Le ambizioni del Sassuolo 

Come funziona la squadra di De Zerbi, rivelazione delle prime settimane di campionato. 

Nel day-after della pesante sconfitta interna del Sassuolo contro il Milan, dove sono emersi i limiti degli emiliani, le opinioni sono state controverse: ci sono quelli che sottolineano come la squadra abbia un metodo, e che da questo sia dipeso un avvio di stagione complessivamente più che positivo, e ci sono di contro quelli che non vedono di buon occhio il calcio orientato al possesso su cui De Zerbi sta modellando il suo Sassuolo, perché, in sintesi, non può permetterselo. Limitandoci a guardare i fatti, quella di cui parliamo è una squadra che in 7 gare ha messo insieme 13 punti, registrando il secondo attacco più prolifico e perdendo soltanto con Juventus e Milan. Lo ha fatto peraltro con la terza rosa più giovane di A (dietro alla sola Fiorentina) e la decima nei massimi campionati europei, come ha illustrato il Cies. 

Alle radici della partenza sprint della squadra di De Zerbi c’è un’estate decisamente movimentata. Durante la scorsa sessione di mercato il Sassuolo ha lasciato partire i giocatori migliori – Politano e Acerbi – e un veterano come Missiroli, mentre sono rimasti Consigli, Lirola, Rogerio, Duncan e Berardi come fondamenta del nuovo progetto. Le vere novità, poi, hanno riguardato i nuovi a partire dalla coppia centrale, un doppio innesto decisivo per lo stile di gioco messo in mostra sin qui. Il primo ad arrivare, rientrato dal prestito alla Samp, è stato Gian Marco Ferrari; a seguire è stata la volta di Marlon dal Barcellona per sei milioni di euro, mentre a fine luglio si era già vestito di neroverde Magnani. In mezzo al campo De Zerbi ha cambiato molto in questo inizio di stagione, e i nuovi – Locatelli e Bourabia – hanno preso parte alla turnazione al pari degli altri che già c’erano, ossia Magnanelli, Duncan e Sensi. Infine il tridente: Boateng e Di Francesco si sono rivelati tra i migliori per rendimento e insieme a Berardi hanno composto un reparto che De Zerbi ha frammentato soltanto causa turnover, con Babacar, Boga e Đuričić quasi sempre incoraggianti quando chiamati in causa. 

 Oltre i singoli, però, il primo fattore da mettere in evidenza di fronte a questo Sassuolo è una forte e ricercata identità. I meccanismi di risalita del campo, di pressione, di dialogo tra gli avanti, sono evidenti e si ripetono, pur con un certo grado di adattabilità, entro cornici predefinite. In meno parole, è una squadra che non si snatura, che ha le idee chiare su di sé e scende in campo per giocare in un certo modo a prescindere dall’avversario. Nelle prime sette gare di A ha schiacciato sul piano del gioco Cagliari, Juventus, Empoli e Milan, mentre non è stato in grado di imporsi nelle altre: in casa con l’Inter e con il Genoa, dove anzi è stato messo sotto a sua volta (con i nerazzurri però ha dominato gran parte del primo tempo), e a Ferrara con la Spal, in una gara equilibrata decisa da due prodezze di Consigli e da un paio di deviazioni fortunate nel finale. A margine dell’1-4 contro il Milan De Zerbi ha detto: «Il nostro obiettivo è soltanto quello di fare punti, e noi riteniamo che sia più facile farli attraverso una organizzazione». Aveva già espresso concetti simili qualche mese fa: «Costruendo da dietro prendiamo campo in maniera graduale, in modo che la squadra salga di blocco. […] Se somiglio a Zeman? Il suo è un calcio più verticale, io preferisco far tenere quanto più è possibile la palla tra i piedi dei miei calciatori». 

Parole convertite in fatti, visto che il benchmark del suo Sassuolo è piuttosto semplice da individuare: la costruzione dal basso fondata sui due centrali o sui tre, a seconda del fatto che la linea difensiva preveda i terzini al loro fianco (4-3-3) o un difensore in più (3-4-3). Si tratta del meccanismo più evidente e anche del più delicato, perché si basa su un presupposto rischioso: attirare la pressione degli avversari. Le qualità individuali degli attori protagonisti di questa prima fase sono discrete. Ferrari e Locatelli non sono volti nuovi, Marlon è transitato dalla Cantera, Rogerio viene dalla Juventus come Lirola, Sensi è un altro che col piede ci sa fare. E infatti è capitato spesso, in queste prime settimane, di vedere occasioni da rete create con scambi ad un tocco o due (il rigore che ha deciso la prima contro l’Inter è scaturito proprio da una manovra di questo tipo). A questo proposito va sottolineato anche il contributo di un falso nove come Boateng, abilissimo sin qui nel trovare la posizione più corretta tanto per assistere quanto per rifinire. Uno sguardo sommario ai dati, inoltre, può essere d’aiuto per dare una ulteriore schiarita allo stile di gioco generale. Il Sassuolo ad esempio è l’unica squadra di A ad aver segnato tutte le proprie reti dall’interno dell’area di rigore. Rari, rarissimi i tentativi da fuori, considerati seconda scelta anche da chi in materia sa il fatto suo. Altra soluzione che gli emiliani tendono a rifiutare è il cross: secondo i dati della Lega la squadra di De Zerbi è ora 13esima per numero di traversoni totali, ma prima della gara contro il Milan – dove è stata costretta ad invertire la tendenza per via della densità dei rossoneri nel finale – occupava la 18esima posizione. 

Di Francesco si appoggia a Ferrari che a sua volta gioca di prima su Bourabia. Quindi il marocchino si accorge del decentramento di Boateng e lo serve aprendo il campo a Di Francesco, che riceve sulla corsa e si procura il penalty con cui Berardi sblocca Sassuolo-Inter 

Un’azione d’attacco simile, più complessa e dall’esito meno fortunato, si è vista contro il Cagliari: a propiziarla è un’iniziativa di Locatelli, ma ciò che colpisce è il fatto che chi vi partecipa, dall’appoggio di Lirola in avanti, tocca il pallone non più di due volte. O ancora, anche in questo breve scambio contro il Milan si riassumono la rapidità e il ritmo con cui il Sassuolo riesce a spostare il pallone. È evidente che per far funzionare un sistema di gioco di questo tipo siano necessari giocatori sicuri nella gestione della palla, o comunque elementi la cui sicurezza può essere coltivata. Una necessità, questa, che porta con sé una serie di surplus. Anzitutto infonde sicurezza nella squadra, la compatta, perché un calcio proattivo – almeno di solito – tende ad avere effetti positivi sulle motivazioni e sul gradimento dei calciatori. Inoltre perché esalta le qualità dei giocatori offensivi, che al Sassuolo non mancano. Non è un caso che quello degli emiliani sia il miglior attacco del campionato, e non è un caso neppure che le 15 reti segnate sin qui siano state divise in maniera equa tra gli avanti. Infine, chi ha un background adeguato a questo tipo di calcio nella maggior parte dei casi ne esce più forte e più consapevole. Per rimanere entro i confini della A e non scomodare Guardiola, è sufficiente pensare alla crescita dei singoli di Empoli, Napoli e Sampdoria in corrispondenza dei passaggi di Sarri e Giampaolo. Uno degli indiziati per la medaglia alla crescita è Locatelli, che sta giocando oltre 70 palloni a partita di media con il 93% di pass accuracy. Da notare anche il misero 3 alla voce long-ball, che contribuisce ad illustrare la reticenza della squadra a saltare linee di passaggio per vie aeree. Durante l’intervista di cui si accennava sopra De Zerbi si spiegò senza mezzi termini: «Facendo partire il gioco dal basso, i vantaggi sono maggiori: se hai qualità lì davanti, la palla gliela devi fare arrivare pulita e non alta e sporca». 

 Di contro va considerato l’handicap che questo modo di giocare porta con sé quando si hanno qualità sufficienti, discrete, magari anche buone, ma non eccezionali. È evidente che se Consigli ha incassato 12 gol, e quella del Sassuolo è la terza difesa più bucata del campionato, di imperfezioni da limare ce ne siano. Il discorso ricorda in parte quello che facevamo riguardo la Lazio qualche mese fa: entrambe le squadre, seppure con metodi radicalmente differenti, tendono a portare molti uomini nella metà campo avversaria, ed entrambe faticano nella copertura degli spazi che si aprono alle proprie spalle. Nonostante picchi di ottimo, la gestione del pallone presenta ancora lacune quando viene condotta troppo a lungo, e la sensazione è che il Sassuolo sia una squadra ancora immatura per permettersi fasi di gara troppo ragionate. Intanto, un errore-manifesto della difficoltà nel ripiegare è quello che ha portato Kessié a segnare in totale libertà dopo una transizione palla al piede di oltre cinquanta metri a campo sguarnito, o ancora, il contropiede concesso alla Juventus in occasione del secondo centro di Cristiano Ronaldo. Né i centrali né i terzini a disposizione di De Zerbi sono difensori eccellenti in marcatura, e questo, in unione ad una linea mediana che spesso non è riuscita a contenere le esondazioni avversarie, ha sin qui rappresentato il limite strutturale del sistema di gioco.
 

La cavalcata di Kessié, culminata con un mancino strozzato e ingannevole, che è valsa lo 0-1 al Mapei Stadium. L’unico ad abbozzare un contrasto – in ritardo – è Marlon, indeciso se chiudere sull’ivoriano o mantenere la marcatura preventiva su Castillejo 

E non è tutto. Le prime sette uscite del nuovo Sassuolo, oltre a questa criticità, hanno evidenziato una seconda falla su cui potrebbe essere difficile mettere mano: gli errori individuali in fase di possesso. Torniamo giocoforza alle qualità di chi costruisce, che valgono ma non sono tali da ridurre abbastanza le percentuali di rischio dovute alla proattività. Contro l’Empoli, ad esempio, i neroverdi sono andati sotto dopo appena diciotto secondi proprio per un errore di questo tipo, con Sensi che ha gestito male il primo possesso aprendo la strada allo 0-1 di Caputo. Anche contro il Genoa si è verificato un episodio simile, stavolta con protagonista Lemos. Il centrale uruguaiano ha azzardato un take-on in accentramento ma è stato fermato, e sul recupero Pandev ha segnato il secondo gol dei rossoblu. Non era un momento chiave, si potrà obiettare, in fondo il Sassuolo conduceva per 5-1 a venti dalla fine. Però resta un errore in disimpegno grossolano dovuto ad una sopravvalutazione tecnica, e soprattutto non è un caso isolato. 

Se Ferrari si è mostrato sin qui il più diligente con il pallone tra i piedi (anche se difensivamente non impeccabile in più di una situazione), Marlon è stato invece il più turbolento. Contro la Juventus, ad un passo dall’area piccola, il brasiliano si è esibito in un goffo e vano tentativo di superare Matuidi, a cui non è seguito per miracolo il primo gol dei padroni di casa. Copione identico e stesso personaggio principale anche contro il Milan: Marlon la perde a pochi metri da Consigli e la cosa finisce lì, ma è chiaro che dare continuità a forzature di quel tipo può causare problemi da un momento all’altro. Senza considerare, poi, che è da situazioni come queste che emergono gli scetticismi. Il giorno dopo la sconfitta del Sassuolo allo Stadium un noto quotidiano sportivo ha affibbiato un voto insufficiente alla gestione di De Zerbi motivandolo così: «Il guardiolismo è bello ma alla teoria devono poi seguire interpreti all’altezza. Altrimenti è dura». È superfluo sottolineare come gli emiliani abbiano fatto fatica ad impensierire concretamente Chiellini e compagni, ma dovrebbe essere superfluo almeno tanto quanto lo è osservare che le squadre uscite dallo Stadium con il vanto di aver tenuto testa alla Juventus si contano sulle dita di una mano. 

Confrontando il rendimento reale del Sassuolo con quello atteso in termini di reti segnate e subite emerge, in definitiva, una situazione di overperforming. Secondo le analisi di Understat i 15 centri all’attivo superano di gran lunga i circa 10 xG, mentre le 12 subite sono molto vicine ai circa 11 xG al passivo. La sensazione che la squadra di De Zerbi stia raccogliendo più di quanto seminato, insomma, è stabilmente accompagnata dai dati, ma ciò non toglie che ci siano le basi per puntare con decisione alla parte sinistra della classifica. A fine stagione, quando si tireranno le somme, capiremo se la scelta coraggiosa di tecnico e società avrà pagato i relativi dividendi.