Il racconto del calcio nasce e si alimenta intorno all’impatto e alla sopravvivenza di luoghi narrativi ricchi di suggestioni. È una questione di cultura e terminologia che si evolvono parallelamente al gioco, che cambiano in base ai protagonisti e ai risultati. Oppure che resistono, passando per il necessario adattamento. Il 13 ottobre del 2017, Marca ha celebrato con un articolo i dieci anni del Tiqui-Taca. Secondo il quotidiano madrileno, il calcio di possesso che ha portato la scuola spagnola ad imporsi a tutti i livelli nasce con un gol di Sergio Ramos alla Danimarca, durante un match di qualificazione agli Europei del 2008: «Un minuto e 15 secondi di possesso, 65 tocchi, 28 passaggi e un tiro in porta. Così è stato costruito quello che forse resta il miglior gol nella storia della Roja». Le suggestioni, appunto.
All’interno del pezzo parlano alcuni dei protagonisti di quella serata danese e del biennio 2006-2008, conclusosi con la vittoria della nazionale di Luis Aragonés al Campionato Europeo di Austria e Svizzera. Probabilmente la frase più significativa è di Raúl Tamudo, allora centravanti dell’Espanyol: «Quella partita e quel gol hanno segnato un prima e un dopo nella storia del calcio spagnolo». Il dopo è ancora in corso, ha travalicato i confini iberici per investire con il suo primato composito, estetico e di risultati, la percezione del gioco a livello globale. Tra il 2017 e il 2018 è interessante capire se e come la definizione di Tiqui-Taca, entrata di forza nel lessico calcistico quotidiano e nell’immaginario collettivo, possa essere ancora valida; se un’analisi che contempla l’utilizzo di questo termine sia in grado di descrivere un sistema in grado di vincere anche oggi, a dieci anni dalla prima codificazione; se abbia ancora senso scrivere e parlare di Tiqui-Taca mentre il calcio, nel frattempo, ha dovuto obbligatoriamente fare i conti con il tempo che passa e che modifica contesto e ricezione.
Il gol di Sergio Ramos – allora laterale difensivo – contro la Danimarca. La manifestazione del concetto di Anno Zero
Per arrivare a capire cosa intendiamo quando utilizziamo il termine Tiqui-Taca, bisogna partire da una destrutturazione, dal contromanifesto ideologico e dialettico disegnato da Pep Guardiola durante la sua avventura al Bayern Monaco. Le sue parole sono raccolte nel libro “Herr Pep“, scritto dal giornalista spagnolo Martí Perarnau: «Odio il tiqui-taca, è una schifezza, una porcheria che non serve a niente, è l’onomatopea del possesso fine a sé stesso. Il pallone dovrebbe essere appoggiato ai compagni con l’obiettivo di attaccare l’avversario, con l’idea di essere sempre aggressivi, pericolosi in senso offensivo». Queste frasi possono sembrare paradossali, invece costruiscono la descrizione esatta, illustrata, realistica della natura del Tiqui-Taca, la ragione del suo utilizzo e del suo successo.
Identificare le idee di Guardiola con il solo Tiqui-Taca significa semplificare in maniera estrema un processo di studio ed evoluzione continua, vuol dire banalizzare un sequenza di scelte tattiche influenzata da diversi fattori, e dilatata nel tempo. La struttura calcistica pensata, utilizzata, inseguita da Pep lungo la sua carriera da allenatore è infatti quella – ben più ampia e complessa – del gioco di posizione. Si tratta di un sistema per principi, basato essenzialmente sull’aumento della densità in zona palla. In fase difensiva, il fine è la riduzione delle distanze tra i reparti per la realizzazione di un pressing organizzato, asfissiante, finalizzato al recupero del possesso in una porzione avanzata di campo. Per quanto riguarda la manovra offensiva, l’obiettivo fondamentale è la creazione di superiorità dietro le linee dell’avversario. In campo, questo modello di riferimento può concretizzarsi secondo concetti molteplici: il modulo è variabile, partita per partita e all’interno di uno stesso match; il pallone può essere spostato in tempi e spazi differenti – per esempio è possibile scegliere tra un possesso lungo e uno sviluppo più immediato, come un movimento a sorpresa assecondato da un passaggio che elude la prima pressione. Nel periodo a Barcellona, Guardiola ha scelto un calcio fatto di passaggi brevi, continui, ripetuti, orizzontali, utili a creare scompensi sul lato debole come ad azionare gli uomini con maggiori doti individuali e/o associative, di lettura del gioco. È il Tiqui-Taca, precisamente.
Partendo da questi presupposti teorici e dalle evidenze pratiche, si può considerare il Tiqui-Taca come una scelta stilistica, formale più che concettuale rispetto all’applicazione di certi principi di gioco. È un rapporto consequenziale, è un discorso di struttura e sovrastruttura: mentre il juego de posición rappresenta il riferimento primario, il Tiqui-Taca è una possibilità per adattare il modello alle qualità tecniche e alle caratteristiche fisiche dei giocatori a disposizione. In questo senso, è emblematico che i trionfi in serie costruiti su questo sistema tattico siano stati trasversali, tra il Barcellona e la nazionale spagnola, e quindi si identifichino nel contributo determinante di Xavi e Iniesta piuttosto che in quello di Eto’o, Messi, David Silva. Parlando dell’addio al Barça di Xavi, il Telegraph ha utilizzato termini decisamente evocativi per descrivere questo rapporto di assoluta corrispondenza: «È la fine di un’era. Il Camp Nou saluta il direttore d’orchestra del club, il maestro burattinaio, il simbolo del Tiqui-Taca».
Sid Lowe, sul Guardian, ha invece raccontato in questo modo il titolo europeo della Roja nel 2008, il primo grande successo internazionale fondato sull’esasperazione del possesso palla: «Aragonés ha sempre insistito sul fatto che per i giocatori della Spagna sarebbe assurdo giocare in qualsiasi altro modo. Ed è giusto, ovviamente. Il ct iberico ha abbracciato il Tiqui-Taca nel modo giusto, è rimasto pragmatico, non ha accettato la deriva suggerita dai talebani di questa ideologia. Anzi, ha utilizzato questi concetti per dominare le partite, ma anche per proteggere una difesa lontana dall’eccellenza degli altri reparti».
Non è un caso, poi, che lo stesso Guardiola abbia ritoccato parte dell’impostazione durante l’esperienza in Germania, adattando i suoi principi a un diverso gruppo di giocatori: Martí Perarnau, in un altro punto di “Herr Pep”, ha raccontato come il Bayern allenato dal tecnico catalano abbia tentato di praticare «una versione molto più ambiziosa del gioco di posizione. Si trattava di un’interpretazione decisamente rischiosa, che richiedeva un’elevatissima padronanza di qualità tecniche. L’idea di base era generare superiorità numerica attraverso appoggi verticali anziché orizzontali. Piuttosto che il sistema visto a Barcellona, era una riscrittura del calcio introdotto da Louis Van Gaal durante i suoi due anni in Baviera».
Il Bayern di Pep Guardiola: un calcio tecnico ma verticale, lontano dal Tiqui-Taca del Barcellona 2008-2013
In un articolo pubblicato dal Guardian, Jonathan Wilson spiega l’approccio al gioco di Luis Enrique e l’evoluzione storica del Tiqui-Taca: «Con l’arrivo del tecnico asturiano, il Barça ha fatto un passo indietro rispetto al purismo di Pep e ha sposato uno stile di passaggi più verticale grazie al passaggio di testimone tra Xavi e Rakitić». È la transizione necessaria, è il tributo inevitabile al tempo, anche perché la Spagna è stata eliminata al primo turno dai Mondiali brasiliano, e Xavi ha lasciato la Catalogna dopo essere diventato una figura sempre più marginale nel progetto tattico blaugrana – appena due partite da titolare nella Champions 2014/2015, vinta in finale a Berlino contro la Juventus. Così il modello si aggiorna, esplora nuove possibilità: se il Barcellona sposa il cosiddetto calcio associativo («Luis Enrique costruisce le sue squadre con le terne in testa, tre giocatori che azione dopo azione creano triangoli perfetti per andare sempre avanti, a piccoli passi», Michele Chicco su Undici) e Guardiola è alle prese con il suo laboratorio bavarese, la suggestione narrativa del Tiqui-Taca si alimenta attraverso il contributo nuovo di nuovi profeti.
Per esempio c’è Joachim Löw, che prima della Coppa del Mondo del 2014 (e dopo due sconfitte decisive con la Spagna del Tiqui-Taca, per la finale di Euro 2008 e la semifinale di Sudafrica 2010) spiega che la sua Mannschaft praticherà un calcio di possesso, perché è una squadra «che vuole mantenere la palla bassa, che vuole evitare di lanciare lungo ma al tempo stesso vuole organizzare delle transizioni rapide». Usa Today, al termine della kermesse iridata in Brasile, utilizzerà una frase forte, di grande impatto, per illustrare lo stile di gioco alla base del trionfo tedesco: «La Germania ha portato il Tiqui-Taca ad un altro livello, anzi ad un livello superiore». Poi c’è L’Équipe, che a maggio 2017 mette Maurizio Sarri al 23esimo posto nella sua classifica dei migliori allenatori in attività e conia una nuova definizione: «Il Napoli è una squadra che ama tenere il possesso palla, ma allo stesso tempo punta sempre verso l’area avversaria, non rallenta mai la sua azione. È il Tiqui-Taca verticale».
I 43 gol segnati dalla Germania lungo il percorso di qualificazione a Russia 2018
A dieci anni dalla sua prima definizione storica, il Tiqui-Taca vive la fase della contaminazione con altri sistemi tattici. La riproducibilità del possesso esasperato tipico del Barcellona di Guardiola e della Spagna di Aragonés è risultata limitata nel tempo, perché fatalmente legata alle caratteristiche uniche e forse irripetibili dei fuoriclasse della Generación Dorada; nel frattempo l’evoluzione del gioco ha portato alla costruzione e allo sviluppo di nuovi modelli di riferimento, ad esempio la pressione continua e la ricerca delle transizioni tipiche del Gegenpressing in Germania, o il calcio di controllo – emotivo, fisico, solo apparentemente speculativo – praticato da Conte e Simeone. Eppure, il processo di mutazione iniziato nel 2008 non si è ancora esaurito, anzi il suo impatto è ancora pienamente percettibile, nelle tendenze ideologiche degli allenatori e pure nelle classifiche dei maggiori campionati europei. Tutte le leghe più importanti vedono primeggiare le squadre che seguono i presupposti teorici del calcio di posizione, e che praticano il possesso più avanzato – in termini numerici, ma anche di ricercatezza tecnica.
Non è un caso che Barcellona, Manchester City, Napoli, Bayern Monaco e Psg guidino contemporaneamente i rispettivi campionati e le graduatorie statistiche riferite al numero di passaggi per match (dai 730 del City ai 655 del Bayern), esistono differenze notevoli tra queste squadre, per tipicità tattiche e sviluppo della manovra, ma la caratteristica comune è un rapporto privilegiato con la palla, la volontà di gestirla e di gestire così i ritmi della partita. Si tratta di una conseguenza diretta rispetto all’affermazione del Tiqui-Taca, è l’inevitabile lascito dei risultati ottenuti in un decennio di dominio tecnico, estetico ma anche narrativo. In questo senso, la frase più significativa è quella utilizzata da Jonathan Wilson, nella sua review tattica del 2017 pubblicata dal Guardian: «Pure i continui successi del Real Madrid si conformano alla mentalità di gioco proattivo e di dominio del pallone che caratterizza l’élite del calcio europeo. Le migliori squadre del continente entrano in campo per riprodurre ciò che Guardiola ha dimostrato essere possibile: tenere il possesso, pressare gli avversari, vincere le partite. È così che funzionano le rivoluzioni culturali, c’è l’esplosione di un nuovo stile seguita dalla dispersione e dall’adattamento che deriva dal contatto con altre idee, altri concetti».
Nello stesso pezzo, si parla anche del Manchester City di Guardiola: Wilson spiega che il tecnico catalano ha dimostrato di poter imporre le sue teorie «post-cruijffiane» e il suo «gioco di posizione aggiornato» anche in un contesto tatticamente poco reattivo come la Premier, ma non utilizza mai il termine Tiqui-Taca. Non è una scelta puramente stilistica, si tratta di una sottrazione lessicale giusta, se non addirittura necessaria. Nonostante una ricerca su Google con la query “Tiqui-Taca Manchester City” rimandi a una serie di video e di articoli basati su questa ineluttabile correlazione, ci sono molte differenze tra il calcio dominante dei Citizens in questa stagione e quello di possesso intensivo che ha abitato per anni al Camp Nou.
Oltre il Tiqui-Taca
Per capire dove individuare le discrepanze, è possibile fare riferimento al gioco, alla figura, alla crescita di Kevin De Bruyne, ad un suo faccia a faccia con Jamie Redknapp – visibile qui su Youtube. Ad un certo punto dell’intervista, il calciatore belga spiega che la mentalità costruita da Guardiola è quella del «possesso con un significato». La definizione contemporanea del Tiqui-Taca: spostare la palla per muovere la difesa avversaria, esplorare diverse linee di passaggio, utilizzare appoggi multiformi. Si tratta di una condizione indotta, perché De Bruyne ha riscritto l’interpretazione del ruolo di mezzala, anche rispetto a Iniesta, perché Fernandinho non è Busquets e così via. È trasformazione che scongiura l’obsolescenza e permette la sopravvivenza dell’etichetta più comune, più riconoscibile. Tanto che in Spagna qualcuno crede – e scrive – ancora che il Tiqui-Taca “puro” possa funzionare ancora oggi, per vincere il Mondiale in Russia. Anzi, che sia l’unica strada possibile per la Roja, nonostante sia cambiato tutto, compresa la parte fondamentale: i calciatori a disposizione. Le suggestioni, in fondo, ci piacciono così tanto proprio perché non muoiono mai.