La sorprendente crescita del nuovo De Paul

Da dove viene la sua esplosione: i meriti di Velázquez, Oddo e Delneri.
di Matteo Albanese 24 Settembre 2018 alle 09:20

Percorrendo la strada che da Udine porta a Cividale del Friuli ci si imbatte nell’azienda agricola del signor Nardini, apicoltore di professione nonché grande tifoso dell’Udinese, che da oltre 40 anni stimola i suoi beniamini regalando al primo marcatore stagionale una massiccia dose di miele. Così nel 2012 toccò a Maicosuel, tristemente famoso per il cucchiaio estivo che estromise Guidolin dalla Champions col Braga, e negli ultimi anni pure Di Natale e Théréau hanno fatto scorta di dolcificante. La lista dei premiati comprende da quest’anno anche Rodrigo De Paul, che il 19 agosto segnò su rigore al minuto 65 nell’esordio friulano in Serie A 2018/19, contro il Parma, e la stessa sera ricevette mezzo quintale di miele.

Quello del Tardini non è stato solo il primo gol stagionale dell’ex Valencia, ma pure il segnale di una chiara inversione di tendenza: al primo anno di A le reti dell’argentino furono tre, lo scorso anno quattro, oggi dopo sole cinque giornate ha già eguagliato il suo record. L’ultimo, domenica al Bentegodi, un lampo di destro a sbloccare una partita chiusa, ha certificato il suo momento magico ribadendo la sua importanza: in tutti gli 8 punti dell’Udinese c’è il suo zampino. Non è poi un caso che l’unica sconfitta sia arrivata quando De Paul giocava sulla trequarti: Rodrigo nasce sì in quel ruolo, ma deve la sua crescita all’intuizione di Gigi Delneri circa il suo spostamento sull’esterno. Così, unendo rapidità nel passo a un gran controllo di palla in progressione, il De Paul odierno sfrutta letalmente, accentrandosi, il suo destro. Come se non bastasse, sempre al Bentegodi, ha mirabilmente zittito chi gli contestava il cercar la porta piuttosto che servire i compagni. L’assist sullo scoccare del 90’ destinato a Lasagna è un compendio di visione di gioco e precisione, un pallone messo perfetto sulla corsa del compagno. De Paul ne dispensò 8 in Serie A 2017/18, doppiando quelli della prima stagione in Italia, facendo capire di esser per natura votato all’assist. Oggi sembra comunque aver dismesso i panni dell’altruista: presa confidenza col dribbling, da buon prototipo di mezzapunta argentina, come detto è migliorato nella conclusione. La rete al Chievo, in cui non v’è quasi rincorsa prima dell’impatto col pallone, ne è un’ottima prova.

L’andazzo diverso s’era già palesato nel precampionato, gol contro gli austriaci del Wac, doppio assist al cospetto del Leicester, soprattutto una nuova centralità nel progetto: «Con Julio (Velázquez, ndr) mi trovo bene, sono felice». Le heatmap mostrano inequivocabilmente come il nuovo De Paul abbia in Lasagna la sua spalla ideale – un po’ come ai tempi di Oddo – ma agisca ugualmente decentrato, come con Delneri. La sintesi degli ultimi due tecnici ha dunque posto nelle mani di Velázquez un elemento cresciuto, capace di esaltare i vari Barák, Mandragora e Fofana, agenti qualche metro dietro. Un leader, come non lo era stato al Valencia: già nel 2014 l’Udinese aveva in mano il suo cartellino, prima che la decisiva intromissione di Roberto Ayala convincesse De Paul a scegliere – pagato 6,5 milioni – il Mestalla. Ma allora era acerbo, al debutto contro il Siviglia fu espulso dopo un minuto e le 4 giornate di squalifica scaturite incisero inevitabilmente sul suo conto.

In Argentina, invece, hanno sempre creduto in lui: a 8 anni entrò ne La Academia del Racing Avellaneda, di cui è tifoso, a 19 giocava titolare con la numero dieci sulle spalle, a 23 condivideva il campo con Diego Milito. E poi dopo un gol al San Martín lo definirono “El Pollo”, per via del fisico gracilino e lo sguardo fisso in avanti. La personalità non gli è mai mancata, nell’estate 2016 arrivò (finalmente) a Udine e scelse la Diez, conscio di chi l’avesse preceduto: «Di Natale fue un símbolo», si limitò a dire De Paul, raccontando di dover tutto ai nonni, Osvaldo che lo accompagnava agli allenamenti, Alicia che conservava gelosamente i ritagli di giornale sul nipote.

Nel 2014, appena arrivato in Spagna, mentre difende il possesso contro João Moutinho del Monaco (Olly Greenwood/Afp/Getty Images)

A Udine però speravano festeggiasse più spesso, e anzi faceva paura la nomea di promessa inespressa, con la quale De Paul ha sempre un po’ convissuto, forse perché uscito dalla stessa nidiata di Vietto e Centurión. Oggi Rodrigo ha fatto dell’eclettismo la sua forza, ma in estate ha seriamente rischiato di salutare la Dacia Arena. Sembrava avesse chiesto la cessione per trasferirsi a Firenze, così gli uomini mercato friulani volarono frettolosamente a Baires per strappare il suo connazionale Pussetto all’Huracán. Alla fine la trattativa coi viola saltò, forse per via delle dichiarazioni del suo procuratore («Ogni settimana, l’Udinese aumenta di un milione il presso del suo cartellino»), e oggi i due argentini convivono negli schemi di Velázquez: in faccia a chi vedeva De Paul indolente e poco motivato, il diretto interessato rispondeva su Instagram concludendo il post con un saluto in dialetto friulano che piacque parecchio: «Alè Udin, mandi».

Dato che l’Udinese lo scorso anno arrancava, a fine novembre 2017 la dirigenza assunse Massimo Oddo e il 16 dicembre arrivò il colpo decisivo con vista salvezza per merito di De Paul, protagonista dell’1-3 del Meazza contro l’Inter. La sua partita non sarebbe passata inosservata e il quotidiano argentino La Nación scrisse: «Tiene clase, pegada y conducción: sólo debía creérsela». Ora che le sue reti sono lievitate, evidentemente, Rodrigo ha solo cominciato a crederci un po’ di più.

 

Immagini Getty Images
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