La silenziosa trasformazione di Ancelotti

Come il tecnico emiliano ha modellato il nuovo Napoli.

Carlo Ancelotti ha descritto il suo Napoli e i presupposti teorici della sua nuova avventura in un’intervista pubblicata ieri da France Football: «Abbiamo ragazzi giovani ma già ad altissimo livello, giochiamo molto bene, questa è la nostra qualità migliore. Il mio obiettivo è dare alla squadra l’esperienza e il coraggio che servono per superare i momenti in cui non riusciamo a esprimere al meglio il nostro calcio. Dal punto di vista tattico non ho un mio stile di riferimento, preferisco adattare il sistema alle caratteristiche del calciatori che ho a disposizione».

In queste parole c’è tutto Ancelotti, un fine equilibrista dialettico, un miscelatore attento di grandi verità e piccole bugie. L’allenatore emiliano dice tante cose vere: il Napoli può effettivamente contare su calciatori di talento e con enorme conoscenza del gioco, è un gruppo che ha palesato dei limiti mentali più che tecnici o tattici, ed era inevitabile che il nuovo ciclo cercasse uno sviluppo in termini di personalità, di consapevolezza. Allo stesso tempo il tecnico ha mentito sul suo impatto strategico, l’ha minimizzato troppo: in tre mesi e mezzo di lavoro, Ancelotti non si è adagiato sul sistema mandato a memoria dai calciatori del Napoli, ha deciso di modificare una parte significativa del modello tattico in base alle sue idee, bilanciando progressivamente l’inserimento di nuovi meccanismi e le tipicità dell’organico. Ne è venuta fuori una squadra rigida nella fase difensiva ed estremamente liquida in quella offensiva, un cocktail promettente tra il calcio sistemico da Sarri e il gioco composito, di selezione e di esaltazione del talento, che Ancelotti ha perfezionato nel corso della sua carriera.

Uno dei concetti più ricorrenti nelle parole di Ancelotti riguarda la conservazione del sistema difensivo sviluppato negli ultimi tre anni. Il Napoli continua ad attuare una fase passiva di tipo proattivo, per la maggior parte del tempo vuole imporre un ritmo molto elevato attraverso la riduzione dello spazio di manovra per gli avversari. In concreto, la squadra azzurra tiene la terza linea in posizione decisamente alta (il baricentro medio in fase di non possesso è intorno ai 50 metri) e i reparti molto stretti, in modo da poter sostenere un pressing intenso e di scivolare velocemente sull’asse orizzontale in base al movimento del pallone.

I due gol realizzati contro Juventus e Udinese: le azioni pericolose concretizzate da Mertens e Fabián Ruiz nascono da un recupero palla codificato nell’ultimo terzo di campo, una situazione di gioco in continuità tra l’era Sarri e l’era Ancelotti.

Sono i dettami di Sarri, però riveduti e ampliati: in alcune occasioni, Ancelotti ha preferito un approccio meno aggressivo, ad esempio in casa del Torino e al San Paolo contro il Liverpool il baricentro è stato posto più in basso (44 metri); anche in altre occasioni la pressione sul portatore di palla è stata alternata ad un dispositivo posizionale più statico, a copertura degli spazi. È il gioco di selezione di Ancelotti, per cui la squadra può decidere di cambiare atteggiamento a seconda delle circostanze e dei momenti della partita, in base alla forza degli avversari, alla condizione atletica e psicologica. Dal punto di vista delle spaziature in fase di non possesso, il Napoli ha modificato la sua disposizione in campo: dopo le prime uscite con il 4-3-3/4-5-1, Ancelotti ha adottato un 4-4-2 classico, scolastico. Una scelta che potrebbe apparire puramente conservativa, ma che in realtà è stata fatta per garantire maggiore equilibrio rispetto ad un gioco d’attacco diverso, forse addirittura più ambizioso – certamente più vario – rispetto al recente passato.

Napoli-Fiorentina, il 4-4-2 difensivo della squadra di Ancelotti: orientamento sul pallone e restringimento orizzontale degli spazi.

L’idea iniziale del tecnico emiliano era di tipo additivo, anche per la fase offensiva. Ancelotti voleva mantenere vivi i meccanismi del gioco di posizione e integrarli con strumenti nuovi, ad esempio la ricerca dell’ampiezza su entrambe le corsie, e un attacco più diretto della profondità. Situazioni che si sono intraviste già nelle prime partite, solo che il Napoli del 4-3-3 faceva fatica in fase di transizione negativa, le mezzali e i due laterali bassi si trovavano in posizione troppo avanzata e costringevano la difesa ad affrontare le ripartenze in situazione di inferiorità numerica, con i due centrali e il centromediano soli, in campo aperto, contro gli attaccanti avversari. Una situazione che l’anno scorso veniva compensata con il supporto costante di un solo terzino, quello sinistro – Ghoulam e poi Mario Rui. La grande trasformazione tattica di Ancelotti è frutto della sua insistenza: piuttosto che arrendersi alle difficoltà e tornare indietro sulla strada tracciata dal suo predecessore, il tecnico emiliano ha voluto forzare il contesto, cercando di dare nuovi stimoli ai giocatori. Nasce così il passaggio dal centrocampo a tre al doble pivote, una cerniera di due uomini davanti alla difesa in grado di fornire maggiore copertura preventiva, di sostenere diversamente la nuova manovra offensiva.

Il Napoli sviluppa il suo gioco soprattutto sugli esterni, secondo tracce tendenzialmente verticali: il 75% delle azioni nasce sulle fasce laterali, il dato del possesso palla per match è sceso dal 60,3% al 53,1%, per tentare una conclusione occorrono 32 passaggi (l’anno scorso erano 45), e sono aumentati i lanci lunghi (da 52 a 64 ogni 90 minuti). La continuità rispetto al passato sta nell’interpretazione di alcuni calciatori, soprattutto di Insigne e dei due esterni di centrocampo, che vengono a giocare tra le linee e ricreano i triangoli tipici del gioco di Sarri. Anche per questo Ancelotti non schiera quasi mai due laterali d’attacco puri, l’ampiezza assicurata da Callejón a destra viene spesso controbilanciata dall’utilizzo di un elemento associativo sull’altra fascia, un giocatore in grado di muoversi negli halfspaces, di giocare rientrando nel campo, come ad esempio Zieliński e Fabián Ruiz – oppure Verdi in una versione più offensiva. È la fluidità tipica del calcio di Ancelotti, l’obiettivo è creare le condizioni perché il talento e l’intelligenza dei calciatori possano determinare e alternare le soluzioni d’attacco, tra lo scarico sui terzini e sugli esterni per creare la superiorità numerica, e le letture avanzate dei giocatori creativi per approfittare della superiorità posizionale.

In questo senso la conversione di Insigne è assolutamente didascalica, rappresenta la parte più evidente e impattante della rivoluzione in corso: da esterno a piede invertito e con attribuzioni di regia offensiva, Lorenzo è stato trasformato in una seconda punta con ampia libertà di movimento, che esplora l’ultimo terzo di campo alla ricerca del corridoio per costruire o finalizzare il gioco d’attacco. Come corollario, il passaggio al 4-4-2 ha diminuito i suoi compiti difensivi, rendendolo fatalmente più deciso e preciso sotto porta: nella stagione 2017/2018, Insigne ha segnato una rete ogni 22 conclusioni verso la porta. Quest’anno siamo a 5.83 tiri tentati per ogni gol realizzato.

Il nuovo Insigne

Il nuovo modulo liquido aderisce anche al progetto politico concordato da Ancelotti e De Laurentiis. Se inizialmente era plausibile immaginare che l’arrivo dell’ex allenatore di Bayern Monaco e Real Madrid potesse (ri)attivare un calciomercato più impattante – in uscita e in entrata – il Napoli ha deciso di cedere solo Jorginho e Reina, e di integrare la rosa con degli innesti in linea con la dimensione finanziaria del club. Lo staff dirigenziale e tecnico ha deciso di investire sull’organico della scorsa stagione, creando i presupposti perché ci fosse una maggiore rotazione tra tutti i calciatori. Il 4-4-2 spurio sviluppato da Ancelotti ha permesso di allargare la rosa anche in senso orizzontale, molti elementi sono stati utilizzati in slot diversificati; Fabián e Zieliński hanno giocato da mezzi esterni come nel doble pivote, Ounas è stato schierato come sottopunta e/o da laterale offensivo, addirittura Maksimović ha giostrato da terzino destro in occasione del match contro il Liverpool, per costruire dal basso con una difesa a tre che avesse più soluzioni per bypassare il primo pressing dei Reds. Proprio quest’ultimo punto è esplicativo rispetto al diverso approccio filosofico tra Sarri e Ancelotti: se il primo cercava di elevare al massimo le qualità di un sistema fisso e praticamente inalterabile, talmente codificato da poter coinvolgere un numero ristretto di calciatori, il secondo esplora tutte le possibili varianti, cerca ad ogni partita una soluzione nuova e/o diversa per vincere la sfida tattica. Un dato su tutti: Ancelotti ha schierato undici formazioni diverse in altrettante partite stagionali, con 21 calciatori scelti almeno una volta dal primo minuto.

Finora i risultati sono positivi, il Napoli ha un andamento in Serie A che vale una proiezione di 89 punti a fine campionato (media 2.3); non ha subito gol in Champions ed ha battuto con merito il Liverpool; inoltre, dal passaggio al 4-4-2 ha abbassato la quota di gol incassati in maniera esponenziale (da 2 a 0.5 per match). La transizione da Sarri ad Ancelotti sembra procedere nella giusta direzione, ma ovviamente ci sono delle criticità. Il nuovo modello tattico ha responsabilizzato i calciatori rispetto ai meccanismi del sistema, cancellando un po’ di quelle connessioni fisse in fase d’uscita che davano la sensazione di un dominio assoluto e costante del gioco, ed anche per questo alla squadra è richiesta una concentrazione assoluta per tutti i novanta minuti. Il nuovo Napoli non può concedersi pause e/o errori individuali, non che l’anno scorso andasse in maniera diversa, solo che c’erano dei momenti della partita in cui lo strumento del possesso permetteva ai giocatori di gestire il ritmo, di dosare e recuperare le energie. Presentando il match contro il Psg, Ancelotti ha evidenziato proprio questo aspetto positivo («abbiamo battuto il Liverpool grazie ad una grande applicazione lungo tutti i 90 minuti»), che invece è mancato in casa della Juventus. Il nuovo sistema sembra funzionale per risolvere quelle partite in cui il Napoli ha una cifra di talento superiore a quella degli avversari, il prossimo step è capire se la completezza e la consapevolezza mostrate contro il Liverpool possano essere ancora riprodotte contro squadre molto forti e/o strutturate, in quei momenti in cui è più difficile esprimere al meglio un certo tipo di calcio – per riutilizzare le parole di Ancelotti. In questo senso, la sfida di stasera al Psg rappresenterà un interessante banco di prova.