La caccia al talento

Carlo Osti è il direttore sportivo della Sampdoria che ha lanciato giovani come Schick e Skriniar. Ci ha spiegato come individuare il talento e valorizzarlo.

Il centro sportivo di Bogliasco rispecchia la morfologia della costa ligure. I quattro campi che ne fanno parte si arrampicano l’uno sulle spalle dell’altro, di terrazzamento in terrazzamento, e anche Casa Samp, la struttura in cui risiedono i ragazzi della Academy, sta su un livello tutto suo. Si sale spesso, da queste parti. Una risalita che non è insensato accostare metaforicamente alla storia recente della Sampdoria. Un quinquennio, anno più anno meno, che Carlo Osti ha vissuto sin dal principio. Sotto i suoi occhi sono passati cinque allenatori e un cambio di proprietà, ma oggi le cose vanno avanti all’insegna dell’equilibrio. «Quando sono arrivato qui la situazione era difficile. La squadra era appena risalita dalla Serie B e la città aveva vissuto un periodo di sofferenza», ricorda. «Oggi, grazie anche all’ambizione di Massimo Ferrero, abbiamo una dimensione più chiara: siamo un club di medio-alta classifica».

Il vero uomo in più di questa struttura, solida e collaudata, è proprio il presidente. Ferrero ha il merito di aver dato alla Samp un’impronta moderna che le consente di distinguersi in termini di dinamicità. È un concetto controverso, ma Osti lo illustra con chiarezza: «Prima la Sampdoria era un club molto conservativo, un po’ l’espressione di questa regione, di questa città, che è una città sicuramente molto radicata alle tradizioni, per non dire proprio lenta. I movimenti di mercato erano scarsissimi, i giocatori rimanevano molto più a lungo; da quando è arrivato Ferrero l’impostazione è diversa». Prima da questa sponda di Genova si viveva molto meno del mercato estero; oggi se ne fa la fonte più redditizia di introiti e il sostegno principe del modello sportivo. «Oggi se la Sampdoria funziona è perché la Sampdoria ha pescato dei giovani bravi in Europa e li ha portati qui», dice Osti. Il grado di efficacia del modello blucerchiato, in sostanza, si misura in risorse umane tanto quanto in piazzamenti. E i giocatori pescati in giro per l’Europa richiedono sforzi, competenze e collaborazione.

Un rapido check ai più recenti movimenti di mercato del club evidenzia come la zona maggiormente scandagliata sia quella dell’Europa dell’Est. I polacchi in prima linea, naturalmente: Bereszynski, Linetty e Kownacki rappresentano già adesso un patrimonio considerevole per la Samp, ma investire su di loro ha comportato allo stesso tempo un ritorno in appeal enorme per il club in Polonia. Ogni due settimane circa, ad esempio, a Bogliasco arrivano troupe di televisioni polacche per girare servizi con i giocatori. Poi Skriniar e Schick, da Slovacchia e Repubblica Ceca, ed altri ancora tra le file della Primavera di Pavan. È una traccia rinomata quella seguita da chi fa mercato da queste parti, e Osti non lo nega: «I mercati dell’Est sono in grande crescita, stanno diventando importanti. Hanno costi molto bassi, ti consentono di andare a prendere giocatori buoni a prezzi buonissimi. E poi mentalmente sono dei tedeschi: i polacchi, i cechi, vengono qui e lavorano ventiquattr’ore al giorno, si adattano facilmente».

Mentre la conversazione è nel pieno del suo svolgimento si affaccia Riccardo Pecini, Capo Scout e Direttore Sportivo della Academy. Pochi minuti prima Osti, parlando del suo operato, lo aveva presentato come «un ragazzo molto timido, che non ama le luci della ribalta, a cui piace lavorare dietro le quinte». Riservato a tal punto che il suo soprannome dalle parti di Bogliasco è subacqueo. Osti lo chiama proprio in questo modo, ed è divertentissimo. Pecini è a capo di un gruppo di dieci scout, cinque a stretto contatto e altri cinque suddivisi tra Argentina, Brasile, Spagna e Francia. Si servono di Wyscout come strumento di supporto, ma immagazzinano tutto nel delicatissimo comparto della memoria visiva. «Gli occhi sono il nostro strumento principale», dice. Quando a uno scout piace un giocatore, la prassi prevede che siano almeno in altri due a visionarlo; dopodiché, nel caso in cui il giudizio converga in un’unica direzione, la palla passa allo stesso Pecini e da lui eventualmente ad Osti. Sono tre livelli di scrematura totali, più uno ancora più inferiore: quello delegato ai segnalatori, ai dipendenti del club che non risiedono in Liguria. Lo scouting è un vanto consolidato per il modello Samp: nessun club, eccetto Juventus e Atalanta, viaggia tanto quanto fanno Pecini e il suo staff.

«La Sampdoria piace, al di là dell’aspetto tecnico. Piace Genova, piace la Liguria, piace la maglia, piacciono la storia e la tradizione. Ma piace soprattutto il fatto che la Sampdoria lavori sui giovani, perché il concetto che passa adesso in Europa è questo: la Sampdoria lavora sui giovani».

La norma vuole che ciascun giocatore in entrata sia visionato e visionato più volte; che, in sostanza, società e staff tecnico siano a riguardo consapevoli e concordi. Poi ci sono i casi eccezionali, come quello di Torreira. Osti e Romei lo videro per la prima volta nel 2015 a Bologna, in occasione dei playoff di Serie B: «Ci dicemmo subito: questo è da prendere. In quel momento aveva fatto poche partite, ne aveva quattro da pro in Italia per la precisione. Chiamai Oddo, che è stato mio giocatore a Lecce, mi disse che avrebbe fatto la Serie A senza neanche accorgersene. Io avevo qualche dubbio, tant’è che presi anche Cigarini, ma sin dalla preparazione le gerarchie furono chiare. Lui stesso si rendeva conto perfettamente che Torreira era un mezzo fenomeno». Ma per comprendere a fondo la capacità di mantenere un certo dinamismo anche in chiave acquisti è importante considerare l’ambiente Samp più in generale. Il caso più esemplificativo è quello di Praet, che a 22 anni, reduce dalla Champions League, da oltre 200 presenze tra i professionisti e con la fascia di capitano della Under 21 belga sul braccio, sceglie una Sampdoria finita quindicesima pochi mesi prima. «La Sampdoria piace, al di là dell’aspetto tecnico. Piace Genova, piace la Liguria, piace la maglia, piacciono la storia e la tradizione. Ma piace soprattutto il fatto che la Sampdoria lavori sui giovani, perché il concetto che passa adesso in Europa è questo: la Sampdoria lavora sui giovani. Praet è venuto qua perché sapeva che lo avremmo valorizzato, e come lui se ne era reso conto anche il padre». Un discorso simile a quello valso per Schick, che meno di due anni fa scelse la Samp piuttosto che attendere la Roma.

Il quadro di riferimento è completo, manca la chiave di volta. Quando chiedo a Osti di Marco Giampaolo gli si illuminano gli occhi: c’è stima in forma pura nel suo sguardo, ci sono ammirazione e soddisfazione. Direttore, ma perché Giampaolo è così bravo con i giovani? «È molto semplice: lavora. Il campo è il suo habitat naturale, lui sta lì, studia, lavora sulle qualità individuali, lavora sulle capacità di inserire il calciatore in un contesto di reparto e poi successivamente in un contesto di squadra. E ci lavora per ore e ore: per questo tutti i calciatori migliorano con Giampaolo». Incontestabile. Da Empoli, con Paredes, Zielinski e Saponara, alla scorsa stagione, con Skriniar e Schick su tutti, a quella in corsa, con Torreira in prima linea.

Ma perché Giampaolo sì e Montella o Mihajlovic no? Osti sorride: «Secondo me gli allenatori si dividono in due grandi categorie: quelli che danno per scontate certe cose e quelli che non danno per scontato niente. Marco Giampaolo non dà per scontato niente, perché la sua carriera è una carriera fatta di Serie C, fatta di fame. Poi c’è chi magari dice: “Eh, ma lo stop a seguire in Serie A bisogna saperlo fare!”, e invece no, non è così! Non oggi». Poi continua: «Mi vergogno a dirlo, ma è la verità. Oggi in Serie A vanno insegnati lo stop a seguire, l’orientamento, la postura, e il problema di chi è stato un grande calciatore è proprio questo: non parte da questi concetti. Voglio dire, la ricerca del particolare l’hanno in pochi, e Giampaolo è uno di questi: lui impazzisce quando si rende conto di migliorare nei particolari». Mentre parliamo di lui, Giampaolo è qualche decina di metri alle mie spalle e sta conducendo la seduta mattutina. Il profilo, visto da lontano, è lo stesso di sempre. Non appare come un tipo originale, un innovatore. Ossia non appare affatto per ciò che è. «Allenatori come Giampaolo, come Sarri, pensano ad un calcio innovativo», va avanti Osti. Ne tesse le lodi in particolare per ciò che riguarda la fase difensiva, e ancor più nel dettaglio la cura dei movimenti della linea. Spiega che Silvestre è sopravvissuto a Giampaolo perché lo aveva incontrato a Catania, e che – per la ragione esattamente contraria – Castán non ce l’ha fatta. È tutta questione di contaminazione: più un giocatore è contaminato da sistemi difensivi precedenti, più farà fatica ad inserirsi in quello di Giampaolo. Per chiarire lancia un altro esempio ancora: «Perché Skriniar va bene all’Inter? Perché Martusciello cura la fase difensiva all’Inter con Spalletti. Se non ci fosse Martusciello Skriniar non giocherebbe, perché i movimenti che conosce sono quelli del calcio di Giampaolo». Un altro ancora è Ferrari: «In lui abbiamo individuato la predisposizione a questo tipo di calcio, e anche se all’inizio ha fatto fatica adesso funziona. È uno veloce di testa, ha capito come vuole difendere Giampaolo». E per il futuro i nomi sono due: il danese Joachim Andersen, già in rosa, e il croato Lorenco Simic, in prestito alla Spal.

A questo filone si collega un tema decisivo per distinguere il modello Samp. È un discorso che origina da una considerazione molto precisa: oggi la Samp sembra molto più una eccellente macchina da scouting che una società convinta del proprio settore giovanile. Le cessioni degli ultimi anni, se si fa eccezione per Soriano, non hanno mai riguardato un prodotto della Academy. Osti ha radici solide nel bergamasco e proprio all’Atalanta ha vissuto la prima parentesi di livello sul piano dirigenziale. E infatti, appena emerge il discorso sul settore giovanile, il paragone con la sua vecchia realtà è immediato: «Noi sappiamo che oggi, tra le provinciali, l’Atalanta è la società con il miglior settore giovanile. Però dobbiamo chiederci: perché è così? Io dico: perché può permetterselo, perché la zona di Bergamo dà calciatori. Sono territori, la Lombardia, il Friuli, il Veneto, che danno calciatori». Osti ne fa una questione quantitativa, di zona. E la Liguria? «La Liguria non dà calciatori», chiosa. Le ragioni sono essenzialmente tre, tutte legate al territorio. Innanzitutto mancano i campi, e sentirlo dire da lui non è una sorpresa: colpisce che a Bogliasco siano riusciti ad incastrarne quattro, figuriamoci nel resto dell’area. Ed ecco di conseguenza il secondo motivo: «I bambini devono iniziare a giocare a calcio da piccoli, e magari qui ci sono altri sport, c’è il mare, fanno canottaggio o pallanuoto». Poi va considerato un altro aspetto del territorio, che è la concentrazione.

La Samp non è sola, c’è il Genoa, ci sono Spezia ed Entella. E oltretutto, spiega Osti: «Qui non è come a Roma o a Milano che hai una hinterland, una zona periferica da cui attingere: qui abbiamo dietro le montagne e davanti il mare». È da queste prerogative che prendono piede le iniziative più recenti, tra cui Casa Samp, che è una struttura semplice ma estremamente funzionale: sono due edifici, uno di fianco all’altro ed entrambi ad un centinaio di metri (in salita) dal centro sportivo, in cui trovano alloggio i ragazzi che vengono da fuori. Ma Osti torna sul punto della questione: «Per noi è importante la foresteria, ci teniamo oggi che il calcio è globalizzato, ma il nostro problema è che lavoriamo spesso su materiale non competitivo».

Materiale scarso in quantità e poco competitivo, che quindi fatica ad emergere. O nella maggior parte dei casi non emerge proprio. Osti prova a contare sulle dita di una mano i calciatori genovesi tutt’ora in attività; arriva più o meno a dieci, ma il messaggio è già filtrato. Quindi ci spostiamo su un binario molto vicino, che è quello del progetto Next Gen: un modo per coprire il territorio nazionale e acquisire altrove i calciatori che la Liguria non produce. Pecini, che ne è il responsabile, ci dà le coordinate principali: «Il progetto è operativo a tutti gli effetti da tre anni; è stata una fase di sperimentazione, di conoscenza, ma ha già dato alcuni frutti. Siamo molto più avanti rispetto alle aspettative». I frutti si traducono in trenta ragazzi tra i 12 e i 14 anni che oggi, grazie a Next Gen, vestono blucerchiato. I centri maggiormente produttivi fra i trenta totali sono quelli del Sud, con punti di spicco tra Napoli e la Calabria. L’organizzazione, spiega Pecini, è fondata su tre livelli di affiliazione: affiliazione semplice, centro tecnico e centro tecnico d’élite. Questi ultimi (quattro: Futbolclub, Vado, Genova Calcio, Viareggio) si distinguono per interventi più invasivi da parte della Samp. «L’unica cosa che possiamo fare – conclude Osti – è migliorare le selezioni, e le selezioni possono essere migliorate portando ragazzi da fuori».

 

Dal numero 20 di Undici. Foto di Fabrizio Albertini.