Il senso dell’operazione Ronaldo

La Juventus, con l'acquisto del fuoriclasse portoghese, ha imboccato una strada completamente nuova.

C’è voluto del tempo perché tutti si convincessero che Cristiano Ronaldo e Jorge Mendes avevano davvero in mente un trasferimento in Italia. È stata una settimana particolare. L’opinione pubblica ha dato una risposta emotiva fondata su sconcerto, incredulità; fatto che di per sé, in un certo senso, ci offre una conferma lampante dello status di inferiorità del nostro campionato. Insomma, se noi stessi non lo reputiamo all’altezza di altri, non può avere logica la pretesa di una maggiore considerazione da parte di chi ci guarda da fuori. Ma al di là di questo aspetto, legato al rapporto tra il nostro calcio e i suoi principali competitors, l’operazione Ronaldo merita di essere letta soprattutto come un evento epocale per la Juventus. Una considerazione immediata che trova sostegno attraverso alcune lenti d’ingrandimento.

Gli scenari che mettono pepe sulla vicenda, alcuni pure eccessivamente costruiti, sono molteplici. Ad esempio: la Juventus, sconfitta in due delle ultime quattro finali di Champions League, prende Ronaldo, che ne ha vinte quattro delle ultime cinque. La stessa Juventus che si preparava ad affrontare una delle estati più movimentate degli ultimi sette anni (seconda forse soltanto a quella del 2015, quando lasciarono Pirlo, Tévez e Vidal) sceglie Ronaldo rendendo ancora più impegnativa la transizione. Poi: i costi legati a cartellino e ingaggio sono fuori da ogni parametro precedentemente stabilito (Higuaín, il più pagato tra i mortali, guadagna un quarto di quanto andrebbe a guadagnare il portoghese), eppure il club finirà per non rimetterci. O ancora: Ronaldo va per i 34 anni, ma ha trovato un modo efficace per sopperire ai rallentamenti dell’età a tal punto da sembrarne quasi immune.

Tra queste prospettive, l’ultima – l’età appunto – è utile per introdurre un approfondimento sul significato che l’operazione riveste per il club. Il fatto che la Juventus abbia deciso di puntare su di lui, e con un contratto di quattro anni, evidenzia un cambio di rotta netto, un’interruzione brusca della linearità del modello di gestione del mercato da parte del club. Per rendersene conto basta dare uno sguardo al passato più recente: gli unici over trenta acquistati a partire dall’estate 2011/12 sono stati Evra (33) a parametro zero e Matuidi (30), con l’aggiunta dell’infelice parentesi di Hernanes. La politica interna, in particolare da quando c’è Allegri, è riuscita a combinare quasi sempre con ottimi esiti esperienza e futuribilità, rifiutandosi di eccedere tanto nel secondo quanto nel primo dei due sensi. Valutando da questo punto di vista l’operazione che porta a Torino un ultratrentenne come Ronaldo, senz’altro emerge quella linea di frattura di cui si diceva sopra.

Prendendo la questione da un altro lato, invece, la linea di frattura è meno profonda. Oggi la Juve si regala Ronaldo dopo aver seguito a grandi linee una serie di step sul mercato estero che hanno portato prima Pogba da svincolato, poi Vidal, e ancora Morata, per finire con Douglas Costa. Più il marchio Juve è cresciuto, grazie alle affermazioni in campo europeo, maggiore è stato il potere d’acquisto del club. In questo senso l’operazione Ronaldo rappresenta un salto, uno step evitato, una sorta di accelerazione con dribbling. Da Douglas Costa a lui manca l’anello di congiunzione. Un Griezmann, un Hazard, un Kroos: un tipo di profilo che la Juventus non ha mai trattato nell’ultimo decennio. Parlando quindi dell’appeal internazionale dei giocatori ingaggiati dall’esterno, piuttosto che dell’età, si ha una seconda linea di frattura, pur se meno accentuata. La Juventus, tra i più brillanti esempi di programmazione, non va a prendere Bale o Salah o Müller. Salta un passaggio, azzarda: va direttamente a prendere Ronaldo.

E non è tutto. L’operazione si può leggere anche attraverso una ulteriore parola chiave: occasione. In questo caso è difficile capire, e ancor più stabilire, se il significato di Ronaldo alla Juve rappresenti una rottura oppure se vada in continuità con quanto visto negli ultimi anni. Quel che è certo è che da otto estati a questa parte la Juventus si è distinta per una gestione sportiva profittevole. Non ha mai fatto follie sul mercato: ha sì speso 90 milioni di euro per Higuaín, ma il Pipita è stato precisamente l’eccezione che conferma la regola, dove la regola sono acquisti mirati, silenziosi nel tentativo di evitare la concorrenza, e soprattutto mai eccessivamente dispendiosi. Persino nell’ultimo triennio, a partire da quando la prima finale di Champions ha restituito alla Juventus il prestigio europeo di cui si sentiva la mancanza in sede di mercato, anche gli investimenti più onerosi hanno sempre mantenuto standard ragionevoli: Pjanic, Sandro e Dybala, come Bernardeschi, Costa e Joao Cancelo, non hanno mai comportato esborsi superiori ai 40 milioni. E per la maggiore sono andate e continuano ad andare operazioni fondate su utilità e gioco d’anticipo (garantito dalla diade appeal-liquidità). Ne sono un esempio tutte quelle legate a giocatori già passati dalla Serie A: Cuadrado, Szczesny, Benatia, lo stesso Cancelo. Ora, premesso questo, è evidente che Ronaldo alla Juve sia ampiamente fuori contesto. Costa tantissimo, non ha mai giocato in Italia e, per di più, nonostante un rendimento monstre, si trova al varco dell’inevitabile parabola discendente. Letta così, più che di linea di frattura dovremmo parlare di un vero e proprio cratere. Ma è solo una delle due facce della medaglia.

Cambiando punto di osservazione: il migliore al mondo (o uno dei due migliori, che dir si voglia) saluta Madrid. Si aggiunga che in Inghilterra ha già vinto tutto e che il Psg ha preso da appena un anno Neymar e Mbappé, e si consideri una condizione atletica potenzialmente rivoluzionaria per i canoni futuri che detteranno l’età a cui sarà accettabile appendere gli scarpini al chiodo. Insomma, anche tenendo conto delle cifre in gioco, ci sono i margini per parlare di Ronaldo alla Juve come di una vera e propria occasione di mercato. Certo il club si assume un rischio non indifferente: la svalutazione del cartellino è il primo pegno da pagare, e oltretutto se l’investimento non dovesse ripagare sul campo si faticherebbe a ritenerlo positivo. In fondo ciò che conta davvero, il fine di Cristiano alla Juve, è la vittoria della Champions; così come la certezza che tra crescita del brand e merchandising la cifra investita sarà recuperata ne rappresenta il mezzo. Tra i punti interrogativi ci sono la reazione dello spogliatoio, orfano di Buffon e non soltanto, e anche quella legata alla dimensione tattica. Ronaldo è leader, e quindi accentratore. Come Icardi all’Inter, come Higuaín al Napoli: una figura che alla Juve è esistita molto raramente.

Insomma, prescindendo dal giudizio sulla qualità dell’operazione, a suscitare interesse dovrebbero essere anche le dinamiche che la caratterizzano. Sommate tra di loro le diverse componenti si ottiene un quadro generale in cui l’elemento di rottura – o, per usare un termine più soft: di novità – emerge senza riserve. E legandoci a quanto si diceva all’inizio, anche la reazione dell’opinione pubblica spinge verso questa riflessione. Nessuno si aspettava Ronaldo alla Juve, ma non soltanto perché nessuno considera realmente la Serie A all’altezza di Liga e Premier. Nessuno se lo aspettava anche perché Ronaldo alla Juve non corrisponde(va) al modus operandi del club. O meglio: perché il club non era ancora arrivato a fare i conti con quello step.