggiavano gli arbitri lungo la strada tra l’aeroporto e la città, nel decennio successivo la loro strategia cambiò. Nel 1989, durante una partita interna contro il Digione, l’arbitro Michel Nouet venne aggredito dai tifosi, inferociti per una serie di episodi dubbi, e fu costretto a rifugiarsi negli spogliatoi per salvare la pelle.

Dal minuto 2:11. Forse è per la divisa scura, ma mentre scappa dai tifosi il povero Nouet ricorda un’ala degli All Blacks

Le immagini mostrano lo stato disastroso in cui versa lo stadio e le dichiarazioni dell’allora presidente Fantoni a proposito della sicurezza sugli spalti suonano come un macabro presagio. La sera del 5 maggio 1992 infatti, durante la semifinale di Coppa di Francia contro l’Olympique Marsiglia, la tribuna provvisoria costruita alle spalle di quella già esistente crollò sotto il peso di diecimila tifosi. Sotto le macerie morirono diciotto persone, mentre i feriti furono più di duemila. La tragedia, però, non servì a nulla: i lavori di ristrutturazione del Furiani partirono solo due anni dopo e si protrassero fino al 2011. Nel frattempo, sugli spalti e sul terreno di gioco hanno continuato a comandare gli ultras. Dalla curva Jojo-Petrignani, il gruppo “Testa di Moro 92” ha terrorizzato arbitri e avversari con lanci di oggetti e invasioni di campo. Nel 1994 il direttore di gara Antoine De Pandis fu costretto a interrompere il match contro il Monaco per evitare che guardalinee e giocatori monegaschi venissero travolti dai tifosi fuori controllo.

Thuram e Djorkaeff portano avanti il Monaco prima che la partita venga falsata dagli incidenti

Nel video, il centrocampista del Bastia Eric Dewilder dice che quello che è successo è «normale». Per lui non è strano vedere i tifosi sopra al tunnel degli spogliatoi o arrampicati in cima alle barriere di sicurezza. Per Dewilder i fumogeni e gli accendini che piovono in campo non sono una novità e il fatto che i giocatori avversari vengano circondati e colpiti con pugni e calci non è sorprendente. Dewilder sa che al Furiani tutto questo è normale perché il club è nelle mani degli ultras. A Bastia, la distanza tra le tribune e il terreno di gioco non esiste perché i ruoli, attorno al club, sono sempre stati confusi. Ecco perché Anthony Agostini, uno dei fondatori dei “Testa di Moro 92”, diventa responsabile della sicurezza del club mentre Pierre Bianconi, terzino titolare della squadra, scompare nel nulla una mattina di dicembre del 1993. La polizia trovò la sua auto su un molo del porto di Bastia ma di lui si persero le tracce per sempre. L’ipotesi più concreta è che Bianconi, vicino alla causa indipendentista, sia stato ucciso in uno dei tanti regolamenti di conti che insanguinarono l’isola in quegli anni, nell’indifferenza delle istituzioni francesi.

Perché come spesso accade quando si tratta della Corsica, Parigi non sembra preoccuparsi troppo dei problemi dell’isola e il calcio non fa eccezione. La Federazione francese, ad esempio, non ha mai affrontato con severità i casi di discriminazione razziale che si sono ripetuti negli anni, coinvolgendo sia i giocatori del Bastia (Pascal Chimbonda nel 2004) sia quelli di squadre avversarie (Boubacar Kébé nel 2007, Mario Balotelli nel 2017). Paradossalmente, queste vicende hanno rafforzato gli ultras che nel 2004 si sono dichiarati vittime di un complotto orchestrato dai media anti-corsi e, dopo aver sciolto il gruppo storico “Testa Mora 92”, sono rinati sotto il nome di “Bastia 1905”. Sono loro i responsabili dell’ultima, folle invasione di campo che nell’aprile 2017 ha costretto l’arbitro a sospendere la partita contro l’Olympique Lione. L’epilogo ideale per una stagione disastrosa, conclusa con la retrocessione in Ligue 2 e, dopo il fallimento estivo, con la discesa in National 3. Oggi il futuro finanziario del club rimane incerto, anche se l’ipotesi più concreta sembra essere una cooperativa di imprenditori, dipendenti e tifosi, uniti in una sorta di azionariato popolare. Una soluzione che piace molto agli ultras, pronti a occupare i ruoli chiave della società in un remake di quanto accaduto qualche anno fa sull’altra costa dell’isola.

Tifosi del Bastia bloccano l’accesso allo stadio, dopo un match di campionato dello scorso aprile

La costa ovest

Nel 1989, il Fronte di Liberazione Naziunale Corsu (FLNC) si sciolse e la lotta armata ricominciò dopo anni di relativa calma. Le vittime di questa nuova ondata di violenza furono soprattutto corse, perché le due nuove fazioni del Fronte, quella Habituel e quella Historique, si dimenticarono del nemico comune iniziando una guerra fratricida che durò per tutti gli anni ’90. Messi da parte gli ideali, gli indipendentisti si concentrarono infatti su aspetti meno nobili ma più redditizi e divertenti: appalti, cariche pubbliche e squadre di calcio. Michel Orsoni è stato il presidente dell’AC Ajaccio dal 2008 al 2015, pur essendo più noto per il suo passato criminale che per le sue doti manageriali. Dopo la scissione del 1989, Orsoni guidò la fazione Habituel nella faida che tra il 1995 e il 1996 provocò più di venti morti sull’isola. Preoccupato per la sua incolumità, Orsoni decise di scappare in America Latina e tornò in Corsica solo nel 2008 quando, nel giro di pochi mesi, assunse la presidenza dell’Ajaccio.

Il club, a differenza del Bastia, non ha un passato glorioso da poter vantare e naviga da anni a metà classifica della Ligue2. L’aspetto sportivo non è mai interessato a Orsoni, che ha sempre considerato l’Ajaccio come uno strumento utile a consolidare il suo ruolo sulla scena corsa. Non c’è da stupirsi se, nei suoi otto anni di gestione, i risultati sportivi sono sempre stati mediocri, essendo più impegnato a non farsi uccidere che a rinforzare la squadra. Nonostante gli anni in esilio infatti, l’aria attorno a Orsoni è sempre stata pesante e a farne le spese sono state le persone a lui vicine. Nel 2010 il suo braccio destro, Antoine Nivaggioni, venne ucciso mentre stava rientrando a casa. Nel 2012 toccò al suo avvocato, Antoine Sollacaro, assassinato a colpi d’arma da fuoco in una stazione di servizio. In occasione del derby contro il Bastia, in programma pochi giorni dopo l’omicidio di Sollacaro, Orsoni ordinò che l’amico fosse ricordato con una vera e propria cerimonia funebre sul campo.

Giocatori dell’Ajaccio durante il riscaldamento

Pochi giorni dopo la morte di Sollacaro, venne ucciso anche Jacques Nacer, segretario generale del club e presidente della Camera di Commercio corsa. Per la squadra divenne impossibile scendere in campo con la giusta concentrazione, perché ogni partita giocata in casa si trasformava in una commemorazione funebre. «Dall’inizio della stagione non c’è stata una partita che non sia iniziata con un minuto di silenzio», denunciò Corse-Matin, il principale quotidiano dell’isola. Di fronte alle critiche sempre più insistenti, Orsoni è stato costretto a lasciare la presidenza. Lo ha fatto dando la colpa delle sue dimissioni allo Stato francese, colpevole di non aver concesso al club un finanziamento di quasi due milioni di euro. Senza quei soldi, ha dichiarato Orsoni, il futuro dell’Ajaccio sarebbe stato a rischio. L’accusa è sempre la stessa ed è in parte fondata: Parigi affama l’isola, abbandonandola nel momento del bisogno. Orsoni però non è Pasquale Paoli e gli interessi della Corsica non coincidono con i suoi affari, che vengono sempre al primo posto. Per questo Orsoni ha affidato all’amico Léon Luciani la presidenza del club, in modo da mantenere il controllo della squadra nella speranza di tornare in sella al momento opportuno. Che potrebbe non essere troppo lontano, visto che l’Ajaccio, nonostante tutto, è in corsa per la promozione in Ligue 1.