Payet al centro

Come il fantasista ex West Ham ha ritrovato nuova centralità e nuova linfa grazie al ritorno nella "sua" Marsiglia.

«Non riesco a capire come mai io non sia accettato a Marsiglia, forse non vengo compreso. La gente sta lì a dire ‘Payet è soltanto un vecchio, un giocatore di me**a’, accusandomi di non dare abbastanza. Alla fine non voglio dare molto spazio a questi attacchi, d’altronde è soltanto l’opinione di alcuni». Era il 16 marzo del 2017 quando, per la prima volta dal suo ritorno in Ligue 1 (e a poco più di un anno di distanza da un rinnovo faraonico che avrebbe dovuto legarlo a vita al West Ham), Dimitri Payet sbottava pubblicamente contro i suoi tanti detrattori. Le critiche, tuttavia, non erano del tutto ingiustificate: il fatto che il presidente dell’Olympique Jacques-Henri Eyraud avesse sborsato 30 milioni di euro nella sessione invernale del mercato per riportarlo nella squadra con cui si era imposto all’attenzione del grande calcio, aveva aumentato la percezione negativa legata al rendimento altalenante di un giocatore che, a trent’anni compiuti, sembrava essere entrato nella fase declinante della carriera. E non tanto per una questione di numeri (cinque gol, tre assist e 36 passaggi chiave in 17 presenze complessive nella seconda metà del 2017) quanto, piuttosto, per quello che sembrava l’atto conclusivo di un rollercoaster emozionale prima ancora che tecnico, iniziato con l’intervento che aveva messo fuori causa Cristiano Ronaldo nella finale di un Europeo comunque giocato da protagonista, con tanto di gol decisivo nel finale della gara d’apertura della manifestazione.

Quando la Nazionale francese esultava con lui

La sensazione condivisa era quella dell’ennesimo prodotto della classe ’87 francese destinato a perdersi nel limbo delle occasioni sprecate a causa di un carattere ingestibile in determinati contesti, nel pieno rispetto della narrazione dell’ “uomo contro” e dalle scelte fin troppo istintive che si era costruito fin dagli esordi. Così come testimoniato a So Foot da Hosman Gangate, l’allenatore che ricostruì un Payet sedicenne, in procinto di abbandonare il calcio dopo quattro anni mal spesi nel centro tecnico federale di Le Havre e profondamente pentito di aver abbandonato la nativa Reunion per inseguire il suo sogno:«Quando è tornato Dimitri non pensava più al professionismo e tantomeno alla Nazionale. Il suo caso e quello di Hoarau dimostrano che è meglio procedere per gradi e non affrettare le tappe della propria formazione calcistica: per un ragazzo non è facile adattarsi ad una metropoli in cui il contesto sportivo e la vita sono completamente diversi. E, in più, noi Reunoniesi tendiamo a maturare più tardi rispetto agli altri».

I cinque gol con cui Payet ha bagnato il suo ritorno al Marsiglia nella seconda parte di 2016/2017

Al netto delle difficoltà relazionali che hanno contraddistinto l’ultimo periodo londinese (costringendolo anche a girare sotto scorta per paura delle reazioni dei tifosi inferociti dal suo comportamento), la questione era sfociata anche in ambiti prettamente di campo. L’incompatibilità con il sistema di Slaven Bilic, inizialmente solo presunta, è stata poi contestualizzata dallo stesso Payet in un’intervista all’Equipe ripresa anche dal Guardian:«Non avevo più voglia di giocare nelle zone basse della Premier League. Il calcio difensivo che praticavamo non mi dava alcun piacere: in quel 5-4-1 schiacciato a ridosso della nostra area di rigore avrei anche potuto avere tutta la libertà del mondo ma non sarebbe cambiato granché. Mi annoiavo molto, poi ho avuto i primi contatti con l’OM e con Rudi Garcia che attua una filosofia che conoscevo già molto bene. La scelta è stata semplice e sarebbe stata la stessa anche se avessi dovuto aspettare altri sei mesi senza giocare. Bilic sapeva che volevo andare altrove, ne avevamo già discusso al mio ritorno dagli Europei: non avrei più avuto margini di miglioramento ed era meglio fare un passo indietro tornando in un club che già conoscevo».

15 le reti realizzate da Payet nella sua prima parentesi marsigliese dal 2013 al 2015

In effetti, al di là della comune passato al Lille nel biennio 2011-2013, il feeling con l’ex allenatore della Roma è stato immediato. Anzi, riprendendo parzialmente un’espressione a lui cara, Payet è stato “rimesso al centro del villaggio” diventando in breve tempo il giocatore più importante dell’OM versione 2017/2018 che è a 90’ dalla finale di Europa League dopo il 2-0 interno al Salisburgo marchiato a fuoco dai due assist decisivi del numero 10 per le reti di Thauvin e Clinton N’Jie. La squadra di Garcia, in effetti, sembra essere stata disegnata per aderire perfettamente alle caratteristiche della sua stella: con il volume di gioco in fase di possesso che si sviluppa quasi per intero (76%) nella trequarti avversaria, a fare la differenza è la tecnica dei singoli interpreti, nonché la loro capacità di read and react in relazione a ciò che oppone la difesa e quella capacità di combinare nello stretto nell’ultimo terzo di campo attraverso il continuo scambio di ruoli e posizioni del trio alle spalle del centravanti (Germain o Mitroglou cambia poco) che ha il compito di facilitare la risalita, meglio se per vie laterali.

In questo 4-2-3-1 liquido, Payet è il giocatore con maggiore libertà d’azione oltre che il vero plenipotenziario di una intera fase offensiva che sembra andare al ritmo della sua istintività: se, infatti, dal punto di vista meramente realizzativo i vari Thauvin, Sanson e Ocampos hanno fatto molto meglio di lui (appena otto le reti in totale tra campionato e coppe), i 18 assist e i 120 key passes complessivi in stagione, raccontano di un calciatore in totale controllo dei suoi mezzi e delle partite in generale, in grado di sfruttare al meglio le sue qualità associative in un contesto che lo sta esaltando come poche altre volte in carriera.

Parliamo del vero e proprio deus ex machina dei marsigliesi, con il resto della squadra che regola i propri movimenti collettivi in base alle zone d’influenza del suo catalizzatore: normalmente agisce da trequartista centrale immediatamente a ridosso della prima punta per attaccare senza palla il lato debole, ma non è raro, in contumacia Ocampos, vederlo partire da sinistra per creare la superiorità numerica sull’esterno – attraverso i compagni di catena o grazie alle proprie capacità nell’uno contro uno, come dimostra il 70% di dribbling riusciti in stagione – e/o accentrarsi, ricercando lo scambio con il duttile Sanson, per sfruttare il suo notevole tiro dalla distanza e la sensibilità nell’ultimo passaggio, con una contezza piena e totale di quel che accade negli ultimi trenta metri del terreno di gioco.

Un dominio tecnico a tratti quasi imbarazzante e che si è già tradotto in momenti assolutamente iconici come la gara di sforbiciate con Ocampos contro il Nantes, la finta con cui ha procurato un infortunio al portiere dello Strasburgo, il gol al Lipsia in Europa League dopo che nel primo tempo gliene era stato annullato un altro altrettanto splendido:«lo abbiamo visto tutti, si sta prendendo la scena, sta tornando ai suoi livelli. È il Dimitri Payet che amiamo, quello decisivo, quello influente nel gioco della sua squadra», ha commentato Garcia dopo il 3-1 al Vélodrome all’Athletic Bilbao. Laconico, efficace, esemplificativo.

Nell’andata degli ottavi di finale contro l’Athletic, Payet ha dimostrato quanto sia fondamentale per il Marsiglia: un gol e un assist solo nella gara del Vélodrome, prima del rigore decisivo al ritorno.

Questa rinnovata centralità ha contribuito a ribaltare le prospettive anche dal punto di vista del rapporto con i compagni di squadra dentro e fuori dal campo. In questo articolo dello scorso marzo su So Foot, ad esempio, Kevin Charnay racconta la curiosa connection che si è venuta a creare con Kostas Mitroglou:«Al di là di una certa complicità a livello umano – mentre tutti credevano che Mitroglou fosse isolato nello spogliatoio – gli automatismi tra i due cominciano a vedersi anche sul terreno di gioco: tornato ad un ottimo livello di esplosività, Payet può sfruttare Mitroglou come punto d’appoggio per accelerare e combinare. Di contro l’ex Benfica, sempre alla ricerca di palloni puliti da giocare, va a nozze con la qualità di Payet, in una complementarietà che sembra più efficace di quella tra lo stesso Payet e Germain. Forse è proprio questo il nuovo asse attraverso cui provare a realizzare i sogni Champions dell’OM». E il diretto interessato non può che confermare:«Quando giochiamo con Kostas ci cerchiamo e ci troviamo a vicenda: entrambi comprendiamo le qualità l’uno dell’altro e cerchiamo di regolarci di conseguenza». Di colpo le parole al vetriolo di Andy Carrol subito dopo il suo addio al West Ham («la sua partenza ci ha aiutato tantissimo, siamo tutti amici all’interno di un gruppo e una squadra fantastica») sembrano molto più lontane di quanto non lo siano in linea temporale.

Ma tutto questo può bastare per riconquistare quella Nazionale da cui manca da quasi un anno? Deschamps, almeno formalmente, non gli ha ancora chiuso le porte in vista del Mondiale in Russia  («ci sono ancora due mesi e mezzo di partite, fino ad ora ha fatto bene ma può fare ancora meglio, anche perché io conosco bene le sue qualità», ha dichiarato recentemente il Ct), ma la contemporanea presenza nel ruolo dei vari Mbappé, Lemar, Fekir, Coman, Démbelè e Martial pare precludere ad un taglio quasi certo. Payet è però fiducioso nel riuscire a ritagliarsi nuovamente un posto al sole del grande calcio internazionale, facendo parlare unicamente il campo:«Non ho messaggi da mandare a nessuno, anche perché non saprei cosa dire. C’è una lista di convocati in cui non compaio ma non è l’ultima: manca ancora del tempo e devo cercare di fare quel che serve per prendermi il mio biglietto per la Russia». Ed è molto più facile quando si è stati rimessi al centro del villaggio.

Il gol di Mitroglou contro il Tolosa: l’inizio della “strana coppia” con Payet autore dell’assist decisivo