L’intrigo internazionale di Enes Kanter

Aperto oppositore di Erdogan, il cestista dei Knicks è al centro di una vicenda controversa.

A un’occhiata distratta, il profilo Instagram di Enes Kanter non sembra quello di un giocatore professionista in Nba. Le numerose foto con rappresentanti del Congresso degli Stati Uniti (tra cui Marco Rubio, che nel 2016 concorse alle primarie presidenziali per il partito repubblicano) farebbero pensare a un ruolo istituzionale – e non siamo molto lontani dal vero. Se il parquet e i palloni da basket sono scomparsi negli ultimi giorni dalla narrazione social di Kanter, cestista turco dei New York Knicks, è perché, per una partita, all’Nba ha dovuto rinunciare. Né per infortuni, né per motivi disciplinari: colpa del presidente turco Recep Erdogan. Mentre i suoi Knicks volavano a Londra per affrontare i Washington Wizards, Kanter decideva di rimanere negli States. Come ha scritto sul Washington Post, «Erdogan ha braccia lunghe. In Inghilterra gli agenti turchi potrebbero rapirmi o uccidermi». E, poche ore dopo, il governo di Ankara ha chiesto l’estradizione del centro dei Knicks.

Kanter, che è arrivato nel 2011 negli States per giocare negli Utah Jazz, è finito nel mirino di Erdogan per le numerose critiche rivolte al presidente turco. Kanter si è definito più volte un “seguace” di Fethullah Gulen, politico e predicatore turco che, dopo la rottura con Erdogan, è diventato il “pericolo pubblico numero uno” del governo di Ankara. Gulen, rifugiatosi in Pennsylvania, è stato accusato da Erdogan di aver architettato il golpe del 2016, poi fallito. Da quell’anno il movimento di Gulen è stato definito dal governo di Erdogan “terroristico”.

La platea della Nba ha permesso a Kanter di parlare apertamente in tono negativo di Erdogan: «Un lunatico, un maniaco, un dittatore, e per colpa sua non posso andare all’estero per fare il mio lavoro», ha detto annunciando l’assenza nella partita di Londra. La sua esposizione ha messo nei guai anche la sua famiglia: suo padre, professore universitario, nello scorso giugno ha ricevuto un mandato di arresto per “associazione a un gruppo terroristico”. E questo nonostante la famiglia di Kanter avesse tagliato i contatti con Enes fin dal 2016. Proprio il padre aveva pubblicato una lettera sul quotidiano filogovernativo Sabah in cui disconosceva le vedute del figlio, “ipnotizzato” dal movimento di Gulen. Da brividi la chiosa: «Con profonda vergogna mi scuso con il nostro presidente e con tutto il popolo turco per avere un figlio del genere». Il cestista disse: «Oggi ho perso quella che per 24 anni ho chiamato famiglia».

Kanter oggi è un apolide: non ha la cittadinanza americana e nel 2017 gli venne revocata quella turca. Il 20 maggio di quell’anno il cestista visse quello che ha definito «uno dei giorni più spaventosi della mia vita: fu il giorno in cui capii che Erdogan mi stava dando la caccia». Kanter era in Indonesia per un camp di basket per bambini. Di notte, mentre dormiva in hotel, il suo manager bussò alla sua porta per dirgli di fare in fretta i bagagli: la polizia indonesiana, allertata dal governo turco, era sulle sue tracce. Kanter dovette tornare negli Stati Uniti, facendo prima scalo a Singapore e poi in Romania. Una volta atterrato a Bucarest, scoprì che Erdogan aveva emesso un mandato di cattura: voleva incarcerarlo per quattro anni per gli insulti espressi dal cestista su Twitter. Inoltre, gli era stato cancellato il passaporto, rendendo complicato il prosieguo del viaggio. Solo con l’aiuto di alcuni senatori dell’Oklahoma – ai tempi Kanter giocava nei Thunder – il ritorno Oltreoceano fu possibile.

La vita di Kanter, negli ultimi anni, è cambiata. «Ho ricevuto moltissime minacce di morte. Una volta amavo camminare da solo per le strade di New York, ora non posso più farlo. I miei amici in Turchia potrebbero essere arrestati per il solo motivo di parlarmi. Non ho potuto presenziare all’Oslo Freedom Forum lo scorso anno in Norvegia per la stessa ragione che non mi permette di andare a Londra».