Da Viareggio è passata la storia

Compie 70 anni il torneo giovanile più importante d'Italia, che ha saputo coniugare sport e internazionalismo sportivo.

Erano quattro amici al bar che volevano cambiare il mondo e per certi versi ci sono riusciti, avvicinando Paesi distanti non solo geograficamente e regalando un’opportunità a migliaia di ragazzini che sognavano di diventare qualcuno nel calcio. Il Torneo di Viareggio, una delle più antiche e prestigiose competizioni giovanili al mondo, è nato proprio così settant’anni fa – tra i tavolini del centralissimo Bar Trieste dove si riunivano gli amici in questione, cioè i consiglieri della locale polisportiva Centro Giovani Calciatori: furono loro a uscirsene con una coppa che facesse da vetrina a quanti ambivano a diventare i nuovi Meazza, Mazzola e Piola. Un’idea apparentemente folle e visionaria – erano ancora evidenti le cicatrici della guerra – ma capace d’arrivare fino ai giorni nostri e di resistere ai momenti più bui.

Era il 1948 e nel calendario dei festeggiamenti del Carnevale trovò posto una competizione di calcio: era l’edizione pilota del Torneo di Viareggio – o, come l’hanno sempre chiamata in città, la Coppa Carnevale – che vide sfidarsi, tanto per riallacciarci alla canzone, squadre rionali espressione di circoli e luoghi di ritrovo. Trionfò il Bar Lencioni, che si trovava e si trova tuttora a fianco dell’ex ospedale cittadino, ma i quadri del Cgc volevano volare ancora più in alto. Soprattutto il presidente Torquato Bresciani, per il quale il torneo internazionale era un sogno ad occhi aperti. In quegli stessi mesi Viareggio battezzò in estate il primo festival della canzone italiana: durò un paio di edizioni, giusto il tempo per gli ideatori di scontrarsi con l’assurdo ostruzionismo dell’azienda autonoma del turismo e di far sì che Sanremo se ne appropriasse per sempre. Il torneo di calcio, invece, non si sarebbe più mosso da Viareggio.

Il Parma, nel 1998

Già dall’anno seguente diventò più o meno quello che conosciamo oggi: raccolse l’adesione di dieci squadre fra cui tre straniere che rispecchiavano le relazioni bilaterali che lo sport italiano cercava faticosamente di tessere – i primi Paesi a ricucire i rapporti con Roma erano stati Svizzera e Francia e non a caso a Viareggio arrivarono Bellinzona, Nizza e Rapid Mentone. A raccontare il trionfo del Milan sulle pagine del Corriere dello Sport fu un inviato davvero speciale: era Fulvio Bernardini, che sempre eccezionalmente allenò la Roma nella finale persa contro la Sampdoria dodici mesi dopo. Il Dottore, pur annotando che «le squadre da oltre confine hanno detto troppo poco tecnicamente e atleticamente» e suggerendo di abbassare il limite di età dei giocatori da 21 a 20 anni, elogiò gli organizzatori affermando che «il Torneo va ripetuto tutti gli anni».

Soddisfatto per l’esito e per gli attestati di stima ricevuti dai quotidiani sportivi nazionali, il Cgc aveva nel frattempo richiesto alla Federcalcio il riconoscimento ufficiale alla competizione: il presidente Ottorino Barassi rispose solamente ad aprile, a torneo abbondantemente concluso, affermando che era «assurdo confondere il calcio con il Carnevale». Un’osservazione smentita dai fatti anno dopo anno, con schiere di giovani promesse che, dopo le fatiche sul campo, si sono svagati ammirando le sfilate dei grandi carri di cartapesta o amoreggiando poco distante. È in fondo questa la storia di Mario Masiello, vincitore con il Napoli nel 1975: a Viareggio ha trovato moglie e da quella unione è nato Andrea, attuale difensore dell’Atalanta, che il trofeo l’ha conquistato trent’anni dopo il padre con una Juventus che annoverava Marchisio, Giovinco e Criscito.

I giocatori della Roma, nel 2012, festeggiano un gol di Piscitella

Tranne alcuni sporadici casi come Gigi Riva e Gianni Rivera, dalla Coppa Carnevale sono passati quasi tutti i più grandi calciatori italiani dal dopoguerra a oggi. E lo stadio di Viareggio, un suggestivo impianto abbracciato da una pineta con le Alpi Apuane che sullo sfondo disegnano un paesaggio da cartolina, ne ha di storie da raccontare. Come quella della finalissima del 1965, decisa solamente al lancio della monetina che premiò il Genoa di Aldo Agroppi e Carlo Petrini. Come quella di Vialli e Mancini, ai tempi della Sampdoria prestati dalla prima squadra alla Primavera allenata da Marcello Lippi appositamente per una partita nel 1985. Come quella di Roberto Baggio che, come racconta nella sua autobiografia Una porta in cielo, al torneo firmò i suoi primi gol per la Fiorentina al rientro dopo un gravissimo infortunio. O come quella dell’edizione 1994, che vide accorrere a Viareggio gente come Filippo Inzaghi, Nesta, Totti e soprattutto Del Piero: fu lui, numero dieci della Juventus, ad affossare la Fiorentina nel replay della finale con uno dei primissimi casi di golden gol in Italia.

Anche sugli stranieri non manca l’aneddotica. Si potrebbe partire dal Partizan Belgrado, prima straniera a trionfare nel lontano 1951, arrivato a Viareggio a torneo già iniziato: la polizia di frontiera aveva bloccato giocatori e dirigenti che viaggiavano in treno temendo che si fosse intrufolato qualche clandestino desideroso di varcare il confine senza più rimpatriare. Si potrebbe rievocare la presenza del Città del Messico – che in realtà era la Nazionale Under 20 – alla quarantesima edizione con alcuni futuri protagonisti dello scandalo Los cachirules: mesi dopo la Fifa scoprì che quattro giocatori schierati per le qualificazioni ai Mondiali di categoria avevano in realtà un’età superiore al limite consentito e il Messico si ritrovò escluso da Italia ’90, con numerosi dirigenti federali radiati. Si potrebbe ricordare la storia di Gabriel Omar Batistuta, al torneo nel 1989 con gli argentini del Deportivo Italiano: fu portato ad assistere a un Fiorentina-Roma nello stadio che lo avrebbe consacrato come uno dei più forti centravanti della sua epoca, posò per una foto con Maradona che fece una visita a sorpresa – nella squadra giocava il nipote Diego López – approfittando di una trasferta del Napoli a Pisa, sbagliò un rigore ai quarti contro il Torino proprio nel giorno in cui compiva vent’anni. Nel 2006 sfidò i granata nel giorno del suo compleanno un altro attaccante sudamericano, che sulla lista del Danubio Montevideo consegnata agli organizzatori figurava come Cabani. Ma c’era un errore, una b al posto della v. E come lui i fratelli Miloš e Bora Milutinović, il grande libero dell’Ajax del calcio totale Velibor Vasović, Robert Prosinečki, Lahm e Schweinsteiger che con il Bayern Monaco sconfissero la Roma di De Rossi, il Papu Gómez, Pierre-Emerick Aubameyang, un sedicenne ma già possente Romelu Lukaku e un giovanissimo Icardi che la Sampdoria aveva appena ingaggiato dal Barcellona.

Rugani e Kabash, al Viareggio 2013

Nato prima della Coppa dei Campioni-Champions League e degli Europei, il Torneo di Viareggio ha avuto pure il merito di anticipare i tempi della diplomazia e allentare le tensioni internazionali. In piena Guerra fredda, una città governata quasi sempre dalla Democrazia Cristiana o al massimo dai socialisti accoglieva annualmente formazioni della Romania, della Bulgaria, dell’Urss e della Cecoslovacchia: una di queste, il Dukla Praga, si accattivò le simpatie dei comunisti locali al punto che nacque perfino una squadra amatoriale chiamata Dukla Viareggio e i dirigenti praghesi in segno di gratitudine regalarono le inconfondibili maglie giallo-amaranto. Nel 1978, addirittura, fu la volta di una rappresentativa giovanile di Pechino: il Cgc fece incontrare dirigenti e ambasciatori con Artemio Franchi, all’epoca vicepresidente della Fifa, e in seguito la Federcalcio cinese fu riammessa nel massimo organo calcistico mondiale. E nel 2002, pochissimi mesi dopo l’attentato alle Torri Gemelle, alla cerimonia d’apertura sfilarono assieme una squadra di New York, una israeliana e una palestinese.

Negli ultimi venti anni il torneo ha dovuto fare i conti pure con alcuni stravolgimenti. Era il 1998 quando parecchi giornalisti s’interrogavano sul futuro della manifestazione in tempi di sentenza Bosman, destinata a scombussolare le regole del calciomercato e, per riflesso, il mondo dei vivai: quell’anno gli organizzatori, tutti volontari che si occupano in prima persona di alloggi, accrediti e trasporti, riuscirono a varare una formula con trentadue partecipanti. Il numero è successivamente salito fino a quarantotto, ben prima della svolta della Fifa per i Mondiali sotto la presidenza di Gianni Infantino, e ora si è stabilizzato a quaranta. L’agenda delle giovanili dei club di tutta Europa si è poi via via infittita, al punto che la Figc non ha più fermato il campionato Primavera per due settimane in occasione del torneo – nel frattempo rinominato Viareggio Cup – come accadeva una volta: il Cgc ha così spostato la competizione nella seconda metà di marzo, approfittando della sosta fissata ogni anno per gli impegni delle nazionali Under 17 e Under 19.

Dando un’occhiata alla lista delle partecipanti balza sicuramente all’occhio l’assenza di potenze come Ajax, Barcellona, Bayern Monaco, Manchester United e Real Madrid che almeno in passato sono venute, seppur saltuariamente, a Viareggio. La mancanza di coordinamento a livello europeo tra le varie federazioni – in Italia i ventenni giocano nel campionato Primavera, mentre i loro coetanei spagnoli e tedeschi militano nelle leghe professionistiche con la squadra B dei grandi club – e la contemporanea nascita della Youth League sotto l’egida della Uefa di sicuro non giungono in soccorso degli organizzatori del torneo. E tuttavia lo stesso Barcellona, ma anche il Borussia Dortmund o il Porto, spediscono sempre qualche osservatore a Viareggio a caccia di nuovi talenti. Perché, al netto dei cambiamenti epocali occorsi nel calcio come nella geopolitica, e a dispetto dei settant’anni sulle spalle, in fondo il torneo è rimasto lo stesso. Ed è, tanto per chiudere il cerchio, come il solito bar dove torni di tanto in tanto e trovi sempre i soliti amici.

 

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