A volte basta poco per cambiare tutto, che sia la carriera di un giocatore o il Mondiale di una Nazionale. Per Philipp Lahm, tra l’altro, le due cose sono andate di pari passo. All’inizio della stagione 2013/14, lui che nella vita aveva sempre fatto il terzino, cominciò a giocare da regista di centrocampo: fu un anno con il 93% di precisione passaggi al Bayern Monaco e a luglio alzò da capitano della Germania la Coppa del mondo. Nel dicembre 2016, invece, il 20enne Leroy Sané si spostò dalla fascia destra a quella sinistra nell’intervallo di una partita contro l’Arsenal: segnò il suo primo gol in campionato proprio contro i Gunners e iniziò così una stagione e mezza da 23 reti in 86 presenze, periodo culminato con il premio di miglior giovane della Premier League 2017/18. Quel “poco” che ha cambiato tutto a Lahm e Sané è stato lo stesso allenatore, Pep Guardiola. Anzi, neanche. L’intuizione di schierare il veterano tedesco come pivote arrivò da Domènec Torrent, storico assistente del catalano, mentre quella di cambiare fascia all’ex Schalke 04 fu di Mikel Arteta, scelto da pochi mesi come altro vice di Guardiola ed eccezionalmente “promosso” head coach per il match contro l’Arsenal: «Vai, la squadra è tua».
Lo scorso 12 giugno Domènec Torrent è diventato il nuovo allenatore del New York City Fc, la “sorella” del Manchester City in Mls, sempre di proprietà del City Football Group dello sceicco Mansour. Torrent ha 56 anni e ha iniziato a lavorare con Guardiola nel 2007 al Barcellona B. In undici stagioni al fianco di Pep ha vinto 24 trofei, tra cui due Champions League, tre Mondiali per club e il titolo nazionale in Spagna, Germania e Inghilterra. Stuart Brennan, sul Manchester Evening News, ha scritto: «Una cosa è certa: l’allenatore del Manchester City ha perso il suo braccio destro, un assistente fidato che è sempre stato al suo fianco fin dai primi giorni al Barcellona. (…) Torrent bilanciava lo stile frenetico di Guardiola, la sua presenza calma e misurata lo aiutava sia mentalmente che fisicamente. (…) Per molti aspetti, Torrent somigliava molto a Guardiola: un trascinatore appassionato con una profonda attenzione ai dettagli. Supervisionava il processo di match analysis del City evidenziando i punti di forza e quelli deboli degli avversari e, in questo modo, dava alla sua squadra un grande vantaggio in vista delle partite».
Idee brillanti, la stima e i consigli di Guardiola e, soprattutto, l’esperienza maturata in oltre dieci anni sulle panchine delle squadre più forti del mondo (seppur da vice): Domènec Torrent avrebbe le caratteristiche giuste per intraprendere una buona carriera individuale, ma non tutti la pensano allo stesso modo. Il giornalista della Bbc Simon Stone ha evidenziato che il suo contratto a New York finirà nel 2020, sei mesi prima di quello di Guardiola al City, e quindi i due potrebbero tornare a lavorare insieme. Graham Parker, su Espn, ha commentato: «Un allenatore deve vincere le partite. La maggior parte di quelli che subentrano a stagione in corso sono lì proprio per farlo, perché prima non succedeva. Torrent invece è arrivato a New York in una squadra che andava bene con Vieira».
Il 12 giugno, infatti, il City d’oltreoceano era secondo nella Eastern Conference con 28 punti in 15 giornate (oggi è terzo con 53), poi l’ex bandiera dell’Arsenal stato chiamato dal Nizza in Ligue 1 e Torrent l’ha sostituito. Non un esonero insomma, ma una sorta di “pezza”. «In un certo senso, scegliendo Torrent, la società ha scelto se stessa. Gli allenatori rischiano il licenziamento, ma il City Football Group sta lentamente elaborando una filosofia che prevede il sistema di gioco oltre il singolo allenatore, in modo che il gruppo non subisca troppo una brusca partenza come quella di Vieira», ha aggiunto Parker, alludendo anche a un tentativo di emulazione globale del modello della Masia o di Clairefontaine. Far lavorare i giovani di New York con gli stessi metodi dei giovani di Manchester, in pratica. E chi meglio dello storico assistente di Guardiola per farlo?
Torrent in panchina occupava il posto più vicino a Pep, quello al suo fianco. Subito dopo, in una scala gerarchica ben definita, c’era Mikel Arteta. Ora l’ex centrocampista basco – 36 anni, al City dall’estate 2016 subito dopo essersi ritirato dal calcio giocato – è salito di livello. E di stipendio. Se Torrent sembrava avere la strada bloccata, per età e dinamica del suo passaggio al New York City Fc, è Arteta il possibile vero erede di Guardiola in panchina. Dopo l’addio di Arsène Wenger all’Arsenal il suo nome è stato per giorni in pole position tra i sostituti del francese. Alla fine è stato scelto l’ex Psg Unai Emery, ma per Arteta, pur senza esperienza, non si è trattato di una bocciatura. Sempre Simon Stone della Bbc ha ipotizzato una sua promozione a primo allenatore del Manchester City dopo Guardiola. Cy Brown, su Forbes, ha tratteggiato dei “contro” molto sfumati per l’ipotesi che l’ex centrocampista prendesse il posto di Wenger ai Gunners: «Arteta si è ritirato solo due anni fa e non ha mai allenato nessuna squadra, tanto meno una squadra del livello dell’Arsenal. Però ha passato gli ultimi due anni a lavorare fianco a fianco con Guardiola. Per il loro backgroud condiviso e per il loro stretto rapporto di lavoro, ci sono possibilità che Arteta si trasformi in un Pep due, un pensiero abbastanza gustoso da far venire l’acquolina in bocca ai tifosi dell’Arsenal. Arteta è un rischio, ma sembra uno di quei rischi che val la pena prendere».
Mikel Arteta parla sette lingue e ha undici anni in meno di Guardiola. Ha giocato nelle giovanili del Barcellona dal 1997 al 2002 ed è lì, sotto l’influenza di Johan Cruijff, che i due si sono conosciuti. Veniva soprannominato “Guardioleta” per le sue caratteristiche in regia, ma non è mai riuscito a esordire in prima squadra. Nel 2001/02 si è trasferito in prestito al Psg, poi è andato ai Rangers di Glasgow e alla Real Sociedad prima di trovare continuità in Premier League, all’Everton (dal 2005 al 2011) e all’Arsenal (dal 2011 al 2016). Nel maggio 2014, alla rivista ufficiale dei Gunners, ha raccontato: «I miei compagni di squadra mi dicono sempre “Diventerai un allenatore, Miki, devi diventare un allenatore!”. So che è un lavoro molto duro, soprattutto vedendo quanto è impegnato il nostro. Bisogna fare dei sacrifici con la famiglia, e io li faccio da quando ho 15 anni. Ma mi piacerebbe molto allenare una squadra, credo che sia qualcosa che ho dentro. È vero, lo voglio fare».
Arteta ha sempre dimostrato di avere le idee chiare, sia tattiche che filosofiche: «Vorrei che tutti si impegnassero al 120 per cento, questa è la prima cosa, se no con me non potrebbero giocare. Quando è il momento di lavorare si lavora, quando ci si diverte io sono il primo a farlo, ma l’impegno in allenamento è vitale. Poi vorrei un calcio espressivo, divertente. Non posso concepire un calcio tutto basato sul concetto di opposizione all’avversario. Bisogna gestire il gioco, dobbiamo essere noi a prendere l’iniziativa, dobbiamo divertire le persone che ci vengono a vedere. Sono convinto al 100 per cento di queste cose, e penso di poterle fare. (…) Ma la cosa più importante, per un allenatore, è immaginare il venerdì cosa può accadere il sabato. E se le cose non vanno così, allora non è stato fatto un buon lavoro».
Tra i suoi modelli, Arteta ha citato Wenger, Pochettino e ovviamente Guardiola: «Mi piacciono gli allenatori che provano a fare qualcosa di diverso e aggiungono qualcosa al gioco, non si può solo uscire e stare fermi in panchina. Certo, così si può anche vincere, ma non penso che i giocatori siano contenti a lavorare in questo modo. Vorrei che i miei giocatori esprimessero le loro qualità: si possono dare consigli e idee su quello che si vuole da loro, ma poi bisogna lasciare spazio alle loro abilità e alla loro creatività. Si deve imparare dai propri giocatori, e se si riesce a farlo allora si può proporre qualcosa di nuovo». C’è tanto, tantissimo Pep in tutto questo. E, anche se le parole di Arteta non sono sufficienti a immaginare il futuro di un 36enne diventato vice allenatore da soli due anni, questi concetti sono già bastati a Cy Brown per scrivere su Forbes che «forse la cosa più eccitante e interessante del potenziale di Arteta come allenatore è l’opportunità di combinare le filosofie di Wenger e Guardiola, due delle migliori menti calcistiche degli ultimi vent’anni. L’unione tra l’idea del “calcio come arte” e la fiducia nei giocatori di Wenger e la dedizione e l’attenzione ai dettagli di Guardiola è affascinante e può essere una combinazione potenzialmente validissima. Quanto meno, sarebbe molto divertente da guardare».