Dove può arrivare l’Uruguay?

Pro e contro della squadra di Tabárez, non facile da inquadrare come sembra.

Dopo una esperienza discreta ma non memorabile al Mondiale 2014 (lontana dalla storica semifinale del 2010, che fu pur facilitata da un “corridoio” nella fase a eliminazione diretta senza grandi ostacoli come Corea del Sud e Ghana), una Copa América 2015 deludente e una Copa América Centenario disastrosa, le attenzioni verso l’Uruguay erano alte ma non altissime. Invece ha terminato in testa al gruppo A a punteggio pieno, segnando cinque reti senza subirne nessuna. Agli ottavi di finale trova un Portogallo a volte esaltante, più spesso deludente. Cosa ci possiamo aspettare, allora, da questo Uruguay?

La difesa

La solidità della difesa – quel dato “zero” alla voce gol subiti – è ciò che spicca di più, probabilmente, nelle prime tre partite dell’Uruguay di Tabárez. La qualità dei centrali è indubbiamente alta: Godín è uno dei migliori interpreti del ruolo nel mondo, e a fianco a lui c’è un talento promettente – e sempre madridista – come José Giménez, con la possibilità di vedere anche un altro centrale esperto come Sebastian Coates. Eppure va considerata la scarsa prolificità degli avversari: l’Egitto privo di Salah è stato, difensivamente, una formalità: Gimenez è riuscito a giocare molto in anticipo, addirittura con 9 palloni recuperati in questo modo, e ha sovrastato costantemente l’attacco dei nordafricani. Con l’Arabia Saudita il compito è stato ancora più facile – per più di 50 minuti i sauditi non hanno mai tirato verso Muslera – e anche la Russia, nonostante i 5 gol dell’esordio, non ha un potenziale offensivo preoccupante. Senza Golovin e Dzagoev, i padroni di casa sono stati raramente pericolosi. Nonostante questo, la Celeste ha rischiato all’undicesimo minuto, quando Cheryshev, su sponda di Dzyuva, è riuscito a infilarsi in mezzo a quattro maglie uruguayane e calciare contro Muslera, al minuto 73, quando un errore del portiere ha consegnato un facile pallone alla Russia, e al minuto 80, quando Smolov ha portato a spasso due difensori di Tabárez prima di mettere in mezzo un pallone su cui è arrivato il numero 1 ex Lazio. Anche nelle qualificazioni Concacaf qualcosa aveva scricchiolato: a fronte di un ottimo attacco – 32 gol segnati in 18 partite – la difesa è stata la peggiore tra le prima quattro, con più di un gol subito a partita. Buona qualità, insomma, ma fino a ora nessun esame veramente impegnativo.

Il facile show di Godín e Giménez contro l’Egitto

Il centrocampo

L’Uruguay chiude il girone imbattuto e senza subire gol: non sorprende che lo faccia una Nazionale storicamente improntata sulla difesa pugnace e le ripartenze in transizione per arrivare nel minor tempo possibile agli uomini davanti. Óscar Tabárez si è ritagliato un ruolo nel mondo del calcio da demiurgo della fase difensiva, ma con la capacità di leggere i momenti storici ha capito che questo Uruguay non poteva fare a meno della qualità in mezzo al campo. Partito con il 4-4-2 nelle prime due gare, modulo che potremmo vedere anche nella fasi finali, ha mostrato un volto interessante della charra garrua rivisitata in salsa palleggio. Nell’ultima sfida contro la Russia il maestro ha inserito Torreira al fianco di Vecino, abbandonando il modulo che sembrava tatuato sulla sua pelle di leone per virare verso un 4-3-1-2 che di fatto mantiene intatta la quadratura difensiva a cui non si può demandare, ma aggiunge ulteriori doti di gestione del pallone in mezzo al campo. Nelle prime tre gare l’Uruguay ha avuto una media di passaggi riusciti che sfiora l’85% − certo, c’entra la modestia degli avversari − ma gli uomini di Tabárez hanno mostrato di essere stanchi di venire considerati gli alfieri dell’anti-calcio, delle ripartenze e della difesa strenue. Se le prime due partite avevano lasciato un briciolo di amaro in bocca per la poca qualità del calcio uruguayano, con l’inserimento del centrocampista ormai ex Samp, affiancato da Vecino e Nández, la forma della squadra viene rivista con il diamante di centrocampo completato da Bentancur nel ruolo di 10 atipico. Maggior densità centrale, difesa compatta e Uruguay difficile da penetrare, ancor più del solito. Con Torreira, non solo la Celeste ha trovato un ottimo palleggiatore in mezzo al campo, ma ha aggiunto un elemento che ha garra, che aiuta la fase difensiva e che supporta i quattro dietro nel contrastare le offensive avversarie. Bentancur è apparso ancora un po’ spaesato nella nuova posizione, ma con de Arrascaeta pronto a dare il proprio contributo, il centrocampo uruguayano ha potuto virare verso il nuovo modulo con poche apprensioni. L’aiuto di Torreira ha contemporaneamente permesso a Laxalt e Cáceres di spingere più del solito, regalando, al contempo, ampiezza al gioco dell’Uruguay.

L’importanza di Torreira in un solo video

Ora arriva il Portogallo e sarà interessante vedere come il maestro in panchina deciderà di schierare la propria squadra. Se dovesse puntare sul modulo visto ieri, ci sarebbe una sfida di “cerebro” tra centrocampi in cui le mezzali portoghesi si troverebbero a scontrarsi contro il mix di giovinezza e virtù della Celeste. Famoso per la qualità che viene fuori contro le squadre di livello, capiremo nella prossima gara se questo Uruguay ha le capacità di innestare la marcia superiore, magari grazie al mix di ripartenze che storicamente ne fanno una freccia instancabile con la qualità del palleggio dei suoi uomini più giovani e interessanti. Per una volta anche l’Uruguay potrebbe trovarsi a gridare “la creatività al potere!”, con un calcio sudamericano ma anche squisitamente “europeo” che connette fisico e mente.

L’attacco

Come si valuta l’attacco, e gli attaccanti, di una squadra? Dai gol (170 in 246 partite negli ultimi cinque anni per Cavani, 183 in 235 per Suárez), dall’esperienza (entrambi hanno giocato tre Mondiali, e hanno segnato almeno una rete in tutti e tre), dall’affidabilità, dall’affiatamento? Considerando i primi due parametri, l’Uruguay è almeno da semifinale, risultato peraltro già raggiunto a Sudafrica 2010. Prendendo in considerazione gli ultimi due, forse i più importanti, il discorso rischia di complicarsi. Suárez e Cavani sono nati a Salto, una città di 100 mila abitanti nel cuore del Paese, a tre settimane di distanza uno dall’altro: il 24 gennaio 1987 il primo, il 14 febbraio il secondo. Si conoscono letteralmente da una vita. Sono “amici”, in quanto compagni di Nazionale, ma l’attaccante del Psg a febbraio 2017 non ha esitato a dire che «veniamo dallo stesso posto, ma siamo arrivati dove siamo attraverso percorsi diversi. Lui ha lasciato Salto quando era giovane, io ci sono rimasto a lungo».

Il Mondiale di Suárez era iniziato così, poi ha segnato all’Arabia Saudita e alla Russia

L’Uruguay in Russia si aggrappa a loro, ma rischia di scivolare su due caratteri forti, due giocatori umorali, Cavani che vorrebbe fare la prima punta ma ripiega molto in difesa e allora “dai, tanto vale che giochi dietro, così ci dai una mano”, Suárez che all’esordio con l’Egitto è stato punzecchiato da Gary Lineker su Twitter: «Mo Salah sta giocando meglio di lui in questa partita». Peccato che Salah fosse in panchina infortunato. L’ex Palermo sa che da attaccante puro segnerebbe di più (89 in 98 partite dopo l’addio di Ibrahimovic al Psg, e la situazione era la stessa), ma i suoi gol li ha sempre fatti (almeno 25 a stagione con lo svedese) e anche contro la Russia ha dovuto correre e sbattersi fino al 90’, ma alla fine la rete è arrivata, anticipando proprio il compagno di reparto dopo una respinta corta di Akinfeev. L’ex Liverpool, come ha scritto Simon Kuper sul Financial Times, «sente una responsabilità personale di prendersi la squadra sulle spalle e questo, sommato a una psicologia complicata, lo ha portato a vari eccessi». Come il fallo di mano contro il Ghana nel 2010, ma soprattutto il morso a Chiellini nel 2014. È un equilibrio sempre a rischio. Se Cavani accetta e non oltrepassa le gerarchie, e Suárez impara a convivere con la pressione che spesso sembra imporsi quasi da solo, allora l’Uruguay può arrivare lontano. Altrimenti imploderà nei suoi soliti limiti.