Il complicato rapporto tra gli ultras e la Mls

Una contraddizione per la lega calcistica americana: più una risorsa o un fenomeno da tenere a bada?

Nel 1996 si disputava la prima stagione della Major League Soccer (Mls), principale lega calcistica nord-americana fondata tre anni prima. All’edizione inaugurale parteciparono 10 squadre, facendo registrare una media di 17.398 spettatori. Di queste, soltanto due potevano contare su gruppi di tifosi organizzati, entrambi nati nel 1995 sui modelli degli ultras europei e sudamericani: la Barra Brava del DC United e l’Empire Supporters Club dei New York/New Jersey MetroStars (gli attuali New York Red Bulls dopo il cambio denominazione nel 2006). Il loro modo di vivere le partite si rifletteva nel dispiegamento di striscioni, bandiere e scenografie, accompagnate da cori e battimani ritmati dal suono dei tamburi. A distanza di oltre vent’anni, questo scenario è ormai diventato una consuetudine nei match di Mls: praticamente tutte le franchigie sono seguite da uno o più gruppi ultras, ciascuno collocato in un settore specifico e riconoscibile dello stadio. L’influenza e la considerazione che vantano all’interno del campionato sono cresciute di pari passo con l’evoluzione della lega.

Da fenomeno poco mediatico e apprezzato dal pubblico americano, il soccer aveva iniziato ad acquisire una certa importanza dopo la buona performance della Nazionale al Mondiale nippo-coreano del 2002. I primi segnali del cambiamento sono arrivati nel 2007: il numero delle partecipanti è aumentato, così come quello dei club dotati di un impianto di proprietà pensato apposta per il calcio. Con l’adesione di Toronto, la Mls ha assunto una dimensione più internazionale, travalicando i confini statunitensi. Ma la più grande svolta è stata l’introduzione della Designated Player Rule, che consente di avere fino a un massimo di tre calciatori con uno stipendio o un costo di trasferimento superiore al tetto salariale, ideata per consentire ai Los Angeles Galaxy di ingaggiare David Beckham, divenuto il primo giocatore ad avvalersi di questa deroga.

La Designated Player Rule ha sancito la fine di un modo di concepire il campionato in chiave americanocentrica, aprendo a grossi investimenti verso l’estero con il conseguente arrivo di campioni di fama internazionale e un graduale aumento delle presenze negli stadi. Se fino al 2007 l’attendance faticava a raggiungere le 15mila presenze, da un paio di stagioni si è stabilizzata intorno alle 20mila unità, con il massimo di 22.124 tifosi registrati nella passata edizione e un incremento del 60% rispetto al 2000. Oltre alla crescita dei diritti televisivi, del merchandising e dell’engagement sui social network, la Mls – al momento il settimo campionato più seguito al mondo – ha costruito parte del suo successo anche sul peso riservato agli ultras, usufruendo della loro forte presenza estetica e scenografica per rendersi più appetibile e vendere meglio il prodotto calcistico. Si è trattato di una novità assoluta, dal momento che nessun altra major league americana aveva mai vissuto esperienze analoghe.

I tifosi hanno una sezione dedicata sul sito delle squadre, compaiono sulle pubblicità delle partite – come se le società volessero soddisfare il bisogno di sentirsi apprezzate – e il canale YouTube della Mls ha persino dedicato loro alcuni video celebrativi, come nel caso dei Sons of Ben dei Philadelphia Union o dei San Jose Ultras al seguito degli Earthquakes. Quelli dei Los Angeles FC sono invece stati interpellati per la progettazione del nuovo stadio, il Banc of California Stadium, inaugurato ad aprile. Agli ultras è stato chiesto di esprimersi sul design della curva in cui sono stati messi a loro disposizione 3200 posti, sull’esempio di quanto fatto con la Timbers Army in occasione della ristrutturazione della North End del Providence Park.

La Mls ha sfruttato a suo vantaggio quella parte di fan più fedele e appassionata, promuovendone la natura folkloristica e dinamica, ma al tempo stesso ha generato un conflitto di ideologie che si è scontrato con la natura intrinseca dell’essere ultras, fatta di indipendenza, auto-organizzazione e rifiuto del politically correct. Se da un lato le scenografie e il sostegno degli ultras sono diventati il veicolo privilegiato per aumentare le presenze negli stadi e fornire una visione del tifo più simile a quella continentale, dall’altra parte la Mls ha avviato una politica di controllo e censure al fine di rispettare quell’idea di entertainment alla base di ogni sport americano. La lega, al pari delle altre discipline statunitensi dal sistema manageriale business-oriented, è infatti attenta a perseguire un’immagine bonaria adatta ad un audience family-friendly, principale fruitrice del mercato sportivo televisivo.

Nonostante siano diventati una realtà conosciuta nel campionato, gli ultras faticano a ritagliarsi un ruolo definito all’interno del soccer americano. Operano in un contesto che non sempre li apprezza, a causa di una concezione del calcio che, a differenza di quella europea, non ha mai voluto assumere una dimensione popolare. Gli stessi spettatori “normali” – consapevoli di essere trattati prima come clienti e poi come sostenitori – intendono lo sport alla stregua di un passatempo e rimangono scettici davanti a manifestazioni di tifo così intense e passionali. Capita che gli ultras vengano etichettati portatori del lato peggiore del calcio, uno stereotipo cavalcato soprattutto alla luce degli scontri che ogni tanto li vedono protagonisti, come avvenuto nell’agosto del 2015 prima della sfida tra New York Red Bulls e New York City FC.

Ma al di là delle degenerazioni del tifo, il movimento ultras nella Mls ha sempre attinto da esperienze transoceaniche e vive delle ibridazioni europee, come successo ai San Jose Ultras, fondati da due immigrati romeni ex ultras della Steaua Bucarest giunti negli Usa nel 1999. Sono stati proprio i San Jose Ultras i protagonisti di una diatriba che ne ha rimarcato l’essenza più anarchica e poco incline ai compromessi, evidenziando anche il ruolo ambiguo del club e della lega nei confronti del tifo organizzato. Accusati di aver aggredito un sostenitore dei Portland Timbers durante una trasferta nell’aprile 2013, avevano preso le distanze e condannato l’episodio, assicurando che avrebbero allontanato dal gruppo il responsabile qualora ne fosse stata accertata la colpevolezza. Un uomo di 40 anni – scrive il sito OregonLive – dopo aver subito un tentativo di furto della sciarpa dei Timbers da parte di una 29enne (arrestata insieme a un ragazzo di 21 anni qualche mese dopo), sarebbe ripartito in macchina, facendo cadere la ragazza prima di scendere dal veicolo per accertarsi delle sue condizioni. A quel punto sarebbe stato preso a calci e pugni da una dozzina di persone con il volto coperto dalle sciarpe dei San Jose Earthquakes.

Il 27 luglio, in occasione della trasferta contro i Timbers, gli ultras avevano esposto uno striscione di polemica che recitava “Solo a Portland investire una donna ti rende vittima”. Nemmeno una settimana più tardi, la società rilasciava un comunicato in cui informava che «i privilegi dei San Jose Ultras sono stati sospesi a tempo indeterminato per tutte le partite», specificando che il gruppo sarebbe stato attentamente monitorato da lì in avanti. Sono i privilegi riservati agli ultras e a discrezione di ogni dirigenza – come l’utilizzo di torce, bandiere e tamburi, biglietti scontati e pass per i parcheggi – l’elemento più controverso della questione: la Mls invita i tifosi a rispettare un codice di condotta finalizzato al mantenimento di un comportamento educato e rispettoso verso i sostenitori avversari, i giocatori e gli arbitri; sono vietati gesti che incitino alla violenza, compresi cori di natura sessista, razzista e omofoba; il lancio di oggetti in campo non è tollerato, mentre ciascuna società può liberamente decidere come regolare le manifestazioni di tifo dei propri ultras. Quella degli Orlando City, per esempio, ha predisposto una safe standing area nel nuovo stadio in cui è consentita l’accensione di fumogeni e bengala. Provvedimento diametralmente opposto quello dei Montreal Impact, che vietano «la detenzione di qualsiasi materiale pirotecnico che non sia stato approvato prima del suo ingresso nello stadio».

Se sia i club che la Mls hanno compreso l’importanza di garantire al pubblico televisivo uno spettacolo non solo sul campo, ma anche sugli spalti, entrambi si preoccupano di filtrare ogni messaggio espresso dai tifosi. Tutti gli striscioni, infatti, prima di essere esposti devono ricevere l’approvazione del front office – uno sportello che si occupa delle relazioni con il tifoso, ogni squadra ne ha uno – che ne esamina il contenuto e valuta se rispetti o meno i parametri del codice di condotta. Tuttavia, la rigidità di queste norme non si addice con la spontaneità e la riluttanza ad omologarsi a standard predefiniti tipici degli ultras, cui non importa nulla di mantenere o meno pulita la reputazione della Mls. La lega vuole gli ultras e necessita del loro ruolo perché la agevolano in termini di marketing, ma ne osteggia e condanna l’aspetto più irrazionale. Vuole controllarli, e per farlo minaccia decisioni drastiche come la revoca dei privilegi o l’eliminazione dei gruppi. E se queste non bastano, ecco che intervengono le medesime società. Nel 2013 i dirigenti dei New York Red Bulls avevano scelto di pagare tre gruppi ultras  – Empire Supporters Club, Garden State Ultras e Viking Army – per fermarne i cori offensivi, in particolare il “You suck, asshole” sempre più frequente negli stadi, offrendo 500 dollari a partita con un ulteriore premio di 2mila dollari per una serie di quattro gare senza insulti.

L’impressione è che la volontà della Mls di fissare determinati paletti ad un certo modo di fare il tifo non sia frutto di scelte autonome, quanto piuttosto della preoccupazione di non urtare la sensibilità di un pubblico a misura di famiglia e di un’idea di svago che circonda gli sport americani con l’obiettivo di garantirsi sempre più lucrosi contratti televisivi. Quello attualmente in vigore è stato firmato nel 2014 tra la Mls e le emittenti ESPN, FOX Sports and Univision Deportes. Prevede un accordo del valore complessivo di 90 milioni di dollari a stagione valido fino al 2022 per la trasmissione negli Stati Uniti di oltre 125 incontri di campionato. La Mls desidera creare un’atmosfera elettrizzante negli impianti, pretendendo però un comportamento da parte negli ultras entro le regole. Tra tutti gli attori in gioco, quelli che hanno di più da perdere sono probabilmente la lega e i club, sia in termini di visibilità che di entrate economiche, dal momento che i costi di accesso agli impianti oscillano tra i 37 e i 103 dollari a persona e gli ultras garantiscono sempre qualche centinaio di ingressi a partita.