Cos’è il gol alla Guardiola

Un meccanismo che nel gioco del tecnico spagnolo si ripete spesso.

Manchester City-Arsenal è stata una partita piena di cose, di momenti significativi. Per esempio ha messo in vetrina una delle migliori versioni possibili di Agüero, autore di una tripletta, la decima in Premier della sua carriera – solo Shearer ha fatto meglio nella storia del massimo campionato inglese, 11 hat-tricks con le maglie di Southampton, Blackburn e Newcastle. La grande prestazione del centravanti argentino va però inserita nel contesto della squadra di Guardiola, tornata a mostrare un calcio intenso, incisivo, di grande qualità, dopo un periodo difficile. Il secondo gol del Kun è una perfetta rappresentazione dei concetti che appartengono da sempre al tecnico catalano:

Sembra tutto molto facile

Il gioco di Guardiola è estremamente codificato, tanto che Rory Smith, sul New York Times, ha costruito un pezzo sull’efficace ripetitività delle squadre di Pep: «C’è un senso di inevitabilità nel calcio del Manchester City. Il secondo gol di Agüero è praticamente identico agli altri due, l’attaccante argentino ha semplicemente cambiato il modo di concludere verso la porta. La squadra di Pep è quella che segna di più sfruttando i tagli dall’esterno, 19 delle 66 reti realizzate in questa stagione sono arrivate dall’interno dell’area piccola. Si può parlare di un gol alla Manchester City, se non fosse che anche durante la sua avventura al Barcellona e al Bayern Monaco, questo tipo di azione era la più frequente. Forse ha più senso parlare di gol alla Guardiola».

Si tratta di una definizione realistica, perché verificata nel tempo. I meccanismi che portano alla rete di Agüero sono quelli tipici del gioco di posizione: alta densità in zona palla, costruzione di un lato debole, apertura sull’esterno che allarga il campo in ampiezza, taglio dell’attaccante verso linea di porta. Passaggi e soluzioni e movimenti simili a quelli attuati per anni da Jordi Alba, Dani Alves, Messi, Ribery, Robben, Lewandowski. Ora tocca a Sterling, Sané, Bernardo Silva, Gabriel Jesus, ovviamente ad Agüero: giocatori diversi per caratteristiche, eppure in grado di far rivivere le stesse suggestioni. È una questione di identità che si rinnova in nuovi tempi e in nuovi spazi, che rielabora certi concetti, adattandoli alle caratteristiche degli interpreti di oggi. Non a caso, Martí Perarnau ha intitolato “La Metamorfosi” il secondo libro sulla figura di Guardiola, in cui ha raccontato tutti i cambiamenti di filosofia calcistica attuati dal suo arrivo in Inghilterra.

Al termine della partita giocata ieri all’Etihad Stadium,  Unai Emery ha detto ai giornalisti: «È difficile fermare una squadra con questa qualità, anche se tende a ripetere le stesse giocate». Il manager basco, dell’Arsenal in pratica, ha spiegato quanto sia difficile opporsi a un certo tipo di guardiolismo, al gioco di Pep nella sua espressione migliore, nei suoi momenti più brillanti, quei periodi in cui estetica ed efficacia finiscono per combinarsi, per diventare una cosa sola.

Un po’ di azioni del Barcellona di Guardiola, spezzoni che hanno diverse cose in comune con il Manchester City di oggi.