Una lega senza identità

Cosa manca alla Serie A per essere a livello della Premier? Un art director, soprattutto.
di Federico Sarica
17 Settembre 2018

È stata un’estate in cui, finalmente, si è tornati a parlare di Serie A. Gli occhi sono di nuovo su di noi pare, c’è voglia di pallone italiano anche al di là dei nostri confini. Tutto è ovviamente scaturito dall’arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juve, ma anche da quello di Ancelotti a Napoli, dal processo di consolidamento tecnico dell’Inter, dalla crescita della Roma dentro e fuori dal campo, e dalla rinascita, finalmente, di un’idea di Milan con lo stile e le idee chiare che hanno il volto rassicurante e piacevolmente globale di Leonardo e Paolo Maldini. E potremmo continuare. Le premesse tecniche ci sono tutte. E anche fuori dal campo, nel marketing, nella comunicazione e via dicendo, la Juve inizia finalmente a non essere più solo una piacevole eccezione ma un modello da seguire e insieme da sfidare. C’è molto da fare su questo ovviamente, come c’è molto da fare in termini di programmazione, gestione dei diritti televisivi, crescita organica di molto dei nostri club sotto tanti punti di vista; per non parlare della situazione stadi, ancora gravemente insufficiente salvo poche eccezioni, e dello stato confusionale quando non comatoso del calcio cosiddetto minore, dalla Serie B in giù. La strada è lunga insomma, ma si intravede un po’ di luce. E allora? Ci siamo?

La mia sensazione, e a quanto pare non solo la mia, è che si migliori sì, ma che manchi sempre qualcosa. Sensazione che diventa certezza appena ricominci, con l’avvio della stagione, a frequentare in tv, dal vivo e nel mondo digitale gli altri campionati europei di livello. Cosa? La butto lì: la Serie A è brutta. E non parlo di livello tecnico o tattico, intendo proprio in senso estetico: non è un’esperienza gradevole e appagante per gli occhi. Gli stadi vecchi fanno la loro ovviamente, ma non è solo quello. Avete visto il nuovo logo? Orribile, impresentabile nel 2018. Per non parlare della comunicazione, della presenza in video, digitale e sui social network (col paradosso di aver misteriosamente deciso di aprire nuovi account ufficiali da zero senza chiudere quelli vecchi, boh).

Il video di Design studio che presenta la nuova brand identity della Premier League, nel 2016

Quando dichiari di adorare la Premier League, c’è sempre quello che la sa lunga e ti dice “sì, ma non dirmi che il Brighton è meglio del Cagliari”. Vero. Parliamone. Il fatto è che la Premier è attraente esteticamente. L’avete visto il logo? L’avete scaricata l’app? Avete notato font e colori scelti? Un contesto magnifico, una gioia per gli occhi. Una cornice che rende il Newcastle di Benítez migliore del Sassuolo di De Zerbi agli occhi di chi guarda, che poi lo sia o meno conta relativamente. L’immagine coordinata della Premier non è frutto del caso. L’ha progettata nel 2017 DesignStudio, la stessa agenzia che si occupa dell’immagine di Airbnb e di Twitter, tanto per fare due esempi celebri, e a cui, da quest’anno, è stata affidata anche quella, splendida, della nuova Champions League. Cercate su Google “brand image LaLiga” e vi uscirà il magnifico lavoro fatto qualche tempo fa da IS Creative Studio per il campionato spagnolo (che in nome del brand nel 2015 ha cambiato addirittura nome). E fate lo stesso con la Bundesliga, il cui rebranding è stato affidato nel 2016 agli argentini di Nxtid, coloro che si sono occupati del “vestito” di giganti come Fox, Ericsson, NatGeo. Il nostro dramma, davvero tutto italiano, sembra essere a monte, e cioè nella comprensione del problema, nel sapere cogliere l’importanza strategica, oggi, del restituire un’esperienza piacevole esteticamente.

Eppure viviamo immersi in un contesto in cui trionfano giganti come Apple e Samsung, che mettono proprio il design dell’esperienza e la sua relativa forza estetica al centro dei propri vincenti modelli di business. Frequentiamo un mondo, per restare allo sport, dove trionfa, non da poco, la spettacolarità dell’Nba, e dove ormai il driver principale verso le nuove generazioni è spesso quello del gaming, raffinatissimo esteticamente e a livello di progettazione. È mai possibile che chi guida un’impresa importante come la Serie A non se ne renda conto? Eppure basterebbe guardare a quello che fanno i più evoluti fra i nostri club, col lavoro illuminato e rivoluzionario fatto dalla Juve sulla propria immagine nel 2017, ad esempio. Oppure, per restare in Italia, si potrebbe dare un’occhiata più attenta alla nuova eccellente immagine coordinata di SkySport, o a quella di DAZN, e pesare quanto sia strategico per loro. Questo è il punto: alla Serie A manca un art director. In Italia non ne mancano di bravi, si potrebbe fare un lavoro eccellente. A patto di rendersene conto.

 

Dal numero 23 di Undici
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